Più che un un’intervista ai Ninos du Brasil – qui trovate “Vida Eterna”, il nuovo album – questa è una conversazione sull’arte intesa nel senso più largo possibile. A chiacchierare con Nico Vascellari del modo in cui i suoi lavori da musicista facciano parte di un progetto più ampio legato a doppio filo con il suo percorso nel mondo dell’arte contemporanea c’è Cosmo. Il risultato, quindi, non poteva che essere fuori dagli schemi e lontano dal consueto: una vera e propria chattata su Skype, senza regole e senza editing. Buona lettura.
Nico Vascellari – “Ghost”
Acciaio inossidabile, carta, nastro adesivo, telefono – 2017
Courtesy dell’Artista
Cosmo: Mr Vascellari qui Cosmo!
Nico Vascellari: Niente mi tocca usare il telefono. Computer non si collega. Muito NDB
C: Ahah! Ti scoccia?
N: No affatto, sono un maestro nel digitare al telefono. Tutto bene tu gran canaglia ?
C: Io bene, lavoro al disco nuovo. Sono carico.
N: Passamelo che non posso continua a cantare “Via…ci stanno mandando via”
C: Ahah! Sei in studio?
N: In studio, si.
C: Stai bene?
N: Piuttosto bene direi.
C: Ti alzi sempre presto, mi dicevi…
N: Tendenzialmente si. Sono cresciuto in una famiglia in cui dormire era considerato quasi una perdita di tempo e sono tormentato dall’idea di essere pigro.
C: Anche io dormo poco da qualche anno. E non solo perché ho figli. Da quando faccio solo il musicista ho come la sensazione che dormire troppo e poltrire mi porti in un baratro… Mah. Allora: Il disco è una bomba a mio modesto parere. Tu sei contento? Siete contenti?
N: Ti ringrazio. Noi Ninos siamo soddisfatti, sì. I nostri album sono sempre stati concepiti come camminamenti, viaggi. Al di là delle suggestioni visive qui abbiamo avuto una necessità di evoluzione a livello sonoro e credo si senta in maniera decisa.
C: Devo dire che prima ancora di ascoltare il disco avevo un’idea della strada che stavate intraprendendo. Una volta avevo fatto una chiacchiera con Nicolò e avevamo parlato di quanto ci piacessero la techno ambient, la dub techno… In qualche frangente di “Novos Misterios” già si poteva intuire, per non parlare dell’ep su DFA (e “Clelia Clelia” in particolare). In questo disco è successo. Parlami di come la vedi tu. Ti rendi conto che è un disco che sposta l’asse di posizionamento della band?
N: Certamente. Fino a questo momento il percorso di Ninos Du Brasil è sempre stato non calibrato ma sicuramente ragionato. Il progetto non è concepibile a prescindere dalle apparizioni live e questo è sempre stato chiaro, sopratutto nel momento in cui entravamo in studio. Dopo “Novos Misterios” l’impellenza era quella di lavorare su strutture ambientali e elettroniche definite ancora prima delle percussioni. Sapere che il viaggio che volevamo raccontare era quello di un percorso a piedi in mezzo ad una foresta notturna animata ha influito non poco. Basti pensare che alcune percussioni sono state registrate al buio più completo.
C: Trovo che siate sempre più vicini al clubbing.
N: Si, capisco cosa intendi. A livello sonoro su disco è indubbio ci sia stato un avvicinamento. Il live però rimane esattamente quel momento che rende ancora quasi impossibile contenere Ninos Du Brasil all’interno di un unico contesto.
C: Si questo è chiaro. Ed è quello che vi rende borderline da sempre. Semplicemente ora diverse tracce del disco un dj le può suonare in serata! Parlo proprio del prodotto puramente musicale. In quel momento non esiste nient’altro che la musica, non i Ninos du Brasil che performano.
