Non servono troppe presentazioni, per Radio Slave. E non solo perché ormai è dai primi anni ’90 che è una presenza costante nella serie A del clubbing mondiale, fin dalle sue residenze al Ministry Of Sound arrivando all’attuale presenza ubiqua nelle migliori venue del globo terracqueo. Matt Edwards però non è solo dj: è anche producer che negli anni ha inanellato molte hit e molti remix vincenti, è discografico che ha scoperto parecchi talenti (un nome su tutti: Nina Kraviz), è uno che ha anche esplorato campi diversi dall’ambito tech-house lasciando il segno (…quanti di voi hanno presente il progetto Quiet Village, architettato assieme a Joel Martin?). Ed è pure uno che col suo “post di Capodanno” sul suo profilo Facebook ha innescato una delle più profonde, accanite, divertite o incazzate degli ultimi tempi qui, da queste parti del clubbing. Ne abbiamo parlato a fondo pure noi. Domani 27 gennaio arriva a suonare dalle nostre parti, in un contesto che è una garanzia – il sabato del Tenax (tutte le info le potete trovare qui). Noi ne abbiamo approfittato per una lunga chiacchierata. Iniziata con un sottofondo abbastanza surreale. Uno strillare di neonati…
Matt, ben trovato! Ma senti, cosa sono questi rumori lancinanti alle tue spalle? Bambini che strillano?
Sono in ospedale, reparto maternità…
Sul serio?
La mia compagna ha partorito ieri! Il nostro secondo figlio!
Ma sul serio? Fantastico! Felicitazioni!
Oh, grazie, grazie. E’ un bellissimo maschietto!
Ma senti vuoi che ti chiami dopo? Facciamo l’intervista in un altro momento? Ovviamente non c’è problema…
Assolutamente no. Mi fa molto piacere parlare con voi.
Allora la prima domanda non può che diventare: quanto un figlio cambia la vita di un dj?
(ride, NdI) …eh sì, penso che la cambi, in molti modi. Inevitabile. Sai cosa? Prima di tutto un figlio ti insegna a essere meno narciso, meno concentrato solo su te stesso. Sai, noi, come essere umani, passiamo di regola tanto di quel tempo ad essere tutti incentrati su di sé, a pensare solo ai nostri problemi, poi all’improvviso arriva una piccola creatura e… tutto cambia. Tutto.
Quanto volte sei stato troppo concentrato su te stesso, nella tua attività da dj?
Tantissime. Ma perché, in qualche modo, devi esserlo. Pensa a come è fatto questo lavoro: viaggi da solo, te la devi cavare da solo, suoni da solo, poi comunque quando arrivi nella città in cui devi suonare dipendi in tutto e per tutto dai promoter della serata – sei alla loro mercé, nel bene e nel male. Devi avere un grande controllo su te stesso, per riuscire a reggere tutto questo. Per gestirlo almeno un minimo.
Ma oggi trovi ancora lo stesso gusto di un tempo, nell’essere dietro una console, nel fare il dj?
Guarda: sì. Di sicuro, oggi amo la musica esattamente quanto la amavo da adolescente: cioè tantissimo. Questo non è cambiato. Sono cambiate altre cose: non esco più come un tempo, e pur vivendo a Berlino ormai ho smesso di andarmene in giro per club (a parte quelli in cui devo suonare). Però sono anche cambiate altre cose, non sono solo cambiato io. E’ cambiata la scena in sé. E’ cambiato il modo in cui la gente la vive, la “abita”. E’ cambiato un po’ anche il pubblico. Io però mi “sento uguale”, credimi: non ho intitolato per caso il mio ultimo album “Feel The Same”, assolutamente non è un caso.
Ok, tu potrai essere uguale, o almeno sentirti uguale, ma giustamente mi stai dicendo che molte cose sono cambiate nel frattempo. Come descriveresti, questi cambiamenti?
Di sicuro oggi il mondo della club culture è molto più un’industria di quanto lo fosse prima. Per anni e anni, anche dopo che ho iniziato, mai mi sarebbe venuto in mente che avrei avuto bisogno di un manager o di un agente. E sì che ero già un resident del Ministry Of Sound, non proprio l’ultimo club sulla faccia della terra negli anni ’90, no?, e iniziavo a suonare parecchio in giro. Ma credimi, per parecchio tempo mi sarebbe sembrata semplicemente surreale l’idea di avere un manager. Facevo tutto io, coi club ci parlavo io, gli accordi gli stringevo io, stop. Oggi? Oggi, se sei un aspirante dj avere un manager e/o un agente è ai primissimi posti delle tue priorità. Lo è fin da subito, fin dai primi sei mesi di carriera.
