La questione inizia a farsi seria. Ed interessante, per molti motivi. I fatti: da un po’ di tempo, inizia a farsi largo una strisciante campagna d’opinione sul fatto che la Boiler Room sia una “presenza non gradita” all’interno del Carnevale di Notting Hill. Per chi non lo sapesse, un po’ di background: il Carnevale in questione è un evento meraviglioso, al 100% nato ancora negli anni ’60 “dal basso”, che celebra in qualche modo la cultura dei sound system e l’orgoglio della comunità afro-caraibica (una delle travi portanti della cultura e della società londinese). Ben più di un milione di persone – la presenza media degli ultimi vent’anni è questa – si raduna ad ogni edizione per godersi un delirio continuo nelle strade della capitale anglosassone combattuto a colpi di bassi, tra reggae, drum’n’bass, dub (la matrice appunto è ben precisa, come si diceva: nasce tutto dal seme afro-caraibico) più qualche estemporanea e benvenuta deviazione stilistica. Un trionfo della musica, anche un trionfo dell’idea di clubbing e di gioia attraverso il ballo e il ritrovarsi tutti assieme – trasportata però, per una volta, nelle strade e nella spontaneità, non fra le quattro mura di un club o fra i recinti di un festival a pagamento. Diciamo che quando Londra era il cuore dell’immaginario giovanile europeo, negli anni ’90, il Carnevale ha raggiunto il massimo della sua popolarità mediatica anche all’estero, diventando l’evento per eccellenza per chiunque amasse certi tipi di musica (o anche solo simpatizzasse per l’idea di club culture); ora che invece la parola d’ordine è Berlino, del Carnevale si parla molto meno – ecco perché magari molti di voi non lo conoscono – ma resta comunque un evento sentitissimo dalla comunità locale e che comunque attrae, stime alla mano, qualcosa come 400.000 non-londinesi ad ogni edizione.
Cosa succede? Succede che a partire dall’anno scorso la Boiler Room è entrata pesantemente nell’orbita del Carnevale, con una presenza sempre più viva (e portando con sé anche degli sponsor, ben visibili). All’inizio qualcuno ha storto il naso e mugugnato, ma ora il caso sta proprio deflagrando grazie a questo articolo, che sta diventando a dir poco virale. Anche perché fornisce un dato ben preciso: coloro che materialmente hanno creato e fanno il Carnevale dalle istituzioni hanno ricevuto, tramite vari bandi, circa 100.000 sterline (a fronte di un indotto stimato in 93.000.000 di sterline…); la Boiler Room, sempre seguendo la via dei bandi istituzionali, 297.000 sterline. Se già potevano esserci dubbi su quanto “filosoficamente” la Boiler Room fosse adatta rispetto allo spirito del Carnevale di Notting Hill (che è una festa di strada aperta a tutti, non un evento esclusivo ad accesso limitato), l’emergere di queste cifre ha creato sconcerto e scandalo, e i mormorii su come quelli della BR fossero degli “sfruttatori” dell’energia, della creatività e dello spirito del Notting Hill Carnival solo per ingrossare i propri fatturati senza dare nulla indietro, beh, sono diventati delle vere e proprie grida. O, come avete visto dalla foto sopra, dei graffiti in giro per la città belli visibili. E duri.
Prima di decidere da che parte stare, dovreste però leggere la lunga e circostanziata nota pubblicata dalla Boiler Room stessa, in cui si spiega e si motiva la ragione di questa disparità di trattamento economico e, soprattutto, si cerca di delineare come il Carnevale abbia solo ed unicamente da guadagarci da una partership con la Boiler Room (che non nega di aver ricevuto tutti quei soldi, né nega che siano effettivamente molto di più di quanto abbiano ricevuto le due organizzazioni direttamente legate al comitato organizzatore, ma nel comunicato in questione prova ad elencane le motivazioni, garantendo una continua trasparenza sull’uso dei fondi ricevuti per attività relative al Notting Hill Carnival).
