Un disco in uscita e un taglio netto al passato. A quattro anni da “Cold Spring Fault Less Youth” (Warp Records) i Mount Kimbie ci sorprendono come difficilmente ci saremmo aspettati. Arricchito dalle collaborazioni con King Krule, Micachu e James Blake, il nuovo lavoro “Love What Survives” (in uscita l’8 Settembre, ancora una volta per Warp) è la prova che non esistono schemi né confini per il duo londinese, che si lascia alle spalle tutta la produzione precedente, per mettersi alla prova con atmosfere intrise di new wave e post punk.
Nell’attesa che il tour europeo della band faccia tappa al Circolo Magnolia di Milano, ci siamo goduti una chiacchierata con Kai Campos riguardante nuove sfide, evoluzioni sonore e una musica elettronica che “non è più così interessante”.
Non appena ho saputo che avrei intervistato i Mount Kimbie, ho cominciato a pensare alle cose di cui parlare con voi e mi sono venute in mente molte domande sul dubstep e sul post dubstep. Solo in un secondo momento ho potuto ascoltare il nuovo disco e ne sono rimasta abbastanza sorpresa. Mi sono chiesta: cosa è successo?
Penso che in realtà per noi non sia stato un grande salto, forse perché è da un po’ di tempo ormai che lavoriamo a questo disco. L’ultima release risale forse a quattro anni fa e anche quella, in fondo, aveva ben poco a che fare con dubstep e post dubstep. È stato un processo graduale, ma le persone che ascoltano solo il prodotto finito non possono sapere quante cose diverse abbiamo provato mentre ci lavoravamo. Ci siamo buttati su cose nuove perché noi, come band, siamo interessati ad inserirci in uno spazio nuovo e questa è la musica che ne è uscita.
Leggo nella vostra bio: “Love What Survives è un disco elettronico melodico ma vigoroso”. La musica elettronica sta diventando davvero popolare in un certo senso, sono in tanti ad ascoltarla e sono in tanti a produrla. Questo disco, però, suona anche molto acustico, un po’ anticonformista rispetto alla solita elettronica. Come siete arrivati a questo suono così particolare, quasi post punk?
Volevamo mettere in un disco l’energia che abbiamo vissuto durante i live con la band. Quel tipo di musica ci ha sempre interessato molto, ne abbiamo ascoltata tanta e ne siamo stati senza dubbio influenzati. Non ci siamo arrivati con l’idea di fare un disco post punk, abbiamo provato prima tante altre cose, alcune delle quali non hanno funzionato. Certamente da quel mondo ci è arrivata tanta ispirazione, anche dal punto di vista del suono e degli strumenti che volevamo utilizzare.
In effetti l’uso che fate degli strumenti mi sembra una delle cose più interessanti di questo disco. Quanti strumenti avete utilizzato?
Tre o quattro sintetizzatori diversi, anche se ne usiamo principalmente due, tutti gli strumenti della band tipo la chitarra, il basso, la batteria e anche quattro o cinque drum machine.
Di recente ho avuto la possibilità di intervistare Anders Trentemoeller, che ha sempre prodotto musica elettronica mentre ora è in tour con la sua band suonando dal vivo le canzoni post punk del suo ultimo disco. Lui mi ha detto che questa dimensione più acustica è sempre stata in qualche modo dentro di lui, ha solo dovuto aspettare il momento giusto per manifestarla. Per quel che riguarda voi? Cosa vi ha condotto a questa particolare dimensione?
Sai, a volte per chi fa elettronica pura questo mondo più strumentale non è così accessibile. Farlo ora è davvero eccitante, soprattutto se non lo hai mai fatto prima perché non sapevi come farlo. La musica dance ha ancora oggi il potere di essere incredibilmente interessante ma, in generale, trovo che il modo in cui si è evoluta nella cultura popolare lo sia molto meno. Nei tour degli ultimi anni abbiamo capito che vogliamo metterci alla prova spingendoci in una direzione diversa.
È difficile, per un producer, sentirsi completamente libero di fare qualcosa di totalmente nuovo rispetto a tutta la produzione precedente?
Non abbiamo avuto così tante difficoltà. Ci siamo presi del tempo per allontanarci dalla band dopo l’ultimo tour, perché sentivamo il bisogno di dimenticarci delle nostre carriere per un po’, e questa cosa fa bene. Quando poi torni operativo provi ad approcciarti al lavoro come se lo stessi facendo per la prima volta, ricominciando dal nulla. A volte è molto difficile capire esattamente cosa vuoi fare, ma sarebbe stato più difficile rifare sempre le stesse cose.
