Sarda di nascita, milanese di adozione, Elisa Bee è sulla scena già da dieci anni. Con l’EP “Mind Game”, in uscita per la label Unknown To The Unknown (UTTU per gli amici) dell’inglese DJ Haus il prossimo 22 settembre, la dj e produttrice italiana raggiunge una nuova maturità artistica, pur rimanendo sempre sé stessa. Il suo sound si svuota dei suoni pieni e “massimali” del passato per dare vita a sei tracce house che trattengono all’interno tutta l’essenza di una Elisa diretta e senza fronzoli. Tutto ruota intorno a delle passioni ritrovate: fisica, misticismi e filosofia, che incontrano sfogo nella sua produzione musicale attraverso un suono che ricorda ambienti spaziali, dai quali anche le tracce prendono nome. Avete mai ballato al suono di una stella di neutroni? In “Pulsar” Elisa riprende il suono emesso dalla stella per ricreare atmosfere cosmiche e scientifiche, riuscendo a non abbandonare il core della sua musica. Un viaggio attraverso descrizioni sonore di fenomeni spaziali come in “Nebula” o di teorie mistiche come in “Kalpa”, Elisa Bee combina in “Mind Game” la sua capacità di far ballare con degli spunti di riflessione, permettendo all’elettronica di ascendere a un livello più nobile e mentale. Per noi, ha riservato l’ascolto in anteprima di “Awaken”: la trovate in fondo, alla fine di una bella chiacchierata.
Sei arrivata a Milano nel 2009, facevi già musica in Sardegna, ma la scena al tempo era completamente diversa. Cosa ricordi di quel periodo?
Si, sono arrivata nel 2009 dopo due anni di dj set / dura gavetta in Sardegna. Di quel periodo ricordo la voglia fortissima di partecipare alle serate che purtroppo potevo “seguire” solo grazie alla mia connessione internet, di poter ascoltare finalmente gli artisti che seguivo; e in effetti Milano aveva tutto quello che in Sardegna mancava (e manca) dal punto di vista musicale: ogni settimana c’erano e ci sono tantissime cose da fare, qualsiasi siano i generi musicali prediletti. Ho imparato tanto anche solo ad ascoltare ed osservare tanti artisti all’opera, quindi di quel primo periodo a Milano ricordo sicuramente la sete di scoperta e musica. Dal punto di vista strettamente “club” il paragone con la Sardegna é nuovamente impossibile: una volta arrivata qua avevo l’imbarazzo della scelta, in un momento in cui la scena italiana era in gran fermento.
Ti mancano in qualche modo quei suoni pieni, quella energia, il presobenismo del tempo o ti ritrovi di più in questa fase più minimale e riflessiva?
Non c’è niente che mi manchi particolarmente, stavo bene allora come sto bene adesso. Una cosa che un pò mi manca riguarda me stessa, il mio modo di fare: all’epoca era tutto nuovo per me che arrivavo da Alghero e avevo molto più entusiasmo nel partecipare alle serate, mentre ora quell’entusiasmo l’ho “limitato” quasi esclusivamente ai miei dj set, al tempo che passo in studio e a fare ricerca; sarà anche l’età che avanza, ma mi manca a volte quella voglia di “fare serata” che prima sentivo molto di più. Sia chiaro, questo non significa che io non riesca più ad entusiasmarmi a concerti e serate nei club, anzi! Diciamo che sono solo molto più selettiva, non sono scarica ma “diversamente carica”!
Da allora ne hai fatta di strada, hai pubblicato per label come la Fool’s Gold di A-Trak, o la Southern Fried di Fatboy Slim, e sei in continua evoluzione. Hai voglia di parlarmi un po’ del tuo percorso dal 2009 ad adesso?
Quando ho iniziato nel 2007 i miei dj set suonavano acid jazz, nu jazz, funk, soul, hip hop e affini; si parlava anche di sei, sette ore di fila, quindi portavo con me tonnellate di cd (originali!) con tutto ciò che più mi coinvolgeva e influenzava. Nel 2009 erano appunto due anni che portavo in giro i miei cd e il mio gusto si è evoluto fino ad approdare alla house, alla techno e a tutti i suoni nuovi che all’epoca stavano spopolando nei club, spinti da quella che era la scena che abbiamo già citato; non sono quella che collezionava dischi di “Dance Mania” dall’adolescenza, ma appunto ci sono arrivata quando il mio djing era già avviato da un po’. Quando mi sono trasferita a Milano ho continuato con i dj set fino a quando ho sentito la necessità di iniziare a produrre la mia musica; nel 2012 ho messo online il mio primo bootleg, che è stato supportato da tantissimi dj e anche da Annie Mac su BBC Radio1, quindi è stato un bellissimo inizio per me! Da lì in poi ho prodotto musica molto diversa, da tracce spoglie ad altre con synth e percussioni, sempre seguendo i miei gusti e le mie influenze del momento, fino ad arrivare ad oggi e a questo “Mind Game EP”, sicuramente il lavoro di cui vado più fiera e che mi soddisfa di più sotto tutti i punti di vista (suono, struttura dei brani, label, ricerca).