L’impressione è che i ragionamenti sviluppati nel lungo comunicato a firma Boiler Room siano anche sensati e soprattutto molto “pratici”: quindi nulla da dire. Vedendo però la cosa nel suo insieme, resta il problema di fondo: perché la Boiler Room si pone in modo così “paternalistico” nei confronti del Carnevale? Una delle posizioni principali del comunicato è, riassumiamo, “Il Carnevale ha una pessima immagine fra i media, nonostante i suoi valori culturali e il suo successo popolare; noi siamo qui per rimettere a posto le cose”. Siamo convinti che questa posizione sia sostenuta in totale buona fede – il “core” dello staff della Boiler Room è fatto da gente che davvero ama, conosce e supporta la musica e la club culture più autentiche – ciò nonostante resta un po’ fastidiosa. Della serie: “Lasciate fare a noi, che voi non siete capaci”. Piaccia o non piaccia è così. Piaccia o non piaccia, questa è anche la giustificazione che si pone per il fatto di aver ricevuto il triplo in fatto di contributi (tant’è che ad un certo punto si dice nel comunicato “Insegneremo a quelli del Carnival a fare bene le domande per i bandi pubblici, li aiuteremo in questo”). Un po’ farraginosa, e a dirla tutta sospetta, è anche la parte relativa al fatto che la Boiler Room “plana” sul Carnevale portandosi dietro degli sponsor, una presenza sempre problematica – anche quando fatta nel migliore dei modi – e che porta sempre ad equilibri precari e “sensibili”, perché una festa che nasce popolare e in cui i veri protagonisti e creatori non prendono una lira o quasi, gli sponsor lucrano grandi profitti d’immagine dando in cambio solo una percentuale minima di questi profitti, rispetto a quelle che sarebbero le cifre normali di mercato. Alla Boiler Room non negano e tantomeno ignorano il problema: anzi, mostrano di esserne pienamente consapevoli e anche di essere d’accordo con questa lettura. La loro posizione è, sempre riassumendo, “Nel modo in cui li portiamo noi, gli sponsor, le cose vanno meglio: c’è più sicurezza che il rapporto fra evento e brand sia paritario e la distribuzione dei contributi sia un po’ più equa a favore di chi il festival materialmente lo fa”.
Ripetiamo: quello che dice la Boiler Room, se guardiamo le cose nel loro concreto adesso, è vero. E che loro siano bravissimi a trattare editorialmente la materia “musica & club culture” è indiscutibile, quindi sì, di sicuro possono fare un gran bel lavoro nel veicolare l’immagine pubblica del Carnevale dal punto di vista mediatico.
Tuttavia resta un dato di fatto. La Boiler Room è un’associazione privata, che persegue profitti privati e che viene contattata da vari brand perché ai brand medesimi può offrire un plusvalore di immagine molto alto, a livello di profilo e brand identity, a fronte di un investimento relativo; ai brand interessa prima di tutto il guadagno che ne può avere il brand medesimo, stop. Che sia il Carnevale di Notting Hill o il campionato mondiale di polo (o della tauromachia), al brand in realtà interessa poco. Anzi: zero. Di più: un ruolo sempre crescente e sempre più intrusivo dei brand rischia sempre, non ce n’è, di snaturare l’essenza degli eventi nati in modo spontaneo e popolare. E’ una regola da cui non si sfugge.
La risposta secondo noi non è nell’isolamento duro e puro, nei “Fuck Boiler Room” che stanno girando per le strade e nel web, nell’odio e nella lotta contro i marchi privati che vogliono “sfruttare” l’energia emotiva e la popolarità dell’evento per i porci comodi e fatturati loro; questo approccio radicale, da sinistra estrema dura e pura, ha anche delle pezze d’appoggio ma se chiedete a noi gli isolazionismi non hanno mai fatto bene a nessuno: dopo un po’ si finisce coll’appassire o coll’essere una stanca predica ai convertiti, se si vuole e si pretende di parlare e di fare le cose solo per i “propri”, solo per quelli che la vedono solo ed esclusivamente come te. Tuttavia un problema c’è, non va messo sotto il tappeto, perché è vero che se gli lasci mano libera e ti affidi in tutto e per tutto a loro i brand rendono tutto dopo un po’ “di plastica”, addomesticano, rendono più market-friendly cose che invece nascono spigolose e spontanee (e sono belle per questo). Insomma: dev’esserci un’attenzione e una tensione continua, i brand se arrivano al Carnival devono sentirsi sempre inizialmente poco benvenuti e guardati con sospetto, devono sempre sforzarsi di dimostrare di avere intenzioni buone. Lo stesso vale per la Boiler Room: tutto giusto quello che dicono loro, è verissimo che la loro presenza può fare bene al Carnival in mille modi; ma è altrettanto vero che loro stanno effettivamente sfruttando la storia e l’energia del Carnival per fare più visualizzazioni e stringere nuovi contratti per loro vantaggiosi con brand – quindi per un loro tornaconto. Per quanto nobili siano le loro intenzioni – e lo sono – non possono pretendere di essere visti come filantropi da ringraziare che si sacrificano e si tolgono il pane di bocca per il bene del Carnival. Non è così.
E se loro credono che lo sia, noi saremo qua per rompergli le scatole. Senza che questo ci impedisca di fare il tifo per loro quando fanno delle cose fighe, quando sono un media fondamentale per diffondere culture vive e ricche nel modo più autentico e completo possibile. La logico da stadio, “Se sei a suo favore allora sei contro di me“, la lasciamo agli ultrà o agli iper-marxisti che vogliono sovvertire integralmente il sistema economico capitalista (…che però intanto non si fanno problemi a parassitare).