Come comunicate tu e Dominic (Maker, N.d.A.) quando lavorate al disco ma siete lontani?
È dura, perché quando vivi dall’altra parte del mondo e il fuso orario è grande riesci a malapena a dirti le cose normali. Fondamentalmente cerchiamo di comprimere il lavoro nel tempo che riusciamo a passare insieme. Io l’ho raggiunto a Los Angeles per qualche sessione e Dominic torna spesso a Londra, quindi non è stato così diverso dal solito, abbiamo solo viaggiato di più. Questa cosa di dover lavorare in maniera flessibile e aperta ha avuto anche una sua influenza nel disco, trovandoci in posti che non erano i nostri, spesso senza tutte le nostre cose.
Trovo che “Poison” sia una delle tracce più interessanti. Pur essendo bella già così, i suoi accordi di piano mi fanno pensare a qualcosa che può diventare una vera traccia dubstep. Come la renderete nei live?
Ancora non ci abbiamo nemmeno pensato, ci siamo concentrati nelle tracce più lunghe mettendole “in forma” per le prove. Questa cosa però può essere molto interessante, ci penseremo su per il tour europeo, che comincerà a Novembre.
C’è una dimensione multiculturale in questo album. Si sente una specie di reggae bianco alla Johnny Clegg & Savuka. Adoro questa cosa, soprattutto perché suona come un’esortazione ad abbattere certi confini…
Quello che cerchiamo di dire in questo disco e, in generale, con la nostra carriera, è che nessuno deve essere definito dalle aspettative di qualcun altro. Nessuno deve dirti che musica suonare così come nessuno deve dirti come comportarti, dovremmo tutti avere la libertà di essere noi stessi.
Nel disco c’è tanta energia. Vorrei sapere come è nata “Blue Train Lines” con King Krule, perché sembra davvero che lui sia uscito da ogni schema.
I synth erano nell’aria da un sacco di tempo ma non avevamo ancora capito come usarli. Per il resto, noi siamo soprattutto amici e suoniamo l’uno i pezzi dell’altro e parliamo spesso di ciò a cui stiamo lavorando. Lui ha avuto l’idea iniziale per la melodia, che all’inizio suonava in maniera totalmente diversa. Questa è una delle cose per cui vale la pena lavorare con qualcun altro: non sai mai dove porterà le tue idee.
Tutti aspettiamo il tour europeo. C’è la possibilità di vedere sul palco anche King Krule, James Blake o Micachu?
Sul palco saremo in quattro, loro sono tutti molto impegnati. Stiamo pensando a qualcosa, a qualche occasione veramente speciale, ma nel frattempo stiamo cercando di capire come suonare quelle canzoni in modo diverso.
Ok, l’ultima stravagante domanda, a bruciapelo. Il dubstep è morto?
(ride) Non so se sono la persona giusta a cui chiederlo. Quando abbiamo cominciato noi quella era la musica in cui eravamo immersi, che ci ispirava e che rappresentava buona parte di ciò che facevamo. Era un suono interessante e succedevano tante cose in quell’ambiente, poi è diventata un po’ sempre la stessa cosa. Ad oggi, per me, non c’è più grande entusiasmo per quel mondo.
English Version
Un upcoming release and a clear cut with the past. Four years after “Cold Spring Fault Less Youth” (Warp Records) Mount Kimbie surprise us as we never expected. Enriched with collaborations with King Krule, Micachu and James Blake, their new album “Love What Survives” (September 8th, Warp Records) is the evidence that there are no schemes or boundaries for the duo from London. They leave their previous productions behind, to test themselves with new wave and post punk sounding-like atmosphere.
We had the opportunity to talk to Kai Campos about new challenges, artistic evolution and also about a certain type of electronic music that’s “less interesting in the way that is gone”.
When I discovered that I had the possibility to interview Mount Kimbie I immediatly started to think about the upcoming conversation with you guys and I started think about a lot of questions on dubstep and post dubstep. When I finally had the possibility to listen to your new album I was completely surprised and speechless and I thought: what happened?
