Un ottimo percorso artistico sotto il moniker Scuola Furano, partito nel 2004 attirando su di sé l’attenzione addirittura di Mtv, a cui poi sono seguiti errori di valutazione, incertezze ma anche un ottimo disco come “108”, finito troppo presto nel dimenticatoio. Nell’ultimo anno il gradito ritorno: un nuovo moniker, Bawrut, una traccia bomba come “Chiquita” suonata da tutti, la soddisfazione di finire in line-up al Sónar dove suonerà questo pomeriggio. Abbiamo incontrato Borut Viola poco prima di questa prestigiosa esibizione, per parlare di errori, fare autocritica e analizzare il mondo in cui come producer si è ormai rilanciato. Ne viene fuori una chiacchierata sincera, senza troppi filtri e di grande maturità; e su Liberato (progetto che più o meno lo coinvolge) ci dice che…
Ti aspettavi tutto l’interesse che ha generato “Chiquita”?
Zero! Come sempre, tu sei convinto che quello che fai è figo; però a differenza dei tempi di Scuola Furano dove comunque mi guardavo in giro e mi facevo contaminare, con Bawrut butto fuori solo cose che piacciono a me. Con Scuola Furano mi dicevo: “Devo produrre cose che chi ascolta Scuola Furano può capire” invece con Bawrut me ne sono fregato. Per cui sì, sono sorpreso. Mi sorprende soprattutto l’attenzione trasversale che c’è su questo brano: lo suonano tanto uno come Jackmaster, che non è catalogabile visto che al DC10 Ibiza suona la solita tech-house noiosissima mentre quando gioca in casa cambia la selezione verso un minestrone più eclettico, quanto Boys Noize, che insomma con “Chiquita” non c’entra un cazzo. Si sono presi bene più o meno tutti, da quelli che mettono balearic a chi suona cose più da club oscuro.
Ti credo, è stata davvero una sorpresa. Ricordo che quando mi hai detto che mollavi Scuola Furano per Bawrut ci ero rimasto male, pensando “Ma come, ammette la sconfitta così?” sebbene poi non ci fosse nessuna gara su Scuola Furano che prevedesse una sconfitta. Non ti sei chiesto perché con Bawrut sia stato così più facile rispetto a Scuola Furano dove – tu stesso mi fai capire – ci mettevi molto più interesse, molta più strategia?
La strada giusta con cui mi sono messo con Bawrut è fatta anche di una serie di fortunati eventi che non devono mancare mai. Alla fine io ho fatto uscire un EP in digitale su Bandcamp, e un blog inglese con delle grosse conoscenze e molto rispettato ha deciso di fare una label e di puntare tutto su di me. Mi hanno chiesto il pezzo, peraltro già uscito, oltre a roba nuova che poi uscirà, spingendolo sui canali giusti e il risultato si è visto. Con Scuola Furano, che era una cosa più legata all’Italia e non riusciva a entrare nei giri europei, non ho avuto questa copertura mediatica e questa fortuna.
A un certo punto infatti mi sembrava che “108” andasse a sbattere contro un muro.
Ormai era un prodotto senza definizione. All’inizio quando è iniziato il progetto Scuola Furano, nel 2004, era qualcosa per cui eravamo presi bene da: Audio Bullys, Daft Punk, tutta la scena francese venuta prima quindi Etienne de Crecy, Motorbass, Cassius e ovvio anche i Basement Jaxx. Alla fine era un “cut & paste” con quell’attitudine “hooligana” all’Audio Bullys dove ci cantavi sopra senza saperci cantare ed è andata bene. Dopo il primo album ho deciso di non continuare su questa strada raffinando questa linea, ma ho guardato più l’aria che tirava. La mia agenzia del tempo aveva deciso di puntare tutto sulla fidget, in più mi è capitato di sostituire i Croockers a una serata. Sono situazioni così che ti fanno capire cosa vuol dire suonare un genere che in quel momento va di moda: vedi l’impatto sulla gente e, ovvio, sul cachet. Ho iniziato quindi a non dare una linea puramente artistica al progetto e a cambiare, in modo funzionale, verso quel genere che in quel momento funzionava. Ero anche convinto di quello che pubblicavo, ma l’occhio della gente su Scuola Furano era ormai perso. Quando poi ho cercato di ributtarmi più sull’house ormai mi ero sputtanato il nome e in Italia, davvero, una volta che sei sputtanato sei sputtanato.
