Migliaia di date sparse per il globo, un blog che da subito è diventato tendenza, una serie incredibile di pezzi diventati vere e proprie hit (una di queste, “Just”, ha cambiato – volenti o nolenti – il loro modo di fare musica). Una crescita esponenziale, che ha fatto sì che “Bicep”, l’album omonimo con cui di fatto il duo esordisce finalmente nel formato lungo, fosse attesissimo, desiderato e preceduto da un hype pazzesco. Sotto l’egida di Ninja Tune, implacabile nel fare uscire un prodotto di punta dopo l’altro, i producer dell’Irlanda del Nord non deludono le attese anzi, probabilmente, mettono a referto uno dei dischi dell’anno. Ci siamo fatti raccontare il disco e il percorso che l’ha accompagnato, facendo anche il punto sullo stato di salute della musica dance: stagnante per un certo verso, in attesa di una rivoluzione e di un punto di riferimento, probabilmente dietro l’angolo.
Il vostro album arriva dopo una lunga carriera, fatta di moltissimi banger e un’infinità di date. Qual è stata la scintilla che vi ha fatto dire: “Ok, è ora di fare un album”?
Volevamo solo dare un’ immagine di noi che fosse il più completa possibile – immagine che è peraltro sempre stata presente nel nostro blog. Penso che l’album ci dia la possibilità di far vedere come siamo realmente. È ovviamente un album parecchio vario, con molti momenti più tranquilli, ma questo riflette perfettamente come siamo.
Quanto è stato importante il vostro blog, nel percorso di creazione dell’album?
Purtroppo non abbiamo avuto tempo per qualsiasi altra cosa che non fosse l’album o lo studio. Speriamo, dopo il lungo tour che ci aspetta, di trovare un pò più di tempo anche per il blog.
Andando per gradi, sempre nel percorso che ha portato alla creazione di “Bicep”, quanto è stato importante un pezzo come “Just”? Vi faccio questa domanda perché quando ho sentito per la prima volta “Just” sono letteralmente impazzito: era molto lontano dai pezzi come “Stash” e sembrava un po’ che il messaggio fosse “Facciamo quello che ci pare, sappiamo come farvi impazzire anche fuori dalla logica della cassa dritta”.
“Just” era solo una delle tante tracce che avevamo prodotto. Sinceramente, pensavamo sarebbe passata inosservata. Ci piaceva ma non pensavamo sarebbe diventata così importante. Non progettiamo mai a tavolino la musica che facciamo; in studio improvvisiamo, e se la sensazione è quella giusta la portiamo avanti e la finiamo. E’ stato veramente uno shock vedere come ha reagito la gente. Sicuramente “Just” ci ha dato più fiducia nel fare le cose di pancia, d’istinto.
Per l’album, quanto è stato importante il fatto di uscire su Ninja Tune ? Io quando ho letto che uscivate per loro ho detto “Oh mamma ne usciremo pazzi”.
Abbiamo fatto il disco che volevamo fare e l’abbiamo mandato all’etichetta. Da subito c’è stata grande empatia con Ninja Tune, ci hanno dato un feedback dettagliato e di grande sostegno, che ci ha dato la fiducia che ci serviva per finire il disco come realmente volevamo. E’ stata davvero una combinazione perfetta.
C’è mai stato un momento in cui avete avuto la sensazione che questa cosa dei Bicep non stesse prendendo la piega giusta, che fosse necessario qualche aggiustamento?
Sì, sempre, e va bene così. Abbiamo iniziato a fare tracce su dei laptop, utilizzando molti campioni. Alcuni pezzi sono andati molto bene ma, subito dopo, abbiamo avuto una sorta di “morte creativa”. Questo ci è servito, ci ha dato l’ispirazione per investire in qualche synth decente e per fare un nostro studio, dove poter avere la libertà di creare da soli i nostri campioni e di improvvisare veramente. Dal momento che siamo in due, è davvero importante che ci sia la possibilità di poter interagire immediatamente l’uno con l’altro, invece di smanettare a turno, uno alla volta, su di un pad. Siamo molto critici con noi stessi, molte volte siamo così occupati a viaggiare che non riusciamo a fare ricerca a fondo come dovremmo, di conseguenza cominciamo a stancarci di ciò che facciamo. In altre occasioni, invece, capita la settimana libera e cominciamo a tirar fuori roba a tonnellate e tutto ci sembra di nuovo figo. Non è mai una strada facile né semplice; essere in grado di adattarsi e sviluppare le proprie idee è una cosa super importante.