Ma è possibile sopravvivere oggi senza un agente, senza un manager?
Ma sì, lo è. Ho molti amici che stanno ad un livello anche molto alto ma riescono, ancora oggi, a fare tutto da soli. E’ possibile. Però sai, dipende molto dalle persone. E dipende da quello che stai cercando. Ci sono quelli che pensano solo a suonare, pensano solo alla musica, al deejaying; e ci sono invece quelli che vogliono massimizzare i risultati nel minor tempo possibile rispetto a quello che fanno. In questo secondo caso, agente e manager sono requisiti fondamentali, c’è poco da dire. Almeno oggi. Nell’anno 2018, se vuoi ottenere qualcosa ed ottenerlo nel modo più diretto, veloce, efficace è fondamentale che tu abbia una struttura attorno a te: chi ti gestisce le date, chi ti gestisce i rapporti con etichette e altre realtà, chi ti cura i social, eccetera eccetera. Oggi va così. Dipende da cosa cerchi, ecco.
E Radio Slave, oggi, cosa cerca?
Ora sono arrivato ad un punto che è “a lato” rispetto a tutto questo: penso semplicemente a fare più musica che posso, ecco. A produrla. Ho fatto uscire un album pochi mesi fa, sto già pensando di farne uscire un altro. Il mio obiettivo è essere il più creativo possibile. Certo, mi auguro di poter continuare a fare quello che faccio, le date in giro, eccetera, tra l’altro continuando a farle – come accade adesso – in posti dove effettivamente la gente già mi conosce e può capire perfettamente quello che gli sto proponendo.
Hai paura che tutto questo possa non durare all’infinito?
Non lo so; parlando di me, qualche anno credo di averlo ancora davanti. La cosa buona è che in questo momento mi pare di essere arrivato ad un perfetto punto di equilibrio. Sono al 100% a mio agio con quello che mi circonda, e con la mia situazione personale. La mia etichetta pure sta andando molto bene – abbiamo messo sotto contratto un sacco di artisti giovani e dal grande talento, che già stanno portando a casa bei risultati. Insomma, attorno a me si è creato il mix giusto di circostanze. Cosa volere di più? C’ho messo un po’ di tempo, ad arrivarci. Non è stato semplice. Ma ora sento che attorno a me c’è una bella comunità di persone e di intenti. E ogni volta che vado a suonare in giro, ho l’impressione di essere nel posto giusto.
Mi stai però dicendo che c’è stata una fase, anche abbastanza recente, in cui questo “giusto mix” non c’era…
Credo che verso il 2010, 2011 mi sono reso conto che stavo suonando troppo in giro. E sì, stavo facendo troppa festa. Con quale risultato? Col risultato, ad esempio, che avevo perso molta motivazione nello stare in studio. C’erano troppe cose che stavano succedendo nella mia vita e… insomma, col senno di poi, posso tranquillamente dire che non erano particolarmente positive. Ad un certo punto, nel 2013, ho deciso di fermarmi e azzerare tutto. Reset. Ho ricominciato tutto da zero. Tutto, a partire dall’etichetta – e lì ci sono voluti almeno un paio d’anni prima di ricostruire nel modo più giusto e sensato, tornando a produrre con un buon ritmo. Il fatto di tornare a spendere molto tempo in studio è stata una delle scelte più significative, anzi, forse la più significativa che abbia fatto da lì in poi. Quando ero giovane facevo il liceo artistico, sì, e un giorno mi sono tornate alla mente le parole di un mio professore: “Per essere un buon pittore, devi dipingere ogni giorno”. Ecco, col tempo ho scoperto quanto questa frase fosse vera. Perché anche nella musica è esattamente così. Se smetti di produrre, in qualche modo perdi il tocco, perdi la sensibilità giusta. Ed è anche il segnale che non ti stai davvero dedicando a quello che fai col massimo dell’attenzione e della motivazione possibile.
Ti ricordi il momento preciso in cui ti sei reso conto che c’era bisogno di questo reset?
Assolutamente sì. Nel 2013 mi sono ritrovato in uno stato di salute molto preoccupante. Il risultato, due settimane di ricovero in ospedale: un segnale chiarissimo che non potevo andare avanti in un certo modo. Ho fatto due anni completamente senza alcool, da lì in poi, ed è in quel momento che ho ripreso ad occuparmi delle mia etichetta e, soprattutto, di me. Perché sai, quando fai il dj e suoni molto in giro ogni altro spazio della tua vita si comprime fino a scomparire: esistono solo le date, esistono solo le serate nei club, i viaggi da un posto all’altro, il dormire per ripigliarsi. Per il resto, non c’è quasi più spazio. Entri in un loop da cui è difficile uscire. Però ad un certo punto mi sono reso conto che c’erano cose più importanti delle gig: c’ero io, c’era la mia famiglia.
