Dov’eravamo rimasti? …eravamo rimasti che abbiamo sempre amato Dancity. Lo abbiamo amato anche quando ha deciso di non esserci: l’anno scorso, nel momento in cui hanno deciso di prendersi un anno di pausa e al tempo stesso di dare vita ad una grande festa. Anche questo particolare racconta di un festival con un’anima, di un festival che ha ben presente il valore della parola “festival” (oggi pericolosamente diffusa, sino a rischiare l’inflazione: diciamolo). D’altro canto è sempre stato una perla assoluta, fin dalle primissime edizioni. Lo è stato per una serie di motivi ben precisi: sì, certo, la bellezza dei luoghi; sì, certo, l’ospitalità umbra; sì, certo, perché quando non sei occupato ad ascoltare musica puoi mangiare e bere le cose più buone del mondo; sì, certo, perché buona parte del festival, soprattutto negli eventi diurni, si è sempre svolta tra corti e palazzi medievali, una caratteristica magica.
(Foto di Andrea Luccioli; continua sotto)
Ma prima di tutto Dancity ha sempre fatto un lavoro incredibile sulla programmazione musicale. Semplicemente incredibile. Senza voler sminuire nessuno, ma loro più di tutti hanno sempre saputo proporre nomi non scontati, avere il coraggio di fare scelte forti, possedere la lucidità e la profonda conoscenza per precorrere i tempi. La line up di Dancity ha sempre avuto degli scarti, delle sorprese, delle idee atipiche e controcorrente; la line up di Dancity è una delle poche dove sì, ok, le certezze consolidate ci sono sempre, com’è giusto che sia, ma abbiamo sempre la matematica certezza che ogni anno troveremo qualcosa che ci piacerà da impazzire in modo completamente inaspettato ed imprevisto, così come ogni anno troveremo – in generale – uno “statement” forte per cui un festival afferma la propria identità e la propria volontà, vedendo di non scegliere sempre i soliti nomi. Ne parlavamo pochi giorni fa rispetto al Sónar: ecco, Dancity è il festival italiano per quanto ci riguarda che più si avvicina al festival catalano: non la fa per numeri e dimensioni ovviamente, ma lo fa per attitudine. E quello che perde in grandezza, abbondanza e grandiosità lo recupera nel valore aggiunto di Foligno, dell’Umbria, del sapore del “fatto in casa”.
E insomma: un festival dall’anima forte. Lo amiamo da sempre. Inevitabile che fosse in cima alla lista delle nsotre priorità, al momento di scegliere assieme a Molinari dove andare a recuperare degli #ExtraContent di spessore, dei contenuti che raccontassero delle storie importanti nel mondo dei festival di elettronica e dintorni. A inizio giugno eravamo a Nameless: una storia completamente diversa, con un background musicale diverso (per certi versi anche “ostile”, qui vi spiegavamo perché), ma con gente meravigliosa a farlo, con un’attitudine cristallina, con un entusiasmo a una capacità di visione (senza perdere il lato umano e la consapevolezza) che dovrebbe davvero dare lezione a molti (e infatti è stata una esperienza splendida). Ora, per l’atto secondo, andiamo invece lì dove ci sono da sempre le più forti radici per la club culture più di ricerca e a noi più vicina. Nella line up anche quest’anno assolutamente incredibile e preziosa del festival abbiamo pescato due perle. La prima è Manuel Göttsching: nume tutelare dell’elettronica cosmica tedesca, l’autore di quel memorabile “E2-E4” che è un caposaldo assoluto dell’elettronica e della musica in generale (oltre che un pezzo cruciale nella storia della musica dance – ma avremo modo di approfondire).
Il secondo è Uwe Schmidt, alias Atom TM, alias Señor Coconut, alias un’altra cinquantina di moniker (sì, su questo si sbizzarrisce), alias uno dei musicisti più geniali, longevi ed imprevedibili negli ultimi trent’anni delle cose “nostre”. Un vero e proprio gigante, un pozzo di scienza e di trovate assurde, con un mare di cose da raccontare. Con entrambi, terremo (venerdì 30 giugno e sabato 1 luglio, alle ore 18 negli spazi dell’Auditorium San Domenico) una lunga e approfondita lecture aperta al pubblico. Il tutto è assolutamente da non perdere, va da sé.
(Roy Ayers due anni fa, foto di Elvio Maccheroni; continua sotto)
Ad ogni modo, le cose da non perdere sono tante. Praticamente tutte. Anche perché – sempre per stare sul paragone sonariano – mai come quest’anno la ricchezza stilistica all’interno del cartellone la fa da padrona, mai come quest’anno il programma è assolutamente immersivo e a trencentosessanta gradi per quanto riguarda spunti, suggestioni, storia, visioni. Citando alla rinfusa (ma il consiglio è di studiare attentamente il programma) si potrebbe andare dal santone berlinese Mark Ernestus nelle sue nuove afro-avventure ai redivivi A Certain Ratio (un pezzo di storia, un pezzo di cuore), da Demdike Stare a Blawan, dall’euforia degli strepitosi Optimo all’introspezione electro di Marie Davidson, dal jazz di Tommaso Cappellato al jazz degli Yussef Kamaal, da Hunee a Herva, dall’elusivo (ed abrasivo) Hieroglyphic Being al leggendario Craig Leon. Questo, e molto, molto altro ancora. Se volete i soliti festival coi soliti nomi, non passate di qui. Se volete un’esperienza incredibilmente profonda, calda, avvolgente, accogliente, piena di spessore e storia, ci vediamo da 30 giugno all’2 luglio dalle parti di Foligno.