Domani esce il nuovo album di Lucia Manca “Maledetto e Benedetto”, un disco che ci consegna una Lucia più matura, più disinvolta rispetto a “Hotel Riviera”, il pezzo con cui molti l’avevano conosciuta. Abbiamo incontrato Lucia per parlare dell’album, della sua terra, della sua amicizia importantissima con Matilde Davoli, che ha prodotto il disco, e con Andrea Mangia (Populous) che come il prezzemolo sta bene sempre su tutto, anche qui.
Tu sali alla ribalta con il featuring su “Hotel Riviera”, uno dei pezzi più famosi di Jolly Mare. Parlare di esordio però è sbagliato: c’è un bellissimo disco uscito nel 2012 fatto, tra l’altro, insieme a Giuliano Dettori, ai tempi membro degli Amor Fou, un personaggio importante per la scrittura musicale in Italia tanto allora quanto oggi.
Sì quello è il primo disco, come dicevi tu, prodotto da Giuliano. Un album molto diverso dai miei lavori successivi e dal suono che ho ora. Avevo questa voce da bambina, molto influenzata da Emiliana Torrini, ero piccolissima. Ascoltandolo ora mi imbarazza sentire quella voce, la mia voce suonare così. Per essere un disco d’esordio però, secondo me, non era un brutto disco.
Qual è stato il processo di maturazione che ti ha portato da quel disco a questo tuo nuovo lavoro? È passato giocoforza da Jolly Mare, ma credo non sia stato l’unico punto fondamentale. Ascoltando il nuovo album ho idea ci sia stato qualcosa di più complesso e più riflessivo…
Diciamo che la collaborazione con Fabrizio mi ha aiutato nell’apertura verso un nuovo stile, totalmente diverso da quello che facevo prima. Nonostante fossi cresciuta anche io con le grandi cantanti della musica italiana che tornano alla mente nel pezzo di Fabrizio. In mezzo c’è stato sicuramente un cambiamento, nei miei gusti e personale, intimo. In questi anni sono cambiata io, mi sono successe talmente tante cose a livello personale che poi di conseguenza sono cambiati il mio metodo di scrittura e il mio suono.
C’è stato poi l’incontro con Matilde Davoli….
Lei è stata fondamentale, oltre ad essere una mia grande amica, è un’artista che apprezzo tantissimo, di grande spessore. Considera non c’è stato un incontro specifico, noi siamo molto amiche e ci vediamo spesso, un giorno gli ho portato dei primi provini che avevo e le ho detto: “Matilde io ho questo desiderio, vorrei che il nuovo disco lo producessi tu“. Inizialmente pensavo mi dicesse di no, sai veniamo da due mondi diversi; lei canta in inglese, invece una volta ascoltati i provini mi ha detto: “lavoriamoci, io ho intenzione di usare questi suoni, questi synth, prendiamo questi suoni un po’ anni 80 emettiamoceli sopra“.
Così è nata la collaborazione…
Sì, un po’ lunga perché siamo due pigrone, abbiamo questo difetto. Ci siamo bloccate spesso, per cui magari prima di finire un pezzo sono passati mesi, anche anni ma alla fine poi il disco l’abbiamo finito.
Anche perché di mezzo c’era il tuo essere orgogliosamente lavoratrice.
Sì orgogliosamente hai ragione, ho questa azienda di famiglia per cui la mattina lavoro in negozio giù in Salento dove vivo.
Arriviamo così a “Maledetto e Benedetto”. Ogni vota che lo ascolto mi chiedo chi mi ricordi questa voce: La Bertè? Marcella Bella?
È un incubo Mirko! [ride, ndl] Adesso mi torturano con Loredana Bertè. Io adoro Loredana Bertè, come mi piacciono tantissime cose di Marcella Bella, sinceramente però io questi accostamenti non li percepisco. Io credo sia normale, soprattutto in Italia, per un’artista emergente, essere associata o paragonata a qualcun’ altra. Serve per creare un punto di riferimento, per indirizzare un ascolto. Mi fa piacere sentire questi riferimenti, sono tutte artiste che amo, che ammiro molto.
Mi sembra dai testi sia un disco molto emozionale, spinto da un’idea di cambiamento e di rinnovata fiducia verso il futuro. Questa è un po’ la parafrasi che faccio del tuo disco, sei d’accordo?
È un disco di emozioni contrastanti. Nel processo di scrittura mi piace immaginare fotografie, a volte di ricordi sbiaditi, in altri casi solo immaginati. Mi piace portare nei miei testi i colori della mia terra, il mare. Certamente si parla anche di momenti di vita vissuti, di mancanze, di assenze, di malinconia. Sono una persona molto legata ai ricordi pur cercando di non rimanere per forza legata al passato.
C’è stata una scelta particolare per ciò che riguarda il suono che hai dato al tuo disco? Questi synth balearici, questa musica un po’ alla Roosevelt o alla Postiljonen. La cosa figa secondo me è che, pur essendo suoni canonicamente da Nord Europa, si sposano benissimo al territorio dove il tuo disco è nato. Non intendo il Salento di Gallipoli ad Agosto, pensavo più ad alcuni paesaggi di fine estate, a quella parte di Salento magari ancora poco conosciuta e, se vogliamo, selvaggia.
Di questo il merito è assolutamente di Matilde, che è salentina anche lei e che ha arrangiato tutti i pezzi e suonato tutto, in mezzo c’è anche Populous con qualche synth e tanti tantissimi altri amici che mi hanno aiutato. Sicuramente non facciamo parte di quel Salento affollato e super turistico che non frequentiamo e che non abbiamo mai frequentato, forse è stato quello, dovrei pensarci. Non credo sia un disco che racconti la mia terra, ecco non credo di averlo scritto in questo senso.
