Ci era piaciuto. L’avevamo salutato come una bella novità all’interno del panorama italiano dei festival. Non c’erano i “soliti” nomi, c’era qualche colpo ben assestato (a partire da Charlotte Gainsbourg e Sampha), c’era molta ricerca sulle cose più “hip” emerse negli ultimi tempi. Insomma, un modello di festival un po’ diverso da quelli che di solito percorrono la penisola. Purtroppo, la notizia di oggi è che questa idea di festival non avrà modo di dispiegarsi, almeno non nel caso di Radar Festival: è stato appena annunciato l’annullamento della manifestazione.
“Una serie di spiacevoli e sfortunate circostanze” può voler dire molte cose, ma considerando che nei festival che qualche nome in line up salti rientra purtroppo nell’ordine statistico degli eventi, vuol dire che il problema era più strutturale. Leggi: una prevendita troppo bassa rispetto alle aspettative e alle necessità. Il colpo esiziale, poi, è stato quasi sicuramente l’annuncio dell’esibizione – nello stesso weekend del festival – di Liberato da un’altra parte però nella stessa città (ne abbiamo parlato qui): per un festival che vive molto sull’hype mediatico specializzato e sulle scelte consapevoli del proprio pubblico (tradotto terra terra: gente che “vuole” vedere certi artisti e quindi il biglietto se lo prende in prevendita con largo anticipo, quindi non puoi contare sullo sbigliettamento alla porta il giorno stesso dell’evento, “Massì, dai, non piove, faccio un salto al Radar Festival…”), la presenza dell’evento-Liberato ha spostato proprio gli equilibri dell’hype in questione. Qualche anima pia, o troppo ottimista, aveva provato a dire sui social “Che problema c’è, Milano è abbastanza grande per entrambi”: la risposta è arrivata. Anche più cruda e cattiva del previsto.
Di sicuro, è un gran peccato. Di sicuro, ci perdiamo un po’ tutti. Di sicuro, quanto successo fa da insegnamento su come la bolla di un certo tipo di appassionati di musica certe volte sia, appunto, una bolla. O comunque, di come certi nomi abbiano bisogno anche di un contesto che faccia da moltiplicatore: senza girarci tanto attorno, una delle grandi qualità di Club To Club – un po’ un convitato di pietra, in questa situazione, dopo che l’anno scorso era stato partner di Festival Moderno, una specie di prequel di Radar Festival, stessa venue e stesso indirizzo artistico – è quella di fare appunto da moltiplicatore, di creare un’aura attorno a nomi di un certo tipo (SOPHIE, per dire, ospite già invitato anche tre anni fa a Milano per un evento collaterale, ma si potrebbe applicare la cosa forse per tutti i nomi in line up a Radar Festival), nomi per cui si muove verso Torino pubblico da tutta Italia ma, soprattutto, si muove anche gente che non conosce bene certe musiche e certi artisti, non partecipa alle discussioni dei giga-appassionati sui social, però percepisce la “schiccheria” dell’evento – quindi non vuole mancare. Un pubblico di modaioli e presenzialisti? Certo. Ma per arrivare a far tornare i conti, visto anche quanto gli artisti esteri vogliono farsi pagare per venire a suonare in Italia, servono pure quelli, se non si vuole andare sull’”usato sicuro”, quello spesso e volentieri criticato negli ultimi tempi, soprattutto da chi un festival non lo organizza e/o ci va solo se in lista accrediti.
C’è quindi poco da fare gli schizzinosi. Se vuoi far quadrare i conti e stare in piedi (e non sei un miliardario che vuole scialacquare i suoi beni personali solo per dire “Ho fatto un festival”), devi o essere capace di coinvolgere un pubblico di un certo tipo, che usa la musica come un accessorio d’abbigliamento, o devi saper mettere quei nomi che hanno dimostrato di saper consolidare un rapporto vero e duraturo col proprio pubblico, pure a costo di non piacere agli über-intellettuali dell’elettronica di ricerca. Non solo loro, eh, non solo quei nomi lì; ma anche loro. Ci vogliono.