N: Sì, in questo senso sono assolutamente d’accordo con te. E se è vero che i Ninos non esistono senza live e altresì vero che i loro dischi lo fanno eccome. Comunque “Novos Misterios” si chiudeva esplodendo in un pezzo essenzialmente techno. A quello sono seguiti due singoli che continuavano quel percorso. Ogni nostro disco lascia intendere in quale direzione poggerà il passo successivo.
C: La progettualità a questo livello mi sorprende. Ammirevole direi. Ma quindi devo dedurre che aveste già in mente da tempo di lavorare con Rocco (Congorock)?
N: Sì. L’idea di lavorare insieme ha origini antiche. Siamo amici da tempo. Ci scrivevamo da adolescenti lui ed io ma, al di là di questo, c’è sempre stato un reciproco rispetto e interesse. La convinzione di base era che Rocco avrebbe saputo interpretare in maniera chiara e decisa quello che era il desiderio di Ninos per questo album. Anche perché proviene dalla nostra medesima esperienza. Non a caso ho voluto Rocco anche nella produzione del progetto Lavascar da poco pubblicato da Red Bull Music.
C: Già, il background punk/HC vi unisce. Secondo me lui ha fatto un gran lavoro. Il mio orecchio almeno crede di sentire molto la sua impronta. E’ vero? Quanto c’è di suo?
N: Ha indubbiamente influito sull’esito del disco. La collaborazione è stata produttiva proprio perché tutti sapevamo che entravamo in studio pensando a lui come ad un terzo Ninos. Reciproco rispetto e interesse, come ti dicevo prima.
C: Io lo sento proprio nella qualità del suono, nella concretezza dei beat, nella “grassezza” delle basse.
N: Assolutamente. Questo è esattamente quello che abbiamo chiesto a Rocco entrando in studio.
C: A me infatti viene voglia di suonarlo in un djset… Ma ancora non ho avuto il piacere di sentirlo dal vivo. Rendono come immagino i pezzi nuovi?
N: A giudicare dalle reazioni del pubblico durante questi primi tre live di presentazione (Milano, Roma e Skopje) direi di sì.
C: Delirio?
N: Sì. Delirio e poca inibizione. Sono cambiati e stanno cambiando diversi dettagli del live proprio perché questo è un aspetto che ci interessa molto. Intendo la partecipazione del pubblico.
C: Questo è un punto che volevo proprio toccare. Parliamo un attimo dell’inibizione che vive la gente in occidente rispetto al ballo nei concerti? Che razza di problema abbiamo col nostro corpo?
N: La consapevolezza dello sguardo altrui…
C: Ecco. Ci penso spesso… Che palle eh?
N: Il comunicato stampa che accompagna il primo disco di Ninos Du Brasil è in buona parte stato scritto come un manifesto. Lo hai letto? “Ignorante ma non stupido, primordiale ma lungimirante, azzardato, scorretto ed eccessivo, “N.D.B.” e’ una dichiarata guerra all’idiozia e alla superficialità della musica pop attuale ma anche alla timidezza e alle inibizioni comportamentali delle sale da ballo e dei locali pubblici tutti. Le tracce dell’album sono armi fatte di percussioni esistenti (cuica, congas, campane, jambè, rulli, piatti, claves, maracas, fischietti, campanelli e richiami per animali) inventate (bottiglie, lattine, pezzi di legno e ciarpame indefinito) al fine di coinvolgere il pubblico ad un approccio viscerale e sessuale al ritmo e all’esistenza”.
C: Sì, è per questo che avevo già pensato di toccare questo punto. Come aggredivate questa inibizione all’inizio e come l’aggredite in questo tour?