Nonostante “108” avesse recensioni o feedback più che positivi.
Eh sai quanti dischi hanno recensioni positive e non vanno avanti ? Poi io credo che quando è uscito “108” ormai Scuola Furano avesse perso credibilità, per cui anche se il disco in realtà era carino la gente non sapeva più dove collocarmi.
Dai, però “Danceteria” era una bomba, e ce ne erano anche altre…
Sì! L’avesse fatto qualcun altro, fosse tipo uscito a nome Scuola Milano, avrebbe funzionato di più; come Scuola Furano ormai aveva perso appeal. Guarda, ne parlavo con Riva Starr proprio l’altro giorno su Skype: siamo in ‘sto mondo da quindici anni e anche di più, sai già che purtroppo la musica che produci alla fine conta poco, ci sono mille cose intorno che influenzano molto di più. Anche a voler vivere con questa idea romantica per cui l’artista fa la musica e tutto il resto rimane vincolato a quello, a patto che sia bella musica, davvero vai a sbattere sul muro di cui parlavi prima.
Seguendo questo ragionamento, non pensi di essere stato in anticipo di un paio di anni con “108”? Soprattutto in considerazione di tutta questa attenzione su di un’ipotetica scena italiana? Non credi che “108” abbia risentito di una mancata predominanza dei social, predominanza che ora catalizza tutto ma che prima era quasi agli albori? E’ un disco che avrebbe potuto funzionare molto bene col passaparola digitale.
Ovvio; ma già solo se “Scuola Furano” il precedente fosse uscito un paio di anni dopo rispetto al 2004, con Myspace molto più connesso alla gente, avremmo parlato di ben altri risultati. Mi ricordo che quando è esploso Myspace hanno avuto un’occasione tutti. I social poi ovvio hanno cambiato le regole, e di molto. Mi ricordo la grande, grande sorpresa degli Amari per i feedback ricevuti per un loro pezzo che approdava per la prima volta su Facebook, nonostante loro avessero una base solidissima su Myspace. I numeri erano cambiati completamente: c’era un riscontro da parte della gente ingigantito rispetto a prima.
Lì poi va anche tanto sulla personalità dell’artista e all’uso che fa dei social stesso e come li influenza: tu davvero passeresti intere giornate a postare i tuoi pezzi ?
No, hai ragione, non sono tanto un tipo da social. Ho avuto come tutti il periodo in cui magari andavo sui social a cercare le polemiche, ora non li cago più. L’unica cosa che pubblico sono i feedback che ricevo sulla mia musica, proprio per il discorso che è venuto fuori prima. Lo faccio perché vorrei ricordare a chi legge: lo so che per voi sono ancora Scuola Furano, quello che suonava fidget house, che non ha mai fatto una hit, che non ha mai sfondato, se vuoi sputtanandosi perché ho provato a cavalcare un’onda non mia al momento sbagliato, svendendomi una certa credibilità; però magari, come del resto è successo a tantissimi artisti, e io non sono né il primo né l’ultimo, sappiate che sono lo stesso a cui ora le mie produzioni vengono riconosciute.
È anche cambiato il mondo della promozione o il modo in cui viene pubblicizzato un disco, secondo te ?
Sì, è cambiato tantissimo quel mondo, si è evoluto. Noi la promozione l’avevamo anche fatta ma poi è finita lì. Ai tempi avevamo anche un buon live: tu ti vedevi un tipo con laptop, 303, drum machine e un cantante che davvero sapeva cantare. Non come ora che vedi il controllo di mail, o il “wannabe” analogico. Che poi adesso c’è tutta ‘sta mania dell’analogico, devi suonare con l’analogico o se sei un dj devi usare i vinili sennò non vali nulla. Io ne vedo tanti di show analogici, ma pochi mi fanno esclamare “Che figo!“. Però Mirko riguardo a “108” credimi, non andava davvero.