Non c’è nulla di male in tutto questo. E’, come dire, fisiologico. Funziona così in tutto il mondo, quindi prima di partire con gli alti lai “Eh ma solo in Italia…” pensateci un po’. Certo, ci sono realtà particolari, che funzionano, ma esse nascono da condizioni particolari (i bassi costi di gestione o specifiche condizioni ambientali, pensiamo ad un ventaglio di eventi che va da Saturnalia a Macao, tanto per stare a Milano, all’Unsound in Polonia, che peraltro non è che faccia dei numeri giganteschi, o ancora l’Atonal); sono eccezioni. Nel momento in cui organizzi un festival in una grande città, in una venue convenzionale, con un costo del lavoro standard, il fattore di rischio è quello che ti porti sempre dietro con sé. Devi saperlo valutare bene. Il che non significa che ci devi guadagnare per forza: se lo dimenticano in troppi, ma un festival – soprattutto nei suoi primi anni di vita – è spesso una realtà in perdita economica. Prima di dire “Solo gli italiani”, tenete conto che Dimensions – giusto per citare un festival di elettronica anche più “normale”, per quanto comunque innovativo e di qualità rispetto ai moloch solidi e consolidati stile Time Warp, gestito da grandi professionisti del settore – nella sua prima edizione ha perso qualcosa come 300.000 euro. Ve li immaginate, 300.000 euro che escono dalle tasche vostre e dei vostri soci? Non proprio una passeggiata di salute.
Radar Festival ci ha provato. E’ stato promosso molto bene. Ha generato una bella atmosfera attorno a sé. Infatti, abbiamo scelto di supportarlo. Gli auguriamo di riprovarci a breve: il patrimonio di conoscenze e di gusto musicale mica si volatilizza solo perché hai annullato un festival. Certo, deve aver fatto male i propri calcoli, lo staff che lo ha creato, se a due settimane dall’evento si trova a dover annullare tutto; deve aver sovrastimato il potenziale in Italia di determinati artisti, che dovevano vender 1000 invece han venduto 100 (…numeri qui casuali, è per capirsi). Imparerà dagli errori commessi. Ma la lezione è anche per noi, che di musica ci occupiamo, anzi, di “certa” musica, perché ogni tanto ci pare che certi nomi che per noi sono giganti della contemporaneità in realtà, per il mondo “lì fuori”, non contano poi così tanto.
Ecco perché è importante guardare alla musica a trecentosessanta gradi. Ecco perché, secondo noi, è bello combinare i piani: combinare le uscite della PAN con le line up del Sonus, i fenomeni di costume (quasi da baraccone) con Antal o Dj Harvey, Antal o Dj Harvey con il fenomeno EDM. Ecco perché è giusto seguire i dialoghi più hipster e sofisticati della contemporaneità musicale ma bisogna sempre mantenere i piedi per terra e ricordarsi di chi magari è meno hip, ma l’amore della gente ce l’ha sul serio e ce l’ha dopo un sacco di anni, con dati dimostrati e dimostrabili. Vanno benissimo anche altre scelte, va benissimo anche il volersi dedicare solo e comunque alle avanguardie (sperimentali, storiche, nuoviste, hipster, neo-pop, quello che volete…), ricordandosi però che è una precisa scelta di campo e, quindi, una rappresentazione solo parziale della realtà. E la realtà è la realtà e non, come ogni tanto si pensa, quello che noi vorremmo che fosse. Possiamo tentare di cambiarla e migliorarla, passo dopo passo, sforzo dopo sforzo, ma senza la pretesa che le cose vadano subito (o anche dopo…) come vogliamo noi. Il bello è impegnarsi. Combattere per quello in cui si crede. Chi combatte, ogni tanto sbaglia e perde: capita.
Siamo felici di aver supportato l’idea alla base di Radar Festival fin dall’inizio (lo rifaremmo mille volte), siamo molto dispiaciuti non abbia potuto compiersi. Siamo dispiaciuti per le persone che hanno investito soldi, tempo ed energie in questo progetto. Non siamo però dell’idea che sia una “sconfitta culturale” per l’Italia: semplicemente, è un modello di business nel campo degli eventi musicali che evidentemente si poteva e doveva aggiustare meglio, e che meglio si aggiusterà nelle prossime occasioni. Occasioni in cui, col giusto lavoro e coi giusti tempi, potremo vedere davvero in Italia un festival con Charlotte Gainsbourg, Sampha, Yung Lean, Young Fathers, Superorganism, SOPHIE, The Black Madonna, Kelly Lee Owens e Rina Sawayama su un palco tutti assieme, in due giorni. La direzione è giusta. Ora si tratta di lavorare duro e sodo e bene e nel tempo e con cinica attenzione, per far sì che questo accada. Come da alcune parti sanno bene.