Con questo EP rimani sempre in ambito house, ma i suoni si spogliano del loro passato fidget, ghetto, hip hop & footwork per diventare più essenziali, spaziali. Maturità o semplicemente cambio di influenze?
Credo tutte e due le cose; è da un bel po’ di anni che mi dedico a ricercare assiduamente pezzi degli anni fine ’80/’90, a capire cosa succedeva in ambito elettronico underground quando io avevo cinque, sei, sette anni e ascoltavo la radio commerciale italiana. Queste ricerche hanno sicuramente dato una bella scossa alle mie influenze e se in più ci mettiamo anche il discorso maturità… devo ammettere di aver riorganizzato tante cose a più livelli, trovando un’essenzialità in alcuni casi minimale, ma confortevole sia sul piano lavorativo che personale.
Com’è nata la collaborazione con UTTU?
La collaborazione con UTTU è nata grazie a Jimmy Edgar; inizialmente avevo mandato a lui le tracce e abbiamo iniziato a sentirci via email, mi ha dato dei consigli e ovviamente dei pareri, dicendo tra le altre cose che secondo lui sarebbero state perfette per la label di un suo amico, DJ Haus appunto (che ha fondato e gestisce UTTU). Io conoscevo già l’etichetta e la seguivo e stimavo da tempo, quindi sono stata molto felice quando Jimmy mi ci ha messa in contatto e ancor di più quando DJ Haus ha sentito i pezzi e ha deciso di farli uscire.
Nella press release dell’EP c’è questa frase: “She gave a soundtrack to the passions she grew during the last year, mainly physics and philosophy.” Mi puoi spiegare cosa intende?
E’ da un po’ di anni, e soprattutto nell’ultimo, che mi sono appassionata di fisica, misticismi, filosofia (in realtà quest’ultima mi è sempre piaciuta fin dal liceo). La fisica l’ho sempre temuta, anche all’università (ho studiato architettura), ma fondamentalmente perché mi sono imbattuta in docenti poco coinvolgenti. Poi un giorno ho sentito un conoscente parlare di fisica quantistica e ho iniziato a informarmi, a studiare per i fatti miei, ritrovandomi a leggere quasi solo libri su argomenti scientifici legati appunto alla fisica (che poi riguarda ogni cosa, che vediamo e che non vediamo); da lì è un attimo arrivare alle varie correnti filosofico/mistiche orientali, che da secoli avevano coscienza di fenomeni che la scienza “occidentale” è riuscita a spiegare nel ventesimo secolo — OK sto diventando noiosa! Un giorno un amico mi ha fatto sentire il suono di una pulsar, che ha ispirato il pezzo che porta quel nome (cercare su YouTube per credere); kalpa invece è un termine che indica i cicli cosmici nel buddhismo e induismo, cicli che io descriverei in musica come ho fatto nel pezzo che si intitola così… e così via. Ecco cosa si intende.
Hai un sito molto figo. Emerge parecchio, però, il tuo lato influencer: Marras fra tutti, ma collabori anche con altri brand. Come vedi questo aspetto del tuo lavoro?
Non credo di possedere quel lato, semplicemente collaboro con dei brand che mi piacciono e che supporto da sempre. Nel caso di Marras, soprattutto, ci conosciamo davvero da una vita, siamo tutti e due di Alghero ed Efisio (figlio di Antonio) è uno dei miei primi fan in assoluto! Quindi è naturale che ci piaccia supportarci a vicenda, a maggior ragione quando la stima reciproca è sincera e consolidata da tempo. Per il resto sono più una “testimonial” di quello che mi piace, la parola “influencer” non si addice proprio a nulla di quello che faccio. I brand collaborano e si interfacciano da sempre con artisti di ogni tipo, semplicemente prima lo si notava solo tramite riviste e pubblicità, ora invece lo si nota ogni istante su ogni social; ma diciamo che un mio “lato influencer” non lo vedo proprio!
Questo fenomeno esiste anche negli altri paesi, ma da nessuna parte in Europa tanto quanto in Italia. Credi che sia una spinta verso le luci della ribalta o qualcosa che devi fare ma limitante per la tua musica?
Si, devo ammettere di aver notato come in Italia questo fenomeno sia più presente rispetto al resto d’Europa. No, non credo sia una spinta né qualcosa che si debba fare, tanto meno un limite per la musica: come possono un post o la collaborazione con un brand limitare quello che la musica offre o la qualità di un DJ set? Se un pezzo spacca, lo fa e basta; se un DJ è bravo lo è a prescindere da questi contorni.
Abbiamo detto tutto o c’è qualcosa che vorresti sottolineare?
Direi che per oggi è tutto! Lasciamo ora parlare la musica…