Ultima domanda sul passato poi ci concentriamo su Bawrut, anche se non potevo dimenticare il passato…
No ma ti fermo! Io non dimentico anzi, immagina ‘sta cosa: magari tra due anni arrivo ad un buono stato di copertura. E’ chiaro che se faccio un pezzo alla “Danceteria”, so già che rischia di cadere nel dimenticatoio. Guarda il disco di Julio Bashmore: quel disco potevo averlo fatto io, è finito nel dimenticatoio, non va, almeno secondo la mia opinione.
Quindi riprendendo il discorso, tu adesso suonerai al Sònar come Bawrut. Voglio essere “marzulliano”: è un traguardo o un punto di partenza?
Cazzo, questa è una bella domanda! Allora: nel 2004 questa agenzia ci mette sotto contratto e ci trovano delle date, ricordo bene che il boss ci disse “Sto mandando il vostro disco al Sónar, perché sarebbe figo se vi chiamassero“. Naturalmente non ci chiamarono, successivamente non producendo musica da Sónar il sogno l’avevo accantonato. Quindi, da una parte dico è un arrivo; dall’altra, visto che il tipo di mondo che frequento non ti fa fare troppo affidamento sui traguardi raggiunti, dico: bene, faccio la fotografia del momento in cui mi han detto che ero in line up – perché credimi è stato un bel momento – però guardo avanti e fisso altri obbiettivi. È un punto di partenza, c’è tanto ancora su cui crescere e su cui lavorare .
Come pensi di affrontare questa crescita, hai voglia di fare uscire un album ?
Non lo so perché vedi io sono cresciuto con una generazione di produttori che faceva bombe da club e dischi pop, anzi dischi cantati. Per me era logico, sono nato ascoltando Basement Jaxx che facevano quei dischi lì: cantati, gioiosi, con i video per Mtv. Poi andavi a sentirli, e menavano come iene e mi incazzavo perché dicevo: ma come, e i pezzi del disco? Invece questo mood è la prima lezione che impari e capisci. Nella carriera di un producer, non c’è solo l’album o i pezzi dell’album. Se i Basement Jaxx sono arrivati a fare pezzi come “Where’s Your Head At” è perché dietro c’erano live, prima degli album, in cui pestavano come fabbri. Esistono questi due mondi diversi, quello dell’album e quello più oscuro del clubbing in cui sono ora. Non so se davvero ho voglia di mettermi a fare un album, col rischio che non venga capito. Immagina uno come Marco Carola: magari prende fa un album e gli esce una cosa alla Kalkbrenner, poi si trova la gente che gli dice che non sente la cassa non picchia abbastanza… Non mi va di trovarmi in una situazione tipo questa. Adesso mi sono preso ‘sta nomea di uno che fa acid; rispetto molto la acid, quello che faccio non è un’ operazione filologica, cerco di dargli un punto differente, per me non è fare solo acid house. Prima di buttarmi su un album, dove voglio avere la libertà di mettere dentro tutto quello che mi piace, voglio capire bene come muovermi.
C’è meno pressione nel buttar fuori un pezzo ogni tot cercando magari il “banger”, piuttosto che concentrare anima e forze in un album per sei mesi e poi provare a campare di rendita?
Secondo me non è proprio così automatico il riuscire a campare di rendita. A volte senti delle cose e dici “Cazzo, figo ‘sto album“, poi guardi il percorso dell’artista e vedi che o è un artista grosso che butta fuori l’album e piazza subito date su date del tour per massimizzare al meglio il guadagno del disco, oppure vedi che magari l’album non è che poi vada a cambiargli la vita. Prendi il disco di George FitzGerald: era un bellissimo lavoro, ma non mi sembra sia riuscito a camparci poi di rendita.
Come si tiene al passo con i tempi un producer che fa musica da ormai quindici anni? Trovi ancora qualcosa che ti ispira?
