A Roma esiste una straordinaria eccezione, uno di quei luoghi in grado di cambiare drasticamente le regole del gioco, spostando il baricentro della vita notturna cittadina e riscrivendone in modo inequivocabile la geometria del clubbing. Un luogo – per la verità due – capace di stravolgere le certezze consolidate da anni e anni di weekend spesi ballando fino alle prime luci dell’alba e farsi promotore di un modello inedito, almeno per un certo tipo di pubblico. Parliamo del The Sanctuary e del Voodoo Bar, i cui giardini sono stati uniti a partire da questa estate, dando vita a un parco di oltre cinquemila metri quadrati con all’interno due consolle, cinque punti bar e due ristoranti, oltre a tante, tantissime attrazioni che sembrano catapultare il suo pubblico nel cuore del sud-est asiatico. Perché sì, a conti fatti sembra proprio di essere a Bali: le piante esotiche, le statue, il portone intarsiato che va varcato per accedere al Sanctuary, i piccoli stagni illuminati ogni sera dalla luna e il bar-capanna che occupa il cuore, dominandolo, del Voodoo Bar sono qualcosa di inedito per Roma.
Un luogo incantevole, non esiste altro aggettivo in grado di descrivere Sanctuary e Voodoo. E se a tutto ciò si aggiunge la presenza del Colosseo a poche centinaia di metri in linea d’aria, è facile capire l’eccezionalità del tutto.
Curiosi, dopo un anno in cui abbiamo visto i due locali crescere ed affermare la loro particolarissima identità, abbiamo recentemente incontrato i suoi due ideatori, Stefano Papa e Simone Menassé per farci raccontare come un’idea folle, nata dall’opportunità e un po’ dalle esperienze fatte con Cohouse Pigneto e attraverso altre avventure gastronomiche di successo, sia riuscita fin qui ad imporsi generando un importante precedente a cui i dj in primis non sembrano resistere. Compresi quelli dei circuiti underground più oltranzisti.
Club, dj bar, ristorante e tanto, tanto altro. Il Voodoo Bar e il The Sanctuary sono due contenitori in continua evoluzione la cui morfologia è estremamente – e piacevolmente – sfocata. Ma cosa sono in realtà, secondo voi che l’avete pensate e realizzate, queste due vostre creature?
Stefano: Il Voodoo e il Sanctuary sono, se vogliamo provare a raccontarli in modo semplice, due luoghi d’aggregazione in cui far convergere le diverse esperienze che abbiamo fatto negli anni io e Simone. Abbiamo aperto ristoranti, cocktail bar e club: da quando lavoriamo non ci siamo fossilizzati su di un unico modello, anzi, per questo abbiamo pensato di sviluppare questi i due contenitori cercando la via per far coesistere ciò che rappresenta il nostro background lavorativo con uno stile pressoché unico per Roma, sia dal punto di vista degli allestimenti che per quanto riguarda la musica e la ristorazione. Il risultato è, oggi, un villaggio.
Un villaggio?
Simone: Sì, perché a conti fatti il Voodoo e il Sancuary sono più di un semplice locale, ma un qualcosa che taglia trasversalmente l’offerta che il pubblico si trova solitamente di fronte quando sceglie di uscire la sera. Da noi puoi venire a fare un aperitivo durante la settimana, oppure una cena di lavoro o il brunch la domenica, ma anche rimanere in pista a ballare fino alle sei del mattino quando la serata ti prende davvero. Sta tutto a ciò che cerchi. Per questo motivo Voodoo e Sanctuary, insieme, ci fanno pensare a un villaggio…un villaggio di intrattenimento per adulti che ha come attori principali la musica, il cibo e il bere.
Stefano: Non vanno dimenticate quelle che noi chiamiamo “performance”, attrazioni che servono proprio a dare l’idea che si tratti di un qualcosa che va oltre il semplice locale. La cartomante, l’addestratore di serpenti, l’illusionista hanno questo ruolo qui: intrattenere e fare da collante tra la realtà e l’idea che sta alla base del Voodoo e del Sanctuary.
