Per chi ha bazzicato Milano, questa è la Storia con la “s” maiuscola. La storia di Pervert, di P:Gold (che Zero ha raccontato qui in questo pezzo apparso in questi giorni). Una storia contraddittoria, con entusiasti e detrattori, con molte persone che hanno tenuto entrambi questi ruoli passando dall’uno all’altro nell’arco degli anni. Una storia che ora a Milano ritorna: il 7 dicembre, al Gate (l’ex De Sade), c’è il ritorno di Obi Baby a nel luogo dove tutto ebbe inizio, dieci anni fa. Dieci anni di ascese e discese. Che lui ci racconta senza filtri, in una intervista di rara intensità. Nel bene e nel male. Di quelle che oggi non vi capita di leggere tanto spesso.
Ci siamo rivisti a Macao, dopo circa dieci anni, in occasione della festa dei vent’anni di Zero. In quell’occasione ti ho salutato dicendoti: “E’ passato tantissimo tempo, ma siamo in discreta forma” e tu hai risposto: “Sì, siamo ancora vivi“. Allora ti chiedo: ti senti un sopravvissuto ?
Sopravvissuto del tutto, no. Sono una persona che ad un certo punto ha fatto delle scelte, ti ho detto “Siamo ancora vivi” perché tutti quanti ci credono morti. Questa cosa inizia anche a divertirmi, perché in realtà siamo ancora molto attivi rispetto alle cose che facciamo. Le facciamo in un modo totalmente diverso rispetto al passato, questo sì, e in molti ci credano morti perché vogliamo che ci credano morti. Ad un certo punto di estremo mainstream, e di tutto quello che ne comporta, un po’ abbiamo fatto una scelta, un po’ ce l’hanno fatta fare…
Ricordando gli anni d’oro del P:Gold e del Sodoma è innegabile definirti il Re di Milano. Milano ha sempre avuto i suoi re: da te a Marcelo Burlon, c’è sempre stato un personaggio sopra a tutti che dettava il trend e anche certe filosofie. Come vivevi quella situazione, vista dal tuo trono?
Cazzo che domanda! Intanto va detto che questo trono io l’ho ereditato da Marcella e Colazione da Tiffany. C’è stato inizialmente questo affiancamento, al tempo c’era questa onda molto fashion, oltre ad un modo di fare discoteca che si rifaceva molto a Riccione, quindi con i soliti tre quattro nomi di base: Di Rocco, Ralf, Montanari, Massimino. Queste quattro super star avevano di fatto il predominio del mercato, insieme agli Angels Of Love ed Echoes. Parto da questo affiancamento perché voglio farti capire meglio il mio ruolo, che è stato sempre quello di provare a rompere regole ed autarchie. A quei tempi, quel tipo di idea di discoteca non permetteva a nessun altro di entrare in questo giro: non dimentichiamoci che Colazione da Tiffany ai tempi faceva eventi da tremila o quattromila persone. Noi siamo andati contro quel muro, fatto solo di cantatoni americani, due coglioni… Ci rifacevamo ad una scena inglese più hard house e a quel segmento che poi avrebbe introdotto la techno. Se sono diventato qualcuno o qualcosa è perché con molta, molta fatica ho portato innovazione, introducendo piano piano i primi nomi: Sven Väth, Magda, Kalkbrenner, tutti pagati duemila euro ai tempi, e li abbiamo fatti tutti. Ragionando su questo ti posso dire che il mio punto di vista di quegli anni era di grande euforia, perché sì, tu ti rendi conto di essere seduto sopra un trono. Io per un attimo ho avuto la sensazione di essere seduto su un punto di vista privilegiato, in cima ad una scena che in Italia non era per niente sfruttata e dal potenziale mostruoso.