Non si percepisce però quella voglia di scappare o di evasione.
No, io sono legatissima a questa terra, sono inchiodata qui. Amo le mie radici, la mia cultura “maledetta e benedetta”. Da ragazzina volevo trasferirmi a Roma, fare l’accademia dello spettacolo lì, ricordo che mia madre e mio padre mi accompagnarono lì per fare l’iscrizione e che la feci pure. Dopo un’ora avevo cambiato idea ed ero tornata a casa.
Nonostante le difficoltà che tutti i giorni si incontrano nel vivere lì, soprattutto se vuoi fare musica… C’è da dire però che questa sorta di auto competizione che uno crea con se stesso, sapendo quanto è difficile emergere da una zona come la tua, fa sì che poi vengano fuori solo i migliori o le migliori.
Quella è la difficolta più grossa! Sai quanti amici mi dicono vattene a Milano, sai come sarebbe più facile per contatti o pubbliche relazioni? Però sono d’accordo con te, è molto più difficile ma chi emerge è perché se lo è meritato.
Anche perché ci si scontra sempre con la solita domanda tipica di giù, e quando ti chiedono “cosa fai?” e tu rispondi “la musicista” ti senti dire “sì, ma di lavoro vero cosa fai?”.
Quella è davvero la domanda tipica [ride, ndl]. Soprattutto quando sono nel mio negozio succedono spesso episodi del tipo: “ma tu sei quella che canta? Ma canti ancora? Ma come mai non sei in televisione?”. Combatto tutto il giorno con queste situazioni che alla fine poi adoro, mi diverto tantissimo. È normale che la musica, soprattutto qui in Puglia, venga vista al massimo come un hobby. Non c’è cultura sotto questo punto di vista, è difficilissimo che un/una musicista venga visto come un lavoratore o una lavoratrice.
Quanto sei orgogliosa di cantare una frase come: “tra mutualismo e gli amori extra sessuali e le piante non sono tutte uguali” contenuta in “Eroi”?
Amo quel pezzo, l’unico che non ho scritto io ma da Ivan Luprano, un mio amico cantautore con cui scherzo dicendogli che è il mio Mogol. Quando mi ha fatto ascoltare il testo di “Eroi” sono impazzita dalla gioia, secondo me poi quella frase è geniale. Sono contenta sia diventata anche il mio video quel pezzo. È un testo molto bello che sono contenta di aver cantato. Molti mi chiedono ultimamente chi sono questi eroi. Mi piace rispondere dicendo che sono sicuramente tutte quelle persone che ancora sono se stesse, persone che lottano per i propri diritti.
Prima mi dicevi che in qualche modo ha collaborato anche Andrea Mangia (Populous), quando ancora non ti conoscevo pensavo foste addirittura fratello e sorella.
Un po’ tutti lo pensano in realtà. Andrea è davvero molto molto importante per me, pensa a come ci siamo incontrati…
Vai…
Eravamo a Lecce, una decina di anni fa, 2009 o giù di lì. Ero fuori da un locale con un mio amico che mi dice ti presento Andrea. Io in quel periodo, ma come tuttora, da buona ipocondriaca giravo con la mia pochette dei medicinali. Lui vede la pochette e da buon ipocondriaco quanto me, comincia a chiedere di vedere e di prendere di queste medicine. Un’amicizia nata dall’ipocondria e vissuta nell’ipocondria. Tolti gli scherzi, Andrea è stato davvero importante nella mia maturazione artistica. Mi è stato molto vicino in un periodo in cui nemmeno volevo fare musica, portandomi con lui in tour. Credo sia stato fondamentale per la mia crescita, lui è riuscito a sbloccare delle emozioni che davvero pensavo si fossero perdute.
Sei riuscita a mettere davvero tutto in questo disco? Tutte le emozioni che contraddistinguono il tuo carattere o la tua maniera di essere?
Non ho fatto uscire proprio tutto. Spero di sbloccare, magari già dal prossimo lavoro, quelle piccole insicurezze che ancora mi porto dietro a livello musicale per far uscire davvero tutto quello che ho dentro. Credo sia una questione di tempi più che di volontà.
Anche perché mi sembra di poter dire che grazie al disco e alla musica riesci ad eliminare questa infinita timidezza che ti contraddistingue. Il disco e la tua musica fanno un po’ da maschera in generale nei confronti di questo tuo modo di essere.
Ricordati che c’è ancora il live, eh! [ride ,ndl]. Sono preoccupata devo dire, non suono cose mie da molto. Un conto è andare in tour con Andrea dove non suoni o canti cose tue e per questo secondo me sei più sciolta e disinibita. Un conto è portare in giro le proprie cose, cantare ciò che mi appartiene credo sia molto più difficoltoso. Sono una persona molto timida come hai detto tu, ma lo sono sulle cose mie personali. Dovresti vedermi nelle feste che organizziamo al circolo Rubik che abbiamo qui, diresti che non sono io, ti chiederesti chi è quella pazza che imita Lorella Cuccarini. C’è una sorta di maschera che mi porto dietro, è vero. Sto lavorando molto per limitarla.
Un ultima domanda: chiuso il disco che sensazioni avevi, eri consapevole di aver fatto un lavoro così interessante?
Ero e sono soddisfatta. È forse davvero la prima volta che mi sento soddisfatta e convinta di un qualcosa di mio. Credo di essere stata fortunata nell’aver incontrato tutta le persone con cui ho collaborato. Spero piaccia alla gente, sentire intorno a me persone sincere che credono nel mio progetto è importante mi dà forza, mi fa credere in me stessa e mi porta a vincere anche le mie personali insicurezze.