Simone: Grazie a tutto questo sembra davvero di staccare dalla solita routine, quasi di andare in vacanza per una sera. È per tutte queste ragioni, nessuna esclusa, che la gente sceglie di tornare. Diciamo che la versione evoluta di quella che è stata un’altra grande scommessa che abbiamo già fatto in passato, il Cohouse Pigneto: anche lì il pubblico poteva vivere un’esperienza completa e trovare nello stesso contenitore un temporary restaurant, con chef stellati che ruotavano mensilmente, un cocktail bar curatissimo e un’area dove ballare e pensare solo e soltanto alla musica con guest italiane e da tutta Europa.
È questo che chiede, oggi, il pubblico? Sin dalla loro apertura – il Voodoo la scorsa estate, mentre il Sanctuary in autunno – si sono imposti interpretando il desiderio di nuovi stimoli da parte di un pubblico stanco di quanto offerto ogni settimana dai club “tradizionali”. Da cosa nasce l’intuizione di portare avanti una sfida in cui la musica è solo uno degli elementi caratterizzanti?
Stefano: Come siamo cresciuti io e Simone, è cresciuto pure il nostro pubblico. Chi andava a ballare la musica di Sven Väth sette o otto anni fa, difficilmente oggi entra in un locale cercando ancora quel tipo di emozione. O almeno non basta solo quella. Così abbiamo cercato di costruire un luogo, il villaggio, trasversale e in grado di offrire quanto più possibile.
Simone: Nemmeno due settimane fa abbiamo ospitato Beduin, un artista che con la sua musica incarna a pieno il mood sia del Sanctuary e del Voodoo, e siamo ben felici che ci siano state tante persone venute per ascoltarlo, ma al tempo stesso il locale era invaso da ragazzi e ragazze che hanno apprezzato il valore dell’ospite la sera stessa, magari sbattendoci la testa per caso. Capito, poi, quanto possa essere divertente una serata da noi, magari torneranno direttamente con quell’intento. O magari no, chi lo sa.
Una cosa che mi ha colpito del Voodoo e del Sanctuary è che non c’è biglietto d’ingresso. Perché questa scelta? Eppure, con tutta la gente che ogni sera viene a trovarvi, potreste fare una bella fortuna.
Simone: Io penso che questa sia un’altra cosa che ci rende unici: chi viene da noi decide di spendere solo dopo aver “provato”, solo dopo aver visto coi suoi occhi cosa sono il Voodoo Bar e il The Sanctuary. Questo, secondo me, è il modo migliore per fidelizzare il pubblico al giorno d’oggi.
Stefano: È vero, questa è stata senza ombra di dubbio la più grande scommessa vinta.
Perché, secondo voi, il mondo della notte sta affrontando un momento tanto difficile?
Stefano: Secondo me i motivi sono diversi: i club, per come sono stati tradizionalmente concepiti e sfruttati dalle nostre parti, riescono ad esprimere tutte le loro capacità e il loro potenziale due o tre volte alla settimana…
Simone: …magari!
Stefano: L’altra cosa che ha finito per rivoltarsi contro i club sono le pubbliche relazioni, che li hanno resi schiavi: tu club, col passare degli anni hai smesso di contare a vantaggio dell’organizzazione/promoter che ha iniziato a lavorare dentro le tue mura, col rischio pure di rimanere col cerino in mano il giorno che il party viene trasferito altrove.
Simone: Oggi guadagno, se va tutto bene, i promoter, i pr e i dj, che sono i veri vincitori della partita. Ai club restano margini bassissimi e un rischio d’impresa non proporzionale alla posta in palio. Per non parlare di tutte rogne legate alla realizzazione di un evento come la gestione della sicurezza, per esempio.
Stefano: Non siamo a Berlino o in altre città europee dove la cultura del club è più forte e radicata e i ragazzi escono tutte le sere per fare festa. Qui le persone escono anche, ma durante la settimana preferiscono bersi una cosa o fare una cena. Da questa consapevolezza nasce il bisogno di creare un locale dove ampliare la nostra offerta ed essere concorrenziali, con numeri importanti, sette giorni su sette.