N: Essenzialmente l’approccio rimane lo stesso di sempre. Talvolta dal palco lo diciamo in maniera piuttosto diretta ‘siamo quassù vestiti come merda perché ci aspettiamo questo possa aiutarvi a sentirvi meno a disagio la sotto’. Qualcosa del genere insomma. E indubbiamente le percussioni contengono qualcosa di atavico. Un qualcosa che mi è sempre piaciuto definire ‘fossile d’esperienza’ (diverse mie sculture sono così intitolate). L’idea che reagiamo ad un suono perché lo riconosciamo senza averlo necessariamente sentito prima o averne comunque ricordo.
C: Sono d’accordo. C’è qualcosa di magico. Qualcosa che chiama da lontano. Che ci ricorda cosa eravamo forse. O cosa dovremmo essere.
N: Forse cosa saremo. Einstein ha detto “Non so con quali armi si combatterà la terza guerra mondiale, ma sicuramente la quarta sarà fatta con sassi e bastoni”. Diciamo che se ci sarà la quarta guerra sono convinto anche io sarà combattuta con quelle armi. E aggiungo che i primi trenta minuti di 2001 Odissea Nello Spazio sono tra i capolavori assoluti del cinema.
C: Insomma si, una connessione tra passato preistorico e futuro.
N: Proprio così.
C: Come fossimo in una strana fase di mezzo. Ma tornando sul discorso più specifico, senti qua: secondo te dobbiamo tirare in ballo concetti come alienazione o scissione corpo/mente che è tanto più evidente se guardiamo a culture altre come quella africana (o a concetti olistici propri delle filosofie orientali) oppure possiamo parlarne più semplicemente, tipo che raramente produciamo musica live che sappia smuovere i corpi?
N: Non necessariamente vedo alienazione o scissione corpo/mente divergente da musica live che sappia smuovere… Trovo esattamente positivo che le persone abbiano ancora voglia di andare ai concerti per esempio.
C: Assolutamente, ma spesso posizionano lì il loro corpo con estremo imbarazzo.
N: Certamente bizzarro se pensi per esempio a quanto imperversano video e foto nei social dove le persone ballano o si comportano senza alcuna inibizione davanti ad una telecamera che tengono con una mano.
C: Questo è ancora un altro discorso.
N: Temo siano collegati e per questo non è semplice rispondere alla tua domanda.
C: E’ il next level della scissione tra mente e corpo…
N: Penso siano collegati perché la mia esperienza con la musica nasce da un supporto materiale: il vinile, la casetta, il cd… Questo creava un interesse nei confronti di un gruppo attraverso un manifesto quasi filosofico legato ad un’immagine fatta dalla grafica, dal tipo di carta e dal suo odore, dai testi, dai loghi delle etichette, dal prezzo scelto dal gruppo per il proprio disco. E da lì mi avvicinavo al live. Ma chi al live arriva dal digitale? Io credo ci sia una qualche connessione. Comunque, rimanendo in esperienze dirette e personali, uno dei nostri ultimi concerti è stato in Uganda. E ti assicuro che è diverso.
C: Dai dai racconta! Che tra l’altro voglio farmi un superviaggio in Africa tra un po’.
N: Michael Jackson diceva non devi pensare alla musica, devi sentirla. E anche per questo siamo arrivati all’idea dei vampiri per il terzo disco. Perché volevamo un’idea di possessione.
C: Infatti ero anche curioso riguardo al vampirismo. Quanta carne al fuoco, mi tremano le ditine.
N: Comunque non è facile parlare dell’esperienza africana, perché le conclusioni suonano come già sentite.
C: Dici che deve essere vissuta in prima persona se no sa di retorica o di luogo comune?
N: Sì assolutamente.
C: Gran vibra eh?
N: Incredibile.. Un altro rapporto con il corpo.
C: Ti sei commosso?
N: Devo essere sincero? Sì. Mi sono commosso. Ho avvertito il peso della mia cultura, delle sue imposizioni, delle sue etichette comportamentali, della latente morale cattolica. Viviamo un periodo di oscurità medioevale
C: Il viaggio oscuro di cui mi parlavi. Il riferimento alla notte, al vampirismo, a una dimensione scura e alla possessione… Mi parli di questo mondo a cui attingete?
