Non sono razzista, ma…
Mi perdoneranno quelli dell’Internet per aver preso in prestito (senza diritto di riscatto, tranquilli) una fra le più celebri citazioni del loro arsenale. Ma questa volta la trovo davvero azzeccata per dare una chiave di lettura franca ad un festival che, inequivocabilmente, ha dimostrato ancora una volta di essere della stessa pasta di Dekmantel Festival, il suo fratello minore (anche se solo d’età). Ma allo stesso tempo non ha saputo offrire quel valore aggiunto, quella sensazione unica che solitamente si respira il primo weekend di agosto all’Amsterdamse Bos. E proprio per il fatto che tutto è sembrato “tornare” in termini di allestimenti, servizi (a parte la copertura di rete praticamente inesistente per tutto il weekend, colpa però non del tutto imputabile agli organizzatori), educazione del pubblico e qualità artistica, l’unica variabile che ho notato essere differente fra i due eventi è stata qualcosa che spesso diamo per scontato nei grandi format. Ma che può assumere un peso specifico notevole quando viene a mancare: la diversità culturale.
Ma quali sono le ragioni dietro a questa valutazione? Forse gli eventi Dekmantel ci hanno abituato troppo bene. Ed infatti anche questa settima edizione del Lente Kabinet è stata un indiscutibile successo: Madre Natura ci ha deliziato con due splendide giornate di sole e l’area di Het Twiske – un parco ricreativo nel mezzo delle campagne di Oostzaan, poco a Nord di Amsterdam – ha garantito spazio a sufficienza per godersi a pieno l’esperienza senza mai (e dico MAI) sentire il peso della calca. Nei dancefloor tanto quanto nelle aree ristoro o nei bagni. Altri aspetti che normalmente si darebbero per scontati, ma su cui abbiamo visto peccare eventi anche enormi con risultati a dir poco imbarazzanti. Ma gli olandesi in questo sono (quasi sempre) una garanzia. Il campo di gioco, piuttosto vasto, ha permesso di lasciare una distanza spesso considerevole fra i cinque stage. Non comodissimo quando la scaletta si faceva caotica e rimbalzare da un lato all’altro richiedeva più tempo del necessario. Ma ha anche evitato che si creassero fastidiose sovrapposizioni sonore.
Il poderoso Eerste Kamer, palco di Awakeningsiana memoria, ha fatto da sfondo a quelli che erano i pezzi da novanta della scaletta: dal monumentale set di chiusura del primo giorno da parte di un Ben UFO che si conferma sempre più tra i dj di maggior talento del Pianeta, al sempre bravissimo Hunee, capace di stregare ancora una volta un pubblico che ormai lo conosce a menadito. E non dimentichiamoci dei due back-to-back che hanno animato le ore centrali dei due pomeriggi: quello fra Byron The Aquarius ed il resident del De School Vic Crezée il sabato – molto ben assortiti, con tanto di Byron che si è permesso qualche improvvisazione con la tastiera – e l’asse americano composto da Rahaan e GE-OLOGY la domenica, tutto a base di disco, funk e cantatoni per la gioia dei molti presenti, disseminati sul prato/dancefloor.
Kippenvel! Motor City Drum Ensemble flikt het elke keer weer.
Kippenvel! Motor City Drum Ensemble flikt het elke keer weer. Pre-registratie voor de volgende editie is nu geopend, vergeet je niet in te schrijven via: www.hetkabinetfestival.nl
Pubblicato da Het Kabinet su lunedì 28 maggio 2018
A fare da contraltare, dalla parte opposta del festival, ci ha pensato il Tweede Kamer: una tenso-struttura posta quasi in riva ad un bellissimo laghetto che ricordava vagamente le ambientazioni selvagge di festival “hippieggianti” come l’Ozora. Anche da quelle parti non sono mancate grandissime prestazioni artistiche: partendo da un maestoso Marco Passarani che ha lasciato da parte la techno in cambio di una sequela di epiche italo e party-oriented, fino al divertentissimo back-to-back tutto a chilometro zero targato Casper Tielrooij e Cinnaman. Molto bene anche l’americano Mark Grusane, per l’occasione impegnato in un set più lungo del previsto per colmare l’assenza dell’ultimo minuto di Raphael Top-Secret. Tecnica non particolarmente sopraffina ma tanti dischi notevoli sopra ai piatti. Menzione d’onore per i due grandiosi opening domenicali ad opera di Bufiman (che ha messo per fino Ron) e DJ Phyton.
