Coincidenza probabilmente, ma anche no, chissà, in fondo ai piani alti discografici ci si parla e anche in Italia sapevano probabilmente che oggi Eminem avrebbe tirato fuori un pezzo nuovo. Sia come sia, nella stessa giornata sono usciti “Oh, vita!” di Jovanotti e “Walk On Water” di Eminem col featuring di Beyoncé. Qualcuno dirà: vabbé, che c’azzecca? C’azzecca che entrambi sono pezzi prodotti da Rick Rubin. E allora può essere interessante addirittura azzardare qualche confronto, qualche paragone.
Sorprendentemente, almeno per chi pensava che Rubin da Jovanotti avesse pensato solo di grattare un bel pacco di dollaroni, è molto più convincente quanto ha fatto per l’artista italiano che per il rapper statunitense: la base di “Oh, vita!” è molto retrò, nel senso che è davvero Rubin che fa il verso a se stesso, a quello che è riconosciuto come il suo tocco più tipico (oltre ad essere un lavoro non geniale ma sicuramente carino). Quanto invece si spenda su “Walk On Water”, mah. Magari c’è un lavoro di rifinitura tecnica enorme, ma si tratta davvero di un pezzo che si regge su un pianoforte che è abbastanza il massimo della banalità e della retorica e di mordente ne ha poco, musicalmente – ricorda Richard Clayderman, pure quando entrano gli archi strappalacrime.
Un’americanate sentimentale. Però: il ritornello di Beyoncé comunque si appoggia su un bel giro. Ma soprattutto: il rappato di Eminem è intensissimo. Non forse perfetto, arrugginito su alcune parti rispetto agli anni migliori, ma a livello di narrazione, parole scelte, nitidezza delle immagini è feroce. Soprattutto verso la fine, quando ad un certo punto parla della dipendenza da metadone e “The crowds are gone / and it’s time to wash out the blonde / sales decline”, uno schiaffo in faccia a tutta la retorica da vincente e da invincibile che per tanto, troppo tempo ha infettato il rap. Ora anche Eminem si accoda alla nuova corrente, quella chiamiamola “emotiva”, quella dove si mettono in piazza i propri dubbi, le proprie debolezze, si cerca di avere uno sguardo lucido ed onesto sul mondo (venato eventualmente da un po’ di tinte grigie e pessimiste). Sarà anche un wagon jumper su questo, ma in realtà lo fa talmente bene, in modo talmente incisivo, toccante ed onesto che insomma, non gli puoi dire nulla. Se non: porca eva, che fuoriclasse.
Anche perché riesce a nobilitare, appunto, una parte musicale che è una roba da film blockbuster statunitense melenso. Jovanotti non nobilita molto: tira fuori il suo solito piglio ecumenico, inclusivo, entusiasta. Lui di suo è un personaggio positivo. Mica è obbligatorio parlare solo di malessere e disagio. Anzi. Il problema è che se ascolti il suo rap subito dopo quello di Eminem – provate a fare questo esperimento – stride proprio come le unghie sulle lavagne. Con tutto che è una delle sue migliori prestazioni al microfono da sempre. La base, una specie di “tipico Rubin d’annata meets Ben Harper” ha un buon piglio ma non riesce a fare abbastanza maquillage per cancellare il gap. Ascoltare per credere.