N: I pensieri anche qui sono stati molteplici. Da una parte c’era questa idea del clubbing al quale accennavi anche tu prima, per cui si parla ovviamente di un mondo notturno. Dall’altra l’idea della possessione da parte del suono legata alla percussioni. Entrambe ci sembrava trovassero un punto di unione nel pipistrello/vampiro: un animale che vede ascoltando. E poi quell’idea di terrore nella quale viviamo, quell’idea di essere ‘condannati da una lingua sconosciuta’.
C: Ah ecco! Grande espressione tra l’altro. Torniamo un attimo ad aspetti più mondani: mi racconti del feat. con Arto Lindsay?
N: Arto l’ho conosciuto al festival Netmage a Bologna. Io e lui condividevamo lo spazio della mostra. Lui presentava un’installazione audio che conviveva perfettamente con la mia installazione legata al mio video “A Great Circle” di cui i With Love avevano curato la colonna sonora. Siamo rimasti in contatto da allora perché ovviamente stimavo il suo lavoro e lui aveva rilasciato un’intervista in cui diceva che quella mia installazione era tra le cose più bella che aveva visto negli ultimi anni. Da allora sono passati diversi anni prima che Ninos Du Brasil nascessero e ne sono passati degli altri prima che io abbia avuto il coraggio di farli ascoltare ad Arto. Ma quando l’ho fatto ha apprezzato. Mi è sembrato quasi inevitabile chiedergli di partecipare al progetto ipotizzando che cantasse e che per la prima volta inserisse un testo reale.
C: Il suo cantato mi ha anche fatto venire in mente: dopo tre dischi in cui la matrice armonica è sempre e comunque statica, da trance, come vedi in futuro l’inserimento di accenni melodici, movimenti armonici?
N: Come ti dicevo prima ogni disco si chiude lasciando intendere il futuro… C’è una sorta di somiglianza sonora tra l’ultima traccia di “Novos Misterios” e “Vida Eterna”. A sua volta “Vida Eterna” si conclude con melodia e voce e sopratutto con un titolo che lascia intravedere la luce. Vagalumes Piralampos sono due parole che in portoghese significano la stessa cosa: lucciole. Intese qui come creature che indicano il cammino per l’uscita dal buio.
C: Bellissimo.
N: E poco prima c’è la canzone intitolata “Laddove l’acqua dolce incontra quella salata”. Indica un arrivo al mare. Muito NDB partiva sentendo il rumore del carnevale da lontano. In Vida Eterna il rumore del carnevale non si sente, ma è vicino all’acqua salata che si svolge. Più di così sul prossimo disco non anticiperei. Ma ci sarà e ci stiamo già lavorando. Il buio è alle spalle.
C: Troppo gentile già così. Senti, ho ancora un paio di cose da chiederti…
N: Vai.
C: Cos’è l’idiozia della musica pop?
N: partiamo dall’idea che il primo approccio alla musica pop avviene per la maggior parte delle persone attraverso musica proveniente dagli Stati Uniti o dall’Inghilterra in un’età in cui non sanno nemmeno cosa sia la lingua inglese. Le parole diventano puro suono. Non mi pare nemmeno male in considerazione del fatto che spesso i testi hanno profondità piuttosto modesta. Da piccolo scimmiottavo per esempio le canzoni di Madonna davanti ad un registratore a cassetta: “Tu Blu Bebi Ai Lov Iu”. E’ stata un’esperienza fondamentale per il concepimento dei Ninos Du Brasil, non solo per la scrittura dei testi. A questo aggiungerei il fatto che sono estremamente affascinato dal pop e interessato ad esso, non solo come fenomeno ma anche come suono. Non è musica facile da scrivere così come credevo e predicavo da adolescente e come molti continuano ingenuamente a sostenere. Ma è anche vero che quella che per comodità definiremo l’industria dell’intrattenimento per questioni economiche è legata non all’emancipazione dell’individuo ma piuttosto alla sua omologazione e al suo soggiogo quindi il suono è un prodotto che non può correre il rischio di non funzionare economicamente.