So che siete innamorati dell’Italo disco (e si sente), ogni volta che sentiamo questa cosa il nostro orgoglio nazionale si alza tantissimo. Ci raccontate qualcosa di più di questo amore? Come è nato e cosa di questo genere vi piace di più?
Quelle vecchie cassette fruscianti, le batterie così tanto sature, quelle melodie così melanconiche, dolorose ma allo stesso tempo euforiche. L’energia, i sintetizzatori molto analogici, quei bruttissimi vocals (vabbè, non sempre, ahahah)… E’ un genere di grande ispirazione per noi.
Domanda semplice semplice: in studio prima i synth o prima percussioni e parte ritmica ?
Quasi sempre partiamo dai synth, la bassline per ultima e le drums tendono a cambiare tutto il tempo. Potremmo iniziare da un semplice kick e poi iniziare a lavorare sopra i synth.
Come detto prima “Bicep” ha un sacco di riferimenti “classici” che forse sono i punti di riferimento con cui ovviamente siete cresciuti. Secondo voi, quali saranno i riferimenti dance dei prossimi vent’anni?
Matt: Difficile da dire, la musica dance sta vivendo un momento strano. Credo sia arrivato il momento in cui è necessaria una nuova rivoluzione, tipo quando hanno inventato l’808 o il 303. Credo sia però difficile capire anche di cosa realmente ci sia bisogno: voglio dire, è figo vedere che molti vecchi brand stiano facendo nuove macchine, l’esplosione del modulare è molto importante; detto questo, non è sicuramente il momento più emozionante per la musica dance. C’è in giro un sacco di brutta house fatta di fretta con il laptop che poi si riduce ad essere tutta uguale.
La speranza è che il nuovo punto di riferimento sia dietro l’angolo, immagino che generi importanti come il dubstep verranno presto riproposti come genere di riferimento.
Andy: Non è mai stato così facile come oggi fare una traccia con Ableton, midi e un’abbondanza di sample lì, a pochi click. Io credo che questo distrugga la creatività e la visione d’insieme di un pezzo dance. Detto questo, molti produttori ormai non toccano più un tasto di pianoforte e non esplorano mai la teoria della musica, per cui ci si ritrova con una grande quantità di musica che ha un grande potenziale ma che, in qualche modo, è incoerente in termini di sviluppo musicale o ha delle progressioni ovvie davvero molto evidenti. È difficile prevedere il futuro, ma ho la sensazione che la gente inizi ad accelerare questa cosa della house più irregolare in un modo da farla suonare quasi tipo jit /footwork, ma non così veloce, un modo che si fonde con la techno. In realtà con le varie “Dance Mania” questa cosa è apparentemente in giro da un po’, ma sto pensando come sviluppo futuro a una cosa con più synth e meno ghetto vocals/drums. Se succedesse non ne sarei troppo sorpreso: ci sono alcune cose tipo Danny Brown che hanno preso delle buone “Detroit vibe” e suonano molto fighe, fresche. Tipo queste:
Mi sono sempre chiesto: dei producer come voi, che hanno consapevolmente scelto di fare ballare la gente come diktat, cosa ascoltano nei momenti calmi? Nei giorni lenti e di relax intendo, magari davanti a un bicchiere di vino…
Matt: Un sacco di ambient e musica ad alto tasso emozionale.
Andy: Della buona ambient o della buona IDM di quella intensa. O alcune cose più neoclassiche direi; comunque tutte sonorità rilassate e tranquille, tipo Eno e Basinski, quel genere lì insomma.
Foto di Ben Price