Ogni festival ha proprie peculiarità. Nameless Music Festival, ovviamente, ha le sue. Che non sono solo solamente il bel panorama della Valsassina (effettivamente spettacolare, e raro per un festival), non solo il pubblico ormai affezionato da anni (anzi, in continua crescita). Dalla sua il festival ha anche la capacità di reinventarsi e non essere scontato, riuscendo ad inserire delle dosi di imprevedibilità. L’imprevedibilità è una qualità che Nameless ha fatto sua negli anni. E’ sufficiente una rapida letta alle prime line up proposte da Alberto Fumagalli e i suoi: Steve Aoki e Nari & Milani per il primo anno, Nervo, R3hab (e altri illustrissimi nomi) per il secondo. Tutte personalità sì musicalmente importanti, ma, al momento, erano le più rinomate. Detto in altre parole: tutte personalità che sarebbero state bene a Nameless così come sul palco di qualsiasi altro festival.
Col tempo, a differenza dei primi anni, Nameless ha appunto saputo diventare imprevedibile, lasciando poco campo ai fan delle fantascommesse. E questa splendida virtù deriva da chi sa e da chi è in grado di intuire ciò che il pubblico – un certo tipo di pubblico – vorrebbe sentire: magari non in un futuro troppo immediato, ma più in un futuro prossimo. Mi spiego meglio, tornando ancora una volta al passato: nei flyer di qualche anno fa figurava, in piccolo e in fondo, un “duo vagante”, Lush & Simon, che, negli ultimi anni si è imposto come uno dei nomi più rilevanti del panorama dance italiano, e non solo.
Da ciò ne deriva che la proposta musicale di Nameless si focalizzi, o comunque abbia la sua caratteristica speciale, più sul “cosa andrà” piuttosto che sul “cosa va”. E da ciò ne deriva quindi che, accanto ai big, venga spesso e volentieri scelto un “sottosuolo” davvero potente e pronto ad emergere. E attenzione: con “sottosuolo” sto comunque parlando di gente che può contare su 400.000 ascoltatori mensili, come nel caso dei Brohug, giusto un nome scelto a caso dalla prima ondata di annunci. C’è gente che è emersa davvero a livello di produzioni solo lo scorso anno, come D.O.D. che ha saputo portare a casa una grandiosa esperienza alla Miami Music Week 2017, non esattamente una delle vetrine più facili e plasmabili. Artisti a cui non manca assolutamente inventiva e/o perizia tecnica, quanto a nomi più altisonanti.
Accanto a tutto ciò, altra caratteristica importante di Nameless, vi è inoltre l’estrema attenzione per ciò che viene richiesto a gran voce dal “proprio” pubblico, nuovo e non. Questo è il caso di Kayzo (che l’anno scorso fu uno dei veri trionfatori del festival, anche a sorpresa), ma pure di Don Diablo, nome più “facile”, che probabilmente dai prossimi mesi sarà in tour grazie a Future, album uscito il 9 febbraio scorso. Ed è lo stesso per Armin Van Buuren: sicuramente sull’onda anche delle date italiane mancate nel 2013, resta tuttavia paradossale come dopo cinque anni vi sia lo stesso entusiasmo di “un tempo” (giusto per farvi capire quanto un produttore possa diventare iconico ed agognato, da un certo momento in avanti, al di là anche delle sue produzioni effettive). Anche al di là delle scivolate.
Da tradizione, Nameless presenterà sul Main Stage anche il proprio “vivaio”, ossia gli artisti appartenenti al roster di Nameless Records. Una mossa giusta e intelligente, perché il festival lecchese ha fatto delle proprie risorse il punto di forza ma anche di (ri)partenza, non legando il proprio destino solo alla forza dei guest che si riesce a chiamare annualmente. Negli ultimi mesi, infatti, la label sembra aver concepito progetti davvero completi e complessi, facendo pensare a una nuova concezione di elettronica tutta peculiarmente italiana.
E a giocare in casa, come sempre (…e mi auguro per sempre) ci sono Merk & Kremont: quei nomi che proprio non possono mancare, quei nomi che, nonostante passino gli anni, è sempre un piacere sentire. Giordano Cremona e Federico Mercuri sanno come fare le cose, sono tutt’altro che solo degli hit maker per conto terzi: sanno fare show, sanno creare e tenere la pista, anche in virtù dell’interesse per le sonorità e i progetti più vari.