Altroché spezzare autarchie però…
L’introduzione è stata tosta. Ricordo un compleanno del P:Gold al DeSade a febbraio, praticamente soli con il nostro progetto di P:Gold, mentre dall’altra parte all’Amnesia si consumava tutta la nomenclatura italiana della vecchia generazione, tutti insieme. Quel famoso “Ralf ci fa un pompino”, che fu lo scandalo, era perché Ralf nonostante lavorasse con noi su altri progetti aveva deciso di appoggiare comunque questa serata facendo arrivare gente da tutta Italia. Quella notte fu la consacrazione della nostra battaglia. Io gli misi contro Leone di Lernia e Steve Lawler, quindi questo mix pazzesco dove da una parte si consumava il meglio della nuova generazione mischiato con il peggio del trash italiano, rifatto in chiave ovviamente Pervert, mentre loro rimanevano al “Tu sì, tu no, tu forse, tu mai!“.
Una battaglia peraltro difficilissima, no?
Ricordo che mi facevo un sacco di paranoie. Io venivo da una scena Pervert fatta da tanti gay, molto chiusa, dove io arrivavo mettendo i brani di Josh Wink senza che nessuno immaginasse nemmeno chi fosse. Fu un percorso difficile che ci ha portato anche a scelte dolorose, come il doversi staccare dal mondo gay che più di tanto non capiva. Del resto la storia di oggi te lo fa capire: dove sono oggi? Ancora con Lady Gaga, anzi, secondo me c’è stata addirittura un involuzione della scena gay nell’ultimo periodo. Per chiudere il cerchio: sì, ero in una posizione privilegiata tanto stimolante quanto piena di nemici.
Una monarchia di solito cade per due motivi: o perché subentra un nuovo re, il più delle volte in forma bellicosa, oppure per stanchezza. Perché hai abdicato, o meglio, quando è iniziato il declino del P:gold ?
Non credo di aver abdicato, la mia è stata più una resa dovuta a diversi fattori. In primo luogo questa deriva in cui era entrato il P:Gold, fatta di ragazzini, collane, perline e tutto l’aggregato. In realtà di deriva parlano poi gli altri; per me prima degli emo il P:Gold è stato l’ultimo movimento di aggregazione e identificazione di una tribù. Oggi questo non è più possibile né pensabile. Io rivendico un grande passaggio nella moda e nel costume di Milano. Considera poi che io non ero pronto! Non ero pronto ad un’accelerazione così mostruosa. Ad un certo punto mi sono trovato coinvolto anche emotivamente: pensa che prima degli spettacoli andavo in bagno a vomitare. Caratterialmente, nonostante avessi creato questo alter ego Obi Baby, e anche se immagino possa far ridere, mi ritengo una persona abbastanza timida. Inoltre non avevo nessuna esperienza imprenditoriale o manageriale: io mi sono ritrovato una bomba tra le mani che poi è letteralmente esplosa.
Ricordo “Obi Baby è impazzito“…
Esatto! Ma tutto quello che faccio ha un profondo ragionamento dietro, non ero impazzito. Con il tempo, e questo è un altro fattore, si era completamente scollato quello che facevo da quello che ero. Molti mi rinfacciano il negozio del Pervert fatto senza alcuno spirito imprenditoriale per sfruttare la moda che io stesso avevo inventato, ma quella fu una follia mia, un’esigenza di creatività. Io ancora oggi ho l’esigenza di fare delle cose, di creare format. Sicuramente, e dico purtroppo, del P:Gold hanno fruito persone troppo giovani e questo sicuramente è stato un errore, ma io ho lasciato l’assoluta libertà che chiunque facesse del mio lavoro ciò che voleva. Ripeto, questo è stato un errore. Bisogna capire poi in quale misura. È come quando tu dai amore, non puoi decidere a chi dare amore: dai amore incondizionatamente.
Avevi però una corte normale ed una corte dei miracoli ai tuoi piedi.
Quella corte dei miracoli era una corte comunque molto unita, vivevamo quasi in una comune, altro che Berlino. A Milano una cosa così non l’aveva mai vista nessuno. Avevo un loft di 250 mq comprato per la condivisione. La corte a cui ti riferivi poi, sia quella normale sia quella dei miracoli che senza dubbio esisteva, ovviamente ha cominciato ad espandersi. Come tutte le cose, in Italia quando cominciano ad avere una certa evidenza subiscono l’arrivo di gente che si aggrega con il solo intento di sfaldarle. A quel punto il mondo che mi sembrava perfetto ha cominciato a sgretolarsi. Le pubbliche relazioni ad esempio, che sono state fedeli comunque quasi fino all’ultimo o fino almeno al momento in cui non era evidente che l’aria cominciava a cambiare, mi hanno voltato le spalle.