C: A tal proposito si può dire che Ninos Du Brasil nel complesso sia il tuo primo progetto che non graffia, non crea disagio e via dicendo? Lo trovo inclusivo, talvolta scuro e violento, ma più vicino a un rito tribale che a una performance provocatoria. Che ne pensi?
N: In Ninos Du Brasil così come nel mio lavoro in generale non trovo nulla di provocatorio ma trovo che la differenza per me sta nel fatto che, come dicevo prima, questo progetto per esistere in una maniera per me interessante ha bisogno del pubblico. È per questo che per definire Ninos Du Brasil ho pensato all’espressione ‘Another Kind Of Pop’.
C: Mi piace il concetto allargato di pop, e mi piace scoprire questa tua visione. Ma a proposito di arte e società, come ti senti di rapportarti rispetto al sistema economico in cui vivi (e nominiamolo cristo: capitalismo)? Pensi di contrastarlo in qualche modo?
N: No, non penso affatto di contrastarlo nè, mio malgrado, penso sia possibile farlo. Si può certamente tentare di limitare il proprio contributo ma è poco o nulla nel momento in cui si accetta di vivere in questa parte del mondo. Indubbiamente nel tempo ho assecondato la mia natura di artista anche perché sentivo la necessità di totale autonomia intellettuale e creativa ma anche economica.
C: A volte sospetto che l’arte tutta, e non solo quella dell’industria culturale più glitterata, possa essere l’ennesima enorme truffa del capitale. Secondo te?
N: Una prerogativa dell’arte è la sua sopravvivenza anche dopo l’artista. Dopo l’umano. Io sono certo sopravviva anche al capitale e alle sue truffe.
C: A volte mi sembra che l’arte sia tremendamente selettiva e autoreferenziale e per questo innocua. Dici che per uscire da questo punto di vista dovrei slacciarla dal ogni contesto? Si deve vivere l’arte senza contestualizzarla? Perché mi sono convinto che sia il mondo della borghesia/classe media istruita a bazzicarla, e mi fa un po’ strano che la gente comune ne sia al di fuori. Ci si deve accontentare di essere dei borghesi occidentali visionari applauditi da altri borghesi?
N: (Viva la figa)
C: Puoi anche mandarmi affanculo, eh.
N: Nella tua domanda ovviamente è contenuta la risposta perché accontentarsi è la sopravvivenza, non l’esistenza.
C: Quindi si sopravvive.
N: No, affatto.. Intendo dire che non ci si può accontentare.
C: Cioè?
N: Che l’applauso e il consenso arrivino da un borghese, come dici tu, o da un ….. (metti qui quello che vuoi), per me ha poca importanza. Non ci si può accontentare del consenso sopratutto del consenso del circuito nel quale si opera.
C: Eh ma di fatto è così. Chi mette piede nelle gallerie? Chi viene ai live dei Ninos?
N: Se non altro non sono necessariamente le stesse persone. Ogni circuito è elitario, definisce regole estetiche e comportamentali. Io ho sempre operato perché il mio lavoro comunicasse e fosse comunicato parallelamente in più livelli.
Nico Vascellari – Untitled Song – 2004
Courtesy dell’Artista
C: Ok, ma di fatto hai presente quanta gente c’è la fuori?
N: Sicuramente va più gente a vedere la mostra ‘Bodies’ che qualsiasi mia. Ti sorprenderà ma non mi pare affatto un problema. La gente mi ha deriso fin da quando ho deciso di non indossare le Timberland e imperversavano i paninari.
C: Ci sono milioni e milioni di persone che proprio se ne sbattono di quello che fai e se lo vedessero si annoierebbero, deriderebbero… Io parlo proprio della gente che come passatempo va al centro commerciale, che ne so. Le decine di milioni di italiani “comuni”.