Gli altri ambienti hanno chiuso il cerchio con sonorità spesso più “scure” o sperimentali senza essere mai vittime dell’offesa della pista vuota. Da segnalare assolutamente i beat hip-hop scatenati – magari non elegantissimi ma decisamente funzionali – proposti dal cinese Tzusing di fronte ad un palco Red Light Radio stracolmo. Stessa location dove, il giorno prima, anche il nostro Alexander Robotnick ha voluto ricordarci che ci sa ancora fare. E pure alla grande. Molto bene anche il vietnamita Phuong Dan nel Derde Kamer con il suo sound downtempo e sincopato che ipnotizza i sensi ed un plauso particolare alla tanta musica dal vivo con cui nomi come Ebo Taylor, Kamaal Williams e Arp Frique & The Family hanno dato un tocco raffinato ad una scaletta già molto eterogenea.
Tutti esempi di come un festival come questo possa proporre qualcosa che riesca innanzituttto ad incuriosire prima ancora che a stupire. E provare a coinvolgere chi non ha ancora del tutto assimilato ogni angolo del suono elettronico. Un enorme punto a favore e qualcosa che i festival di un certo livello sembrano ormai evitare come la peste una volta raggiunto l’apice della popolarità. Ma un’altra sensazione è che Lente Kabinet assomigliasse quasi ad una sorta di “anteprima in provincia” da usare come terreno di test per quelli che potrebbero essere i prossimi terreni fertili in termini artistici e non. Per poi, in caso, traslare il tutto nei grandi eventi della stessa cordata. Ne avevo discusso brevemente con Thomas Martojo, uno dei proprietari, una sera al De School. Chiedendogli che cosa differenziasse il Lente Kabinet dal Dekmantel Festival, visto che – e dopo esserci finalmente stato ne sono ancor più certo – sembra davvero di trovarsi alle prese con una (piacevolissima) fotocopia.
La sua risposta era stata che essenzialmente il concept dietro gli eventi seguiva le stesse direttrici artistico-logistiche. Ma che Lente Kabinet si era creato l’immagine di evento un po’ più dedicato ai “locals” rispetto ai più turistici Dekmantel e Selectors. E qua, come si suol dire, è cascato l’asino. Perchè è vero, il 90% del pubblico con cui ho avuto modo di interagire era effettivamente autoctono. Pochissimi stranieri e quasi zero turisti. Probabilmente per il fatto di essere un po’ “fuori stagione” rispetto ai grandi open air estivi che solitamente attirano molti visitatori stranieri. Ed è stato (ahinoi) altrettanto vero che non avere quel mix perfettamente fortuito di background culturali ed artistici che solo un pubblico eterogeneo può garantire abbia fatto sì che prevalesse l’attitudine tipicamente olandese. Che, non me ne vogliano i miei compatrioti, è apprezzabilissima quando tiri una spallata a qualcuno e fate a gara a chi chiede scusa per primo. Ma far sentire ad un dj il calore della pista è tutta un’altra cosa. E quando ci si trova in mezzo a troppa gente che passa più tempo a chiacchierare che a ballare, quando le mani al cielo sono meno degli smartphone, qualcosa non torna.
E qua entra in gioco l’importanza del pubblico inglese, italiano, spagnolo e via discorrendo. Spesso (giustamente) ostracizzati per le maniere non particolarmente gentili, l’eccessiva scalmanatezza, quello che volete. Ma è altrettanto vero che quando inviti qualcuno a casa tua, di solito si adatterà alla maniera in cui ti comporti per non mancarti di rispetto. Ed anche se ci sono sempre le dovute eccezioni, negli eventi Dekmantel questo concetto è perfettamente sintetizzato nell’armonia che si respira da quando si varcano gli ingressi fino al momento in cui si torna a casa. Ed alla fine, se si prova a coinvolgerli, anche ai nord-europei piace fare festa come si deve. Serve solo fare il primo passo e fungere da modello. E se ogni tassello del puzzle porta il meglio di ciò che la sua cultura può offrire, il risultato non può che essere qualcosa di straordinario. Motivo per cui, a volte, ci si trova alle prese con gente che probabilmente in altro contesto neanche si saluterebbe ed all’improvviso ce li si trova sotto braccio, con una birra in mano ed un sorriso stampato in faccia. A condividere la bellezza di questo mondo e della musica e della vita.
Ecco. Questo, al Lente Kabinet, è mancato. E non c’è video girato al momento giusto, con tutta la pista a mani al cielo, o recensione entusiasta su tutto il resto che possano farmi cambiare idea dopo esserci stato immerso per due giorni consecutivi. Giuro che non sono razzista, cara Olanda mia. Ma, attigendo a piene mani da una bellissima citazione di Ezio Bosso a Sanremo: la festa, come la vita, si può fare in un solo modo: INSIEME.