Chi ha ucciso il Pervert? Sei stato vittima di te stesso?
L’ho ucciso io! Vittima di me stesso, no. Quando ho deciso di fare P:Color è stato un atto di coraggio. Dire “Basta perline mi avete rotto i coglioni” è stato il mio estremo atto di volontà, per dire o si cambia o si muore. Siamo morti perché, ovviamente; non si poteva cambiare. Eravamo ossessionati da questa stronzata delle perline e intorno a me vedevo mancare la voglia di andare avanti, a quel punto ho detto basta e sì, ho ucciso il Pervert.
Non ti sei mai nemmeno sentito vittima del tuo alter ego? Immagino ad esempio a tutta una serie di pubbliche relazioni che non si interfacciavano con Cristian, il tuo vero nome, ma ormai con Obi Baby…
Le pubbliche relazioni con Obi Baby hanno fatto i migliori soldi della loro vita, erano tutti contenti nel vedermi fare il giullare drogato che saltava e cadeva dal palco. Qui arriviamo all’ultimo fattore che ha determinato il crollo della cosiddetta monarchia: Sicuramente l’industria dei dj e tutto il management che già al tempo gli ruotava intorno all’apice ha deciso di stroncarmi il giocattolo. Tieni presente che da Steve Lawler noi eravamo andati parecchio avanti, Marco Carola a Milano l’abbiamo portato noi per dire. Queste agenzie, che cominciavano a prendere sempre più piede e a fare il bello e il cattivo tempo, fino a quando gli sono servito per introdurre questo nuovo filone musicale in Italia mi hanno usato e sfruttato e allora: “Obi Baby e Diabolika sono il top”; Subito dopo non servivamo più. Preparati perché sto per svelarti il grande inghippo dietro che non ho mai svelato a nessuno.
Un altro caffè e una sigaretta allora…
Ricordo una riunione negli uffici di Max Colombo, direttore storico del Fluid, tra me, lui, il proprietario del Mazoom, il proprietario della Centrale Del latte, le pubbliche relazioni, per cercare di fare un cartello comune e stabilizzare i prezzi dei dj, che iniziavano a levitare. Credimi, non era nulla in confronto alle cifre che girano adesso, ma anche al tempo erano cifre pazzesche. Ecco: dei presenti a quella riunione non è rimasto in giro più nessuno, tranne me e quelli che dalle pubbliche relazioni oggi portano in giro i dj a Milano e che sono comunque strangolati. Di fatto tutte le maggiori agenzie si sono messe a tagliare le gambe a tutti. Erano loro che andavano in giro per l’Italia a dire: “Ancora Obi Baby? Obi Baby al Cocoricò non è più cool“. Esisteva solo il dj perché loro dovevano vendere questo prodotto, uccidendo la nostra forma di clubbing.
Da re ad Anticristo…
Perfetto! È proprio così, da quello che per primo li aveva importati ero diventato l’Anticristo che non sapeva ospitarli, che li trattava male. Ricordo un Sodoma Visionaire ai Magazzini Generali con Ambivalent: lui arriva, e supportato dall’agenzia comincia a pretendere uno strapotere all’interno della mia serata. Tu sai come sono le mie serate, sai che ci sono precisi connotati, poi ti possono piacere o meno – ma ci sono. Sai che il pubblico si aspetta determinate cose, sai che se devi suonare un’ora e mezza suoni un’ora e mezza. Se vieni a casa mia, devi seguire le mie regole. Ti do massimo rispetto, ti faccio avere quello che vuoi, io ti offrirò il massimo dell’ospitalità, ma devi rispettare casa mia e il mio show. Non suoni due ore perché sono il minimo di facoltà di espressione artistica che ritieni ti debbano concedere quando determinate regole le hai accettate prima. Io non credo che tutto sia dovuto al guest. Invece siamo arrivati a dargli il culo, e continuiamo a darglielo. Secondo me i dj sono la fine della club culture, vorrei fosse chiaro questo.