La figata è che adesso abbiamo una produzione musicale orizzontale, esce davvero un sacco di roba, oltre al fatto che hai un accesso totale alle cose uscite nel passato. Senti tra i dj più bravi un eclettismo che mischia cose passate, presenti, future, eclettismo che spesso e volentieri mi lascia di stucco da quanto ben fatto. Ci sono talmente tanti dj, che ne sanno talmente tanto di musica, che davvero mi sento piccolo piccolo.
Rispetto al 2004 quando ti buttavi nella scena questa attitudine all’eclettismo è di fatto cambiata. Dieci, dodici anni fa se suonavi eclettico mescolando più generi eri uno sfigato…
Cazzo! Adesso montiamo un cero in chiesa e facciamo un altare a tutte queste realtà tipo Dekmantel o Boiler Room, e non me ne frega nulla di chi dice che tanto è solo hype. Fortunatamente negli ultimi cinque, sei anni, gente come The Black Madonna, Motor City Drum Ensemble sta buttando in circolo l’idea che si può suonare un po’ di house, poi un pezzo techno, poi hai un pezzo disco e ci butti in mezzo pure questo: cosa c’è di sbagliato in questo? Io sono contentissimo di questa cosa! Ho sempre ritenuto abbastanza dozzinale che uno venisse a chiedere di suonare sempre le stesse cose, tipo il fattone che alle tre e mezza ti viene sotto e ti dice “Mena, mena vai dai dai“, quando tu magari hai menato già per due ore e mezza e stai solo dando respiro al set suonando un pezzo che semplicemente non ha la cassa in quattro. Guarda, è una bomba questo discorso dell’eclettismo e che finalmente sia stato accettato. Non so quanto durerà. Ho già visto e letto il solito hatering nei confronti di The Black Madonna perché non suona più come suonava prima, perché magari mette pezzi “paraculi”, goal a porta vuota, ecceetera; però magari dentro questi pezzi paraculi ti sta raccontando il percorso artistico di uno come Morgan Geist.
Mi piace questo discorso dei goal a porta vuota. Secondo te quanti goal possono esserci in un set perfetto?
Io cerco di rispettare un po’ queste regole per cui nel finale si scende e lì mi concedo magari qualche goal a porta vuota, magari anche sull’ultimo disco soprattutto.
Quanto ci si lavora sull’ultimo disco del set?
Oddio! da quando mi hanno confermato il Sónar sono lì che lavoro su ‘sto ultimo disco, ho fatto una lista di ultimi dischi, sai quelle cose un po’ emozionali, musiche vecchie, eccetera. Farò una cartella, la nomino “ultimo disco”, e da lì impazzisco prima di scegliere.
Senza rinunciare mai ai Daft Punk. Io e te condividiamo questa passione viscerale per i Daft. È una forma di rispetto non rinunciare mai a suonare un pezzo dei Daft Punk?
Sì. Non ci riesco sempre, in una sessione di quello che faccio adesso ci posso mettere cose di “Homework”. Mi piace suonare “Teachers”, ho i miei classici da vecchio, che non sono dei Daft ma che sono forme di rispetto tipo Josh One “Contemplation” (King Britt Funke Remix)” che non levo e non leverò mai e poi mai dalla mia borsa. Tra l’altro, ‘sta traccia la prima volta l’ho sentita in un vecchio set di Bangalter – per cui i Daft Punk come vedi tornano sempre.
Senti, Un’ultima domanda, produrrai sempre musica da club o hai pensato di ampliare il raggio di produzione? Hai mai pensato ad esempio di produrre musica napoletana?
(ride sospettoso, NdI) So dove vuoi andare a parare, furbastro! Innanzitutto c’è il problema della lingua che non parlo. Mi piace molto la musica napoletana e ho grosso rispetto per la musica napoletana, perché secondo me la musica italiana nasce da lì. Ne subisco il fascino, forse per opposti che si attraggono; ma non la produrrei. Se capita però do una mano: volevo fare un remix a un tipo napoletano a cui ho aiutato con delle public relations, ma ancora non mi passa il materiale.
E si sarà scordato di te.
S’è scurdat ‘e me!