Simone: Che poi le nostre parole non vogliono essere un accusa ai club, per carità; perché se la loro è un’attività vincolante, al tempo stesso lo è anche la ristorazione.
Il Voodoo Bar e il The Sancutary non sono le vostre prime sfide per quanto riguarda i locali notturni. Che tipo di esperienze vi hanno portato fin qui? Che tipo di clubber siete o siete stati?
Stefano: A noi è sempre piaciuto fare festa e organizzarne, cercando comunque di mantenere una certa distanza dai club. Abbiamo sempre preferito ricercare luoghi non convenzionali e dare al tutto quella parvenza di “intimità”, quasi casalinga, che rendeva l’evento il più speciale e, perché no?, più esclusivo possibile.
Simone: Ma non un’esclusività legata al costo del biglietto, perché quello dei “tavolari” e dei privée è un mondo che proprio non ci rappresenta e che, per quanto redditizio possa essere, troviamo una pericolosa arma a doppio taglio.
Stefano: Il primo locale che abbiamo aperto era una pseudo-galleria d’arte che la notte cambiava pelle e ci permetteva di ospitare tanti di quei dj che oggi suonano in lungo e in largo per Roma. Poi è stata la vota di alcuni spazi in quasi totale abbandono, come loft industriali, che si prestavano perfettamente all’idea di “festa a casa”. Il vecchio Lanificio159, che prima di trasformarsi in un club a tutti gli effetti altro non era che uno studio di architettura, ne è un esempio perfetto.
Anche lì feste free entry?
Simone: Sì, certo. A Roma, purtroppo, molto spesso più una cosa costa più è “cafona”. Piuttosto meglio l’ingresso libero…
Parallelamente avete aperto, lanciato, venduto e chiuso attività, come il Fishmarket, l’Hamburgheseria e chissà quanti altri locali. Ma vero il punto di svolta è stato il Cohouse Pigneto…
Simone: Il Cohouse, incarnando a pieno il nostro concetto di club a trecentosessanta gradi, ha rappresentato per noi un punto di arrivo molto importante: dentro lo stesso spazio potevi ascoltare un live, ballare…ma anche mangiare piatti cucinati da chef stellati. L’essenza del club come lo intendiamo noi.
Sbaglio o al Cohouse c’era un biglietto d’ingresso?
Stefano: Sbagli, al Cohouse si pagava una tessera associativa annua, trentacinque euro per tutto la stagione. Questa scelta, col senno di poi, è stata veramente azzeccatissima: la tessera dava al cliente la sensazione di non essere solamente un numero, ma il membro di un club, aumentando alle stelle l’hype del locale.
Simone: Quando poi sono subentrati i problemi burocratici, che a Roma e in Italia sono inevitabili, ci siamo spostati al COHO Aparment, uno spazio meraviglioso: immagina un appartamento a Piazza Barberini, in pieno centro storico, che in realtà un club.
Lo conosco, ci sono stato…
Stefano: Al COHO il concetto di party intimo, quasi domestico, tornava forte più che mai. I risultati ci hanno resi più che soddisfatti, infatti non vediamo l’ora di riaprire in autunno!
Simone: Il COHO ha un carattere talmente unico da renderlo libero dal bisogno di pubbliche relazioni. È questa la sua forza: è il locale il pr di sé stesso.
Questa è la forza sia del Voodoo che del Sanctuary.
Stefano: Esatto.
Simone: A volte, sia io che Stefano, stando “segregati” ogni giorno dentro ai due locali non ci rendiamo conto di quanto si stiano facendo apprezzare per tutti i loro tratti distintivi. Cose che abbiamo immaginato, realizzato e che ora sono sotto i nostri occhi e che, proprio per questo, tendiamo a dare per scontate ma che trasformano questo angolo di Roma in un luogo inaspettato. Ci tengo a ribadire, poi, che solo in questo modo stiamo riuscendo a lavorare senza spendere un euro per le pubbliche relazioni…
Stefano: Scherzando, a volte diciamo che il Sanctuary e il Voodoo fanno concorrenza non a locali, ma veri e propri quartieri come possono essere Monti o il