Questa è una bella notizia: uno degli artisti più talentuosi (e, per certi versi, più sottovalutati) nella scena elettronica italiana torna in pista con del nuovo materiale. Il nuovo EP si chiama “The Question”, è in uscita imminente per la Wandering Eye, ha già catturato l’interesse per alcune preview di Resident Advisor e XLR8R – hai detto nulla, ma ripetiamo, Panoram ha uno spessore vero – e siamo davvero onorati di poter ospitare anche noi in anteprima un assaggio dell’EP con tanto di video treatment, affidato al tocco di Virginia Eleuteri Serpieri e Gianluca Abbate. Abbiamo poi fatto ancora di più: con Panoram ci siamo anche scambiati una chiacchierata, una chiacchierata incisiva e per certi versi illuminante nell’aiutare a capire da dove arriva e come si plasma il mondo sonoro di Panoram (un mondo che corre su una diagonale che incrocia jazz, psichedelia, funk, ambient, elettronica). Poi, sotto, alla fine dell’intervista, potete gustarvi suoni+immagini. Buona lettura, buon ascolto, buona visione.
Come si colloca questa release nella “personale geografia artistica” di Panoram? Ci sono aspetti del tuo stile su cui hai posto maggiore attenzione o accento, ce ne sono invece altri che in parte hai abbandonato?
Si colloca sopra una scheggia di vetroresina. Immaginiamo questa scheggia che viaggia molto veloce (è una scheggia) verso un pasticcino: questo pasticcino ha un buon aspetto ma nei colori sembra essere un pasticcino artificiale. Emana uno strano odore di pollo. Alla fine dell’ascolto, la scheggia avrà divelto la pelle del pasticcino e noi lo avremo osservato dall’interno. Sì: questa forse è più una descrizione di come io vedo il disco, ma veramente non riesco a vedere una “geografia artistica” di quello che faccio. Mi mette angoscia vedere le cose con distacco. Per un artista è una pericolosa posizione vedere le cose in modo da volerle ordinare. A me fa tutto subito schifo, se ci provo. L’unica è calarsi (senza calze) in vari pasticcini, grandi e piccoli e vivere di volta in volta lì dentro.
I tuoi lavori hanno sempre una ricchezza armonica straordinaria. Sono associazioni che nascono “ad orecchio”, o c’è uno studio da strumentista dietro, con precise nozioni tecniche?
Sicuramente ad orecchio. Un’infarinatura musicale io ce l’ho ma non sono mai riuscito a scrivere niente con alcuna cognizione dietro. Pure quello mi mette in agitazione, e preferisco procedere alla cieca. Credo che “sapere” come funzionano alcune cose non sia necessariamente un bene. Ad esempio su “Polyglot Dreaming” il “linguaggio” armonico è quello pop/r&b perché il brano è una sorta di parodia di un quella roba là e su una cosa così, magari, sapere delle cose torna utile; il discorso armonico però serve in quel caso come intelaiatura formale per arrivare poi tramite altri linguaggi a plasmare il pezzo così come l’ho visto io nella mia testa.
Come mai non hai perseguito quella che, almeno apparentemente, è la via più facile per farsi notare nel campo dell’elettronica, ovvero quello della musica più prettamente dancefloor oriented?
Perché quello che pubblico come Panoram rimane essenzialmente legato a criteri di gusto mio personale. Non ho mai pensato di fare musica per essere notato o per entrare in un “filone” ma per un’esigenza mia, e ad essere sincero non vedo Panoram come un progetto “elettronico”. Comunque non c’è nessuna scelta “non-dance” fatta a priori: per me, molto di quello che scrivo è ballabile.
In una tua personale galassia musicale, quali sono le quattro, cinque stelle polari a cui hai sempre guardato e sempre guarderai?
E’ tutto in evoluzione. Cose che ho ascoltato molto e che credevo punti saldi ora non mi toccano più come prima, quindi è difficile darti una risposta. Circoscrivendo il discorso al mondo dei vivi ti posso dire Gerald Donald, ecco. Lui sicuramente è un musicista di un’altra categoria. Un artista di una potenza e una genialità infinite. La sua opera secondo me è sempre stata avanti di almeno cinquant’anni…
Foto di Agnese Samà