C’è un “però”, in tutto questo ed è paradossale, dato che la reiterazione di Merk & Kremont è passata inosservata: le riproposte di quest’anno hanno fatto storcere il naso a chi a Nameless ci è già stato, almeno a leggere alcuni commenti sul web. Otto mesi fa sul palco principale di Barzio salivano Axwell Λ Ingrosso e Vini Vici, lo stesso faranno a giugno 2018. Re incontrastati della musica dance i primi e della psytrance i secondi, entrambi hanno proposto nell’edizione scorsa un set che non ha deluso le aspettative ma, semplicemente, le ha confermate, nulla più nulla meno. E’ vero, per il duo svedese si potrebbe dire che la selezione proposta sia stata quasi facilotta e sull’onda della banalità, ma Axwell e Ingrosso sanno ciò che il loro pubblico, estremamente romantico e melanconico, vuole; e, di conseguenza, assorbono ed eseguono, che è ciò che, alla fine, un dj dovrebbe fare – dare al proprio pubblico ciò che lo rende più felice. Quindi hanno fatto il loro. Su Vini Vici assolutamente nulla da dire, senza nemmeno bisogno di distinguo e specificazioni. Ma il punto è: ha senso, essere insoddisfatti della loro riconferma? Anche al di là del fatto che magari non hanno fatto cose incredibili, epocali? Il loro compito, però l’hanno svolto più che bene.
E’ che noi italiani poi siamo davvero molti bravi a lamentarci di quello che succede a casa nostra, ma a lodare l’esterno. Ragazzi: Steve Aoki, per prenderne uno a caso, è più di quattro anni che suona tutti gli anni a Tomorrowland, giusto per prendere un festival a caso. Ma, oltre a ciò, non escluderei in realtà l’ipotesi di una mossa intelligente in vista di una probabile reunion degli Swedish House Mafia, visti i rumors scatenatosi nei mesi precedenti e l’annuncio della presenza pure di Steve Angello nel festival italiano. È vero, forse un’ipotesi azzardata e forse fin troppo utopica, forse nulla avverrà a Nameless e questa reunion si svolgerà in contesti molto più forti a livello mondiale, ma se così fosse, se per caso accadesse anche solo per un attimo, per una foto sul palco, Barzio conquisterebbe un’ulteriore riscontro “morale” all’interno della scena global.
Ad ogni modo oggi più che mai Nameless Music Festival non prevede che tutti gli occhi e le orecchie prestino solo ed esclusivamente attenzione al Main Stage. Se già negli anni precedenti l’Arc Stage ha potuto vantare nomi come Salmo e Ghali, ora sembra essere compiuto definitivamente anche il vero passo di qualità sull’altro fronte musicale che al festival lecchese è quasi sempre stato di casa. Con un nuovo naming del palco (Radio 105 Stage), l’hip hop side di Nameless presenta Fabri Fibra, Guè Pequeno e Sfera Ebbasta. Ancora una volta, generazioni musicali ugualmente forti e virtuose a confronto – in un gioco che vede senza dubbio Nameless giocare con tutte le età e con tutti i tipi di pubblico. Mettendo stavolta sul tavolo veramente tre pesi massimi. Anzi, “i” pesi massimi del momento.
Parlando ancora di novità, la sesta edizione vedrà pure l’ampliamento della Nameless TV, avviata già lo scorso anno (con un nostro forte ruolo in questa storia!): a partire da quest’anno grazie alla neonata possibilità con Clubbing Tv sarà la possibilità a 350.000 spettatori, distribuiti in 35 Paesi diversi, la possibilità di seguire il festival anche in TV via cavo.
Nomi alla mano, insomma, anche quest’anno Nameless Music Festival sembra avere prospettive lungimiranti e fertili. Pronto a sorprendere, e forte di un’organizzazione davvero completa e solida, Nameless tra l’altro ha ancora qualche cartuccia da sparare, perché non tutto è stato annunciato nella conferenza stampa di ieri. E potenzialmente sono tutte cartucce poco scontate, che potrebbero lanciare davvero il festival in una dimensione ulteriore e competitiva con le forze internazionali, più ancora di quanto lo sia già. Aspettiamo quindi più informazioni in merito ai nomi che daranno vita allo Chalet, il terzo stage, che a partire da quest’edizione sarà un palco vero e proprio, dedicato a quanto si vocifera alla musica house. Format, quello dello Chalet, nato da un’esperienza spontanea e ludica: fino all’edizione 2016, infatti, questo era il luogo in cui si svolgevano gli afterparties dedicati agli addetti ai lavori. A mio avviso lo Chalet potrebbe essere un contesto davvero vincente e interessante per il pubblico più attento, dando un accento aggiuntivo e frizzante all’intero festival.
Insomma: dall’1 al 3 giugno tutti gli occhi di un determinato tipo di appassionati (ma anche dell’industria musicale italiana: se la Universal italiana ha deciso di entrare nelle quote societarie del festival non è un caso, ed è un segnale interessante) saranno puntati su Barzio, un vero e proprio “laboratorio” per le nuove scene musicali non strettamente pop ma ad alta diffusione. Non lasciatevi sfuggire l’occasione di essere, anche voi, in prima linea. Cose molto interessanti stanno succedendo. E stanno crescendo molto bene. Ecco, giusto: occhio, perché i biglietti stanno già andando via come il pane, a tre mesi dall’inizio del tutto.