Oggi tenti di mettere in guardia i tuoi colleghi su questi rischi?
Dipende sempre dalla persona che hai davanti. Ci sono certi dj per cui suonare in giro è tutto, stanno bene così, è la vita giusta per loro, non potrebbero averne una diversa; senza star lì a fare troppo nomi, prendi uno come Ali Dubfire: lui si fa venti, trenta date al mese ancora adesso, ma è felice così, per lui questo stile di vita è perfetto, è adatto. Però ecco, dipende da cosa cerchi, da quali sono le tue esigenze più profonde. Posso solo dire che bisogna riflettere su un fatto: se sei diventato dj di successo è merito della tua musica, ma più hai successo e suoni in giro meno tempo puoi dedicare alla musica. E’ un meccanismo strano.
Sei rimasto sorpreso dalla grande attenzione che ha generato il tuo “post di Capodanno”? C’è stata una quantità di like, commenti e condivisioni epocale…
(ride, NdI) Un giorno mi sono svegliato, tranquillo tranquillo. Stavo facendo colazione. Al che ho iniziato a buttare giù un post e… Erano discorsi su cui stavo riflettendo già da un po’, legati a quello che avevo visto accadere in quest’ultimo anno. Non arrivava in effetti così dal nulla. Alcuni dei punti affrontati nascono, beh, da esperienze molto dirette; altri, sono discorsi che mi faccio spesso coi colleghi che sento più amici e vicini; altri ancora arrivano dall’osservazione asciutta e tranquilla di quello che ci succede attorno, nel nostro ambiente. L’intenzione era quella di scrivere una cosa divertente, ironica… Certo, credo ci siano abbastanza verità oggettive, in quello che ho scritto. No? Le vedi anche tu, certe cose… non puoi dirmi di no.
Senti, in quelle parole, in quel post, c’è anche un po’ di risentimento per come stanno andando certe cose oggi?
Ma no, “risentimento” no, dai. Che ti devo dire? Oggi in giro, per progredire nella tua professione, ci sono vari tipi di mezzi. No? Ma occhio, è una cosa che non vale solo per i dj. Guardati attorno: vale in tantissimi campi lavorativi, anche non artistici. E io non ce l’ho nello specifico con singoli dj; credo sia un problema più strutturale, è proprio l’industria che ti spinge ad assumere certi tipi di comportamento, se vuoi giocare alle sue regole. Incoraggiare un prodotto anche solo parzialmente finto, artefatto, “lucidato” dal marketing è qualche che viene lucidamente ed intenzionalmente perseguito da chi muove le dinamiche lavorative ed economiche nella nostra società. Forse nei contesti più sotterranei si è ancora immuni da questa influenza, o se c’è è più mitigata e presa in modo meno definitivo, più ironico, ma da un certo livello in avanti alcune dinamiche sembrano diventate ineludibili. I like su Facebook sono diventati un criterio molto importante. Bizzarro, non trovi? Ma è così. Ci piaccia o meno.
Come sono state le reazioni attorno a “Feel The Same”?
Ottime. L’album è andato davvero alla grande, anche più di quanti mi aspettassi. Farlo è stata una decisione non scontata ma, di sicuro, fortemente voluta. Sentivo il bisogno di tirare fuori un album. Sentivo il bisogno di far circolare qualcosa di complesso, sfaccettato, che rappresentasse Radio Slave nel modo più completo e al tempo stesso più sincero possibile (tant’è che la tracce sono state tutte completate molto velocemente – non credo sia un caso). Come ti dicevo, per me il cambiamento fondamentale è stato tornare ad amare il tempo passato in studio a creare, come poteva essere agli inizi del mio viaggio come Radio Slave. Ed è per questo che sono andato a ripescare, nel fare questo disco, proprio i riferimenti musicali che più erano importanti per me una quindicina di anni fa e oltre: non c’è solo tech-house, c’è anche l’hip hop, ci sono molti elementi astratti, c’è un certo sapore parecchio legato alla jungle più atmosferica. E’ stato, in qualche modo, chiudere un cerchio. Ritornare da dove sono partito. Una esperienza veramente bella. Credo comunque che il prossimo disco sarà diverso: penso mi concentrerò molto di più sulla forma-canzone.
(continua sotto)
Ma un tuo progetto atipico che però ho sempre adorato molto, Quiet Village? Tornerà?