I think for us it’s not such a big leap, and I guess it’s because we’ve been writing music for a while, for this record, the last thing was perhaps four years ago, and I even think that the last record had very low to do with dubstep or post dubstep. It has been quite a gradual process of making the album and people just get to hear the finished thing, you know, but we’ve tried new things as a band interested in trying to be in a different space and that’s the music that came out.
I read in your bio: “Love What Survives is a melodic yet robust electronic record”. Electronic music has became something popular in a way, I mean: a lot of people listen to electronic music and a lot of artists make electronic music but this new album has a lot of acoustic sound in it. It sounds offbeat. How did you come to this particular, almost post punk sound?
I think we wanted to take some of the energy that we were experiencing in the live with the band, while touring, and put that into a record. That kind of music has always been something that we listen to, it has been an influence and we got there through trying a lot of different stuff that were not working and then trying more stuff. I mean, we didn’t mean to do in particular a post-punk record but, certainly, some of the influences come from that world and also the equipment and the sounds that we were attracted to use have a lot of references in that world.
How many instruments are there in this album?
There are three or four different synthesizers that we use, but mainly two, and then all the band stuff like guitar, bass, drums and then four or five drum machines as well.
I recently had the opportunity to interview Anders Trentemoeller, who has always been a great electronic producer and now he is touring with a live band playing post punk songs from his last album. He said that this acoustic live dimensions has always been inside him and he waited for the right moment to explore it. What about you? What has brought you to this dimension?
It’s just that sometimes this world, in a kind more acoustic and instrumental, isn’t accessible in purely electronic and there is something exciting about that, especially if you’ve never done that before also because you didn’t particularly know how to do it. I think that club music and purely dance music still have incredible power to be something interesting but in general I think it’s less interesting in the way that it has gone in popular culture in the last few years and that interest is reflecting in the music somewhat. In the last few years of touring we became more and more interested in pushing ourselves and testing ourselves in a different way.
Are there any difficulties, for a producer, to feel completely free, to do something completely new compared to everything was done before?
There haven’t been that many difficulties for us to do that. We took time away from the band after the last touring cycle because you need to forget about your career a bit, which is nice, and then when you come back you try to approach as if you were starting from nothing. Sometimes it’s hard to figure out exactly what you want to do. It would have been really hard to do the same thing again, so that would be the hardest.
How you and Dominic communicate while making an album? How can you express what you have in mind when you are away from each other?
That’s difficult. When we are on different part of the world, and time is different, it’s hard even to communicate the normal stuff. We basically push the writing into more intensive periods of time, when we’re together. I went to L.A. for some sessions and also Dominic is back to London quite frequently, so the process wasn’t so different, we just involved more traveling and this also influenced the album, I mean, working in a place that wasn’t our own. We had to write in a more free way because we didn’t have all our stuff around and our set up.
I really like “Poison”, its simple piano chords really reminds me to something so beautiful itself but also to something that sounds like a work in progress, as if it can be turned in a very dubstep track. Are you going to do something on that song while playing live?
We haven’t really talked about that actually, because we’ve been more focused on trying to get the longer ones into shape for a rehearsal, but it’s interesting and we’ll take a look at it for the european tour in November.
There is a multicultural dimension in this album, I heard a kind of white reggae, Johnny Clegg and Savuka style. I love it because – in general – world needs to break down barriers and boundaries…
What we tried to say with this album and even with our own career is that you don’t have to be defined by other people’s expectations or labels around you, that includes what music you can make or how you can act as a person, because there should be a very open place to be.
This is a very energetic album and I would love to know how “Blue Train Lines” with King Krule was born. He’s gone wild, isn’t he? Who had the idea?
The synth lines were going on for ages and we didn’t know what to do with it. Anyway, we are just friend and we play each other’s music and we talk about what we’re up to and stuff like that. He had the initial idea for the melody, but in the very beginning it didn’t really sound like it does now and this is the nice thing when you work with somebody else, he can end up taking things somewhere else.
We’re all waiting for the european tour. Is there any possibility to see James Blake, King Krule or Micachu with you on stage?
There will be four of us on stage actually, they’re very busy people. We are thinking about it, where to make it happen and it will be some special occasion. We are working on those songs and figuring out how to play them in a different way.
Ok, now I’ve got a last weird question for you. Is dubstep dead?
(laughs) Maybe I’m not the best person to ask. When we started out and that music was around us, a big inspiration and a very big part of what we did, that was a very interesting kind of sound and there was a lot of different things going on in that space, but then it was more like the same thing over again. To me, there is not much excitement now in that space.