Anche perché tu, dj o meno, facevi tendenza portando l’intrattenimento ad un altro livello. Come facevi?
Dando dei contenuti. Nessuno ha davvero un art director, sono tutti solo dei compratori. Per carità, oggi si parla di luci, impianti, ed è sacrosanto… ma il divertimento dove cazzo sta? Le feste che fine hanno fatto? Questa assenza di contenuti, di entertainment, ha allontanato il pubblico medio. Tutta questa settorialità di sistema, che tutti hanno contribuito a creare, ha di fatto ucciso il divertimento. Bellissimo il clubbing eh, per chi ne è interessato, la fascia media però si rompe i coglioni. Quella fascia media invece è importantissima, sai in quanti sono venuti da me dicendomi (in parte anche chi scrive, NdI) “Io sono partito dalle vostre feste per avvicinarmi al mondo del clubbing e dell’elettronica“.
Tra l’altro tu facevi un certo tipo di tendenza senza internet, senza social, senza video su YouTube che raccontano la serata. Cosa sarebbe successo se avessi avuto a disposizione anche un potere mediatico come quello dei social, o di internet?
Avrei avuto ancora più paura.
E di contrasto, con i mezzi che invece oggi ci sono a disposizione, come si fa tendenza? Ci si ritira in un circolo chiuso ripartendo da lì, come state facendo?
Di fatto tutto è partito così. Al tempo eravamo una piccola cricca gay che ha deciso di aprire le porte ad un mondo etero trovando un mondo preparato, pronto. Oggi non è più così, oggi quel mondo è fascista, quindi differenzio. Innanzitutto ho cercato di eliminare la troppa passione, il troppo attaccamento ai miei prodotti. Credo di essere cresciuto spiritualmente e di essere maturato io. Ho cercato di diventare imprenditore di me stesso, di ragionare con questo spirito necessario in questo periodo che giocoforza stiamo vivendo, mantenendo questo spirito di famiglia che ha sempre contraddistinto i miei prodotti. In realtà la storia si sta ripetendo, a me sembra di vedere un nastro che si è riavvolto e che ripropone quello che abbiamo vissuto nel ’93.
A livello di scelta musicale invece cosa cambia dal vecchio P:Gold a questo nuovo che stai per presentare? La musica è cambiata.
La musica non è cambiata, cambiamo noi, cambia il livello delle nostre esigenze. Oggi c’è un gran casino. C’è gente che ancora fa feste anni ’70, ad Ibiza con Glitter Box sta tornando la disco, non è cambiato un cazzo. Cambiano le nostre scelte. Anche io mi sono chiesto “Dove vado? Edm? Di tutto un po’?” In realtà rimango dove mi sono sempre posizionato, con il mio stile, non saprei nemmeno dirti io stesso cosa suono. Ho il mio stile, non lo so cosa suono, trovo ci sia bellissima musica in tutti i generi, questo l’ho sempre detto. Io non tollero proprio a livello fisico un set che rimane sempre uguale.
La cosa bella di quelle serate di dieci o quindici anni fa era che, lontani anni luce da Shazam, era difficile beccare le tracce che suonava Obi Baby. Io “He Not In” dei Chicken Lips l’ho sentito da te, come facevi?
Facevo una ricerca continua e massacrante tra Torino, Londra, mi arrivavano pezzi dal Canada, da tutto il mondo.
C’è un pezzo di quel periodo a cui ti senti più legato?
