“Per la rapidità con cui oggi i nostri tanto amati (ed abusati) social network sanno diffondere ma altrettanto far dimenticare certe notizie, avremmo potuto optare per la strategia del silenzio speranzosi che, in breve tempo, tutto sarebbe evaporato”: inizia così la lunga risposta di Barrakud alla denuncia di Ilario Alicante sui grossi problemi tecnici avuti durante l’esibizione al festival croato (ma a conduzione italiana). Ecco: sinceramente, forse il silenzio sarebbe stata davvero una scelta migliore. Il comunicato potete leggerlo integralmente qua sotto, a fine articolo.
Il punto è: Barrakud poteva avere molte giustificazioni, poteva spiegare nello specifico perché c’erano stati problemi tecnici (cedimenti improvvisi ed imprevedibili del PA? Sostituzione forzata della dotazione originaria con dei back up di qualità minore?). Può succedere a tutti, anche ai migliori (ad esempio: Sònar, come visto coi nostri occhi in almeno un paio di edizioni) di avere improvvisi e rovinosi cedimenti dell’impianto, o comunque difficoltà tecniche. Lì si tratta di ammettere i propri errori (o di fare una rissa con gli artisti!), di spiegare se e quanto potevano essere evitati e quanto invece sono state sottovalutate delle criticità, e solo in un secondo momento si può tirare oltre rivendicando fieri ed orgogliosi il proprio lavoro.
A Barrakud no. A leggerle bene, questa lunga risposta è un po’ sconfortante. Si respira una fastidiosa aria di “Noi ti abbiamo fatto crescere, come osi parlare in pubblico contro di noi?” e anche di “I panni sporchi si lavano in casa”. A voi piace questa attitudine? A noi, insomma. L’attacco poi contro i “leoni da tastiera che commentano nonostante non fossero presenti” sarebbe giustificato se si spiegasse cosa di sbagliato dicono i “leoni da tastiera” in questione, se si entrasse cioè un minimo nello specifico su quanto i problemi audio avuti (non) fossero imputabili a negligenze dell’organizzazione. Non viene fatto. Anzi, poco più sopra si parla effettivamente di “errori commessi”: unica assunzione di responsabilità, in mezzo ad un mare di frecciate polemiche. Un po’ poco.
“Lavorare provando a remare tutti nella stessa direzione” non significa, secondo noi, nascondere la polvere sotto il tappeto. E tanto meno significa incazzarsi con chi dice pubblicamente “Ehi, stavolta le cose non sono andate bene”, accusandolo larvatamente di essere un ingrato e uno stronzo. Di nuovo: capita a tutti di scazzare. Capita tutti di avere dei problemi. Capita a tutti di sottovalutare delle potenziali criticità. Si chiede scusa, si ammettono le colpe (se ce ne sono, perché non è nemmeno detto ce ne siano; stavolta però evidentemente c’erano, visto che nemmeno per un attimo è sostenuto il contrario), ci si rimette a lavorare per fare il possibile per offrire un prodotto ancora migliore. La lamentela poi sul fatto che non si ha abbastanza supporto, vabbé, lascia il tempo che trova. Per mille motivi. Ma per non appesantire ulteriormente questo testo, per ora lasciamo stare. Sarebbe una digressione un po’ lunga.
Ultima caduta di stile, la stoccata polemica su chi non fa i soundcheck a dovere. I problemi audio sofferti da Alicante si sono verificati perché Alicante stesso si è rifiutato di fare il soundcheck? O perché il suo fonico / tour manager era distratto dalle bellezze croate e non si è reso conto dei problemi della dotazione tecnica? Ditelo chiaramente se è così. Se è vero, diventa un tassello importante. Scritto così a metà come è scritto nel post di cui sotto, mah, pare più un’insinuazione velenosa, ovvero un detto / non detto un po’ carognesco che, a livello di “stile e rapporto” (per citare le loro parole), ci pare sinceramente molto peggio dell’invettiva brusca e spigolosa di Alicante da cui si è generato tutto questo caso.
Insomma: se chiedete a noi, la strategia del silenzio sarebbe stata meglio. La strategia poi di un semplice “Abbiamo sbagliato, chiediamo scusa, ma è stata una svista isolata, di solito facciamo bene e ora siamo motivati a fare ancora di più” sarebbe stata ancora meglio, senza discorsi su cosa sia opportuno dire o non dire, senza lezioni su cosa significhi “remare tutti nella stessa direzione”. Fosse stato così, allora sì che Barrakud avrebbe avuto supporto.
I meriti di Barrakud restano. Una storia per lo più di successi. La capacità, come dicono loro, di stare in un mercato – quello dei festival croati – altamente competitivo dove spesso la competizione è ancora più feroce e crudele grazie alle enormi disponibilità d’investimento degli eventi a capitale anglosassone (lo sapete che il primo anno Dimensions ha perso qualcosa come 300/400.000 euro, facendo un paio di conti? Eppure è riuscito ad andare avanti ed ora è il gioiello che è, ora anche senza andare in rosso). Il divertimento sincero offerto ad un pubblico in primis di casa nostra. Tutte cose che nessuno vuole sottovalutare, nessuno!, e che non sarà certo un problema audio durante il set di Ilario Alicante ad offuscare e ad invalidare. Zero proprio. Molto più facile vengano però un po’ offuscate ed invalidate da un atteggiamento dove alle assunzioni di responsabilità si preferiscono di gran lunga i “Questo doveva restare fra noi” e dove le invettive contro i “leoni da tastiera” sono fatte senza argomentazioni professionali e concrete… esattamente come proprio i “leoni da tastiera” fanno di loro.
Barrakud è forte, strutturato e con una storia già importante dalla propria. Non ha, o non avrebbe, bisogno di porsi in questo modo. Questa la nostra opinione. Se poi loro la vedono diversamente, ci auguriamo che non ci venga appiccicata addosso l’etichetta di “leoni da tastiera”. Noi abbiamo argomentato per bene. Ci sentiamo a posto con la coscienza. Se poi questo significa non remare nella stessa direzione (o addirittura subire ostracismi futuri), a) ne resteremmo sorpresi b) ce ne faremmo una ragione.