Tornerà. Joel e io stiamo preparando un nuovo album. E nei prossimi mesi apriremo una nostra label personale, dedicata soprattutto alle ristampe di gemme rare o dimenticate – gemme che vogliamo far (ri)scoprire a un pubblico più giovane. Sai cosa, come Quiet Village ci eravamo infilati in un accordo disografico terrificante, ad un certo punto eravamo letteralmente “imprigionati”: ora finalmente i diritti per l’uso del nome sono tornati al 100% nostri, possiamo ripartire da capo e possiamo farlo a modo nostro. Non vedo l’ora, credimi!
Ecco, parlavi di “pubblico più giovane”: ti pare che questo tipo di pubblico abbia il giusto approccio nei confronti tuoi, della tua musica?
Sai, a me fa molto piacere che lì dove il pubblico è tendenzialmente più giovane, e l’Italia è in prima fila in tal senso, io funziono molto bene. Quello che io cerco di suonare, da dj, è energico. Potente. Mi piace così. In un set tendenzialmente potente, cerco poi infilare qualche piccola deviazione, qualche pezzo disco, cose così – penso sia anche un modo per educare le persone. Ma ecco… è un educare divertendosi, non so se mi spiego. Non voglio insegnare niente a nessuno. Non voglio diventare troppo serioso, pedante. Non voglio prendermi troppo sul serio. Non mi piace chi lo fa. Non mi piace poi chi diventa troppo scuro, tutto concentrato sul proprio viaggio mentale… io voglio un party. Mi piace moltissimo suonare in posti come il Panorama Bar, e per fortuna ultimamente sta capitando molto spesso, perché sono luoghi in cui puoi suonare di tutto e le gente si diverte. Luoghi in cui puoi partire techno, virare verso la house, avere improvvisi break disco, ritornare sulla techno, e nel frattempo la gente continua sia a seguirti sia, semplicemente, a divertirsi. Questa è la vera libertà. Non il suonare quello che ti pare, indipendentemente da quello che ti succede attorno.
Ti è mai successo che la gente che ti stava di fronte si divertisse ancora di più di quanto ti stessi divertendo tu a suonare?
Oh, ma spero che succeda spesso! Oddio, dai, prima bisognerebbe capire di che tipo sia la loro allegria, se hanno preso qualcosa, se hanno bevuto come dei disperati… (ride, NdI) Però ecco, credo che vedere la gente di fronte a te divertirsi sia fondamentale. Non è facile essere il guest, in una serata: ti può capitare di essere in un posto dove non conosci bene i gusti delle persone, non è raro, per nulla. Ecco perché secondo me i dj più bravi sono quelli capaci di adattarsi al contesto in cui sono, quelli insomma capaci di “comunicare” coi gusti, le abitudini e le sensibilità di chi hanno di fronte. Trovo invece meno bravi quelli che arrivano, fanno la “loro” cosa, costi quel che costi, quella e solo quella, incuranti di ciò che hanno attorno, e se ne vanno.
Ok, ma qual è al differenza tra “adattarsi” e invece inseguire supinamente quello che vuole la gente, per essere sicuro così di non correre rischi?
Sai, dare alla gente quello che vuole credo sia uno dei compiti del dj. Certo, bisogna saper ricreare un “equilibrio superiore”. Mi viene sempre in mente Tony Humphries. Non so se l’hai mai visto e sentito suonare, ma lui segue un iter ben preciso: mette un traccia vocale, più “semplice”, poi un due, tre dub; poi altra traccia vocale, poi ancora dei dub… e via così. Trovo sia una bella dinamica: catturi le persone con qualcosa di impatto, di immediato, poi però le porti lì dove non si aspettavano di trovarsi, per poi di nuovo riportarli su una “terra conosciuta”. Questo dentro-fuori credo sia un’alchimia efficacissima, in un dj set. Efficace, e creativa. Poi oh, parliamoci chiaro: se vai a suonare da qualche parte il sabato sera, la gente prima di tutto vuole divertirsi. E’ così, dappertutto. Vuole dimenticare i problemi della quotidianità. Vuole sfogarsi. Vuole stare bene.
C’è qualcosa di speciale che suonerai al Tenax, sabato 27 gennaio?
Sì. Nell’ultimi session in studio ho invitato un mio amico, stilista ma anche ottimo cantante, Patrick Mason. Abbiamo terminato una traccia, dal titolo “Elevate”. Credo proprio la suonerò a Firenze. Intanto un paio di settimane fa l’abbiamo proposta live a Berlino, al Panorma, e ha funzionato alla grande… è un progetto che mi piacerebbe poter sviluppare, costruirci sopra un album, fare un vero e proprio tour. Chissà: magari quando tornerò al Tenax la prossima volta, sarà proprio per presentare un live set nuovo di zecca assieme a Patrick.