Ce ne sono talmente tanti, tutti i dischi storici miei, i più caratterizzanti, non sono mai diventati dischi da intenditori. A me piaceva frugare nella spazzatura. Quando ho tirato fuori “Obi Baby è impazzito” era un pezzo hardcore che io ascoltavo e che ho voluto mettere dentro le mie serate esattamente come un cesso di Duchamp piazzato lì fuori da ogni contesto. Considera che se vai a prendere tutti i miei vinili ci trovi dei titoli assurdi scritti sopra tipo “Kristina Ketamina” perché dovevano trasmettermi un’emozione che a mia volta volevo passare all’interno della serata. Non ho mai guardato troppo a chi li faceva o li produceva. Contavano gli ingredienti.
Nella musica di adesso c’è qualcosa che ti affascina di più?
Io davanti a Beatport mi addormento, tiro certi sbadiglioni pazzeschi, c’è tanta di quella merda che è difficilissimo trovare nuove gemme. La cosa che mi diverte oggi, come mi divertiva ieri, è trovare l’artista sconosciuto da quattro like che produce cose divertenti in chiave Obi Baby. Mi piace ascoltare musica che mi rappresenti, mi piace rispetto a quando avevo vent’anni la fruibilità istantanea, in confronto ai viaggi a Londra in charter tornando a casa con borsoni pieni di dischi nuovi, mi piace questo nuovo miscuglio di sonorità, ma se ci pensi c’era anche ai tempi.
Preparando questa intervista ad un certo punto ho pensato ad alta voce: “Ti immagini Arca al P:Gold?”. Qualcuno sentendo questa riflessione mi ha risposto: “Arca non ci viene al P:Gold, non sarebbe il più eccentrico, non sarebbe la regina”. Voi avete sdoganato un mondo gay sommerso…
Forse sì, guarda proprio pensando al prossimo P:Gold noi abbiamo preso tutta la nuova scena gay che è fatta di mille mondi diversi ormai parcellizzata in mille serate, cercando di essere un trait d’union per questo mondo, cercando di farlo interagire, facendoci un pochino interpreti di una certa scena. Non credo sia più solo un discorso di sdoganare il mondo gay, è come ti dicevo prima dare l’occasione di fare festa ad un pubblico che ormai è cresciuto con noi. Chi viene al Pervert oggi deve prima pensare a trovare una baby sitter per i figli. Fortunatamente – e lo dico con amarezza – ci siamo liberati del pubblico adolescente.
Secondo te la scena club è pronta per il nuovo P:Gold? Ritieni sia pronta ad uno spettacolo diverso dal meccanismo dj, luce fissa, posto buio, un po’ di strobo e nulla più?
Non lo so. Se ti riferisci alla gente che frequenta la scena clubbing di Milano oggi, ti rispondo assolutamente no. È come se io da Anticristo andassi da un cattolico praticante a dirgli vieni con me ti faccio divertire. Siamo l’opposto, e mi viene da ridere se penso al fatto che l’abbiamo introdotto noi un certo tipo di clubbing. Considera che uno dei più noti pr milanesi di questo modo di fare clubbing faceva i video su YouTube prendendo la maglia del Pervert e buttandola nel cesso tirando l’acqua. Quei clubber che oggi si proclamano influencer o che hanno provato ad esserlo dieci anni fa, sono tutti quelli che avevano creato il movimento anti P:Gold prendendo per il culo il lato più fragile del Pervert che erano i cosiddetti P:Goldini con dei connotati di omofobia totale. Perché è vero che Obi Baby era un gran finocchio, e non si è mai vergognato di dirlo, ma da lì ad arrivare a dire che drogavo i bambini per farmeli ne passa parecchio…
Che pubblico ti aspetti e che paure hai? L’altro giorno mi hai detto “Ho aspettato dieci anni a riportare il Pervert a Milano”.
Spero non ci sia più questo hateraggio di persone che vuole rovinare una festa: la solita guerra italiana di voler osteggiare qualcosa che piace o va bene. Ho dato tanto a Milano e continuerò a dare tanto se la gente vorrà capire, in tal caso sarò la persona più felice del mondo. In alternativa, andrà bene comunque.
Sarà un successo se?
Se il lunedì successivo potrò dire: “Bene, adesso ci tocca pensare al venticinquesimo del P:Gold a febbraio”.