N: Trovi che la cultura debba parlare a chi di cultura non si interessa?
C: E’ questo ciò che intendevo: a chi parli? A gente che ti vuole ascoltare, che paradossalmente è già in sintonia.
N: Ma nel momento in cui parli di borghesia e galleria limiti la discussione ad un solo aspetto anche perché per esempio, la Biennale d’arte ogni anno ha decine di migliaia di spettatori in più. L’idea di predicare ai convertiti non mi è mai interessata. Ninos Du Brasil per esempio desta poco interesse (spesso scarsa comprensione) da parte di chi segue il mio lavoro d’artista e viceversa il mio lavoro d’artista è spesso non compreso da chi viene ai concerti dei Ninos.
Nico Vascellari – (Excerpt from) REVENGE – 2007
Courtesy dell’Artista e Biennale di Venezia
C: Parlo di gente che non andrebbe manco alla Biennale.
N: In generale sento di poter dire che pochi o nessuno comprendono il mio operare come un unico progetto. È un lavoro impegnativo.
C: Ah ma ci sta infatti eh. Il mio discorso sull’essenziale neutralità dell’arte era una riflessione sul fatto che un artista parla inevitabilmente a un pubblico con cui è già in sintonia, quindi in quel senso o ci si accontenta o si… dimmelo tu.
N: Non credo sia vero che il pubblico sia già in sintonia. Sicuramente è già interessato ma parlare di pubblico e contesto non significa parlare di arte… Mi è capitato spesso di entrare in un Museo e sentire la magia, la meraviglia e la libertà di un luogo in cui gli esseri umani contemplano e preservano dal tempo qualcosa che non necessariamente ha una funzionalità.
C: Appunto, quindi basta slacciare le cinghie del contesto per uscire da questa mia visione. Grazie, era un po’ quello di cui avevo bisogno.
N: Prova a pensare alla gente che frequenta una chiesa. Pensa ora alla chiesa e al suo silenzio. Prova a pensare alla gente che frequenta un museo (o che non lo frequenta). Pensa ora al museo e a quello che contiene. Non resistiamo al tempo ma quello che facciamo si. In generale questo è veramente un tema complesso.
C: Lo so, ma è bello parlarne…
N: Sì assolutamente.
C: Riempire le nostre vite così…
N: Io ho cominciato a fare scultura e a pensare che le mie performance fossero sculture, perché lavoravo su livelli. A questa cosa dei livelli sono arrivato a pensare tramite With Love. Spostare With Love dal centro sociale al Museo.
Nico Vascellari – “Lago Morto” – 2009
Courtesy dell’Artista e Kunsthaus Graz
C: Quella è stata una mossa che mi ha esaltato, infatti.
N: Oppure quell’installazione che ti dicevo al Netmage, che si svolgeva tutta su un palco che avevo prelevato dal’ XM24 e per la quale spostavo il pubblico cercando di produrre un doppio effetto: volevo che chi amava With Love vedesse in me un traditore e che vedesse nel concerto una performance d’arte e al tempo stesso volevo che chi cercava la performance d arte vedesse un concerto. Arte e punk, per schematizzarla, sono ambienti elitari. Entrambi piuttosto liberi rispetto al resto dei contesti, non perfetti ma tentano, ci provano. Ma quell’oscuro tempo medioevale del quale ti parlavo prima è qualcosa che nella cultura ora è veramente presente. Pensa per esempio a come per contrastare l’idiozia di uno come Trump siamo costretti a subire la dittatura del politically correct. Capisci cosa intendo?
C: Eccome se lo capisco, è un paradosso di merda. Non si può rischiare un niente in ‘sto periodo. Ma forse forse… è il momento migliore di rischiare?
N: Si deve rischiare. Non si può sopravvivere caro mio.