Trovarsi in uno spazio, condividerlo con altri corpi e muoversi insieme al ritmo della stessa musica ha un potere che tutti – spero – abbiamo sentito almeno una volta. È un potere ritualistico, rivitalizzante, a volte quasi rivelatorio, che prescinde dal presenzialismo social e dalle proiezioni video-fotografiche che spesso lo impoveriscono. Credo prescinda anche dagli stili e dai gusti musicali e in parte anche dai diversi habitat che a questi si associano. Quando si crea quella combinazione perfetta di vibrazioni, intimità, connessione con quegli altri corpi che abbiamo intorno e con il proprio, libero flusso di energia, pensiero e movimento (no, non sto necessariamente parlando di un raduno goa psy-trance), in quegli istanti un club può diventare un luogo quasi sacro; qualunque esperienza di abbandono alla musica e alle sue frequenze è sacra. Nulla di nuovo, direte voi, ed è bello che tutti possiamo dire di aver provato quell’abbandono, quel dolce oblio notturno quando fuori il sole è già alto.
Ho scelto dieci tracce per raccontare questa magia: tra crescendo minimal, dub techno sospesa, bassi caldissimi e avvolgenti, un capolavoro jazz-funk, IDM ipnotica e drone malinconici, provo a raccontarvi come questa magia non abbia nulla a che fare con i generi. Provo a raccontarvi come, nel momento giusto, l’energia quasi sessuale dei synth di Chris Carter possa risvegliare l’animale che è in voi e come la voce divina di Grace Jones che dice “Your private life drama, baby, leave me out” possa essere quasi un’epifania. Buon ascolto.
[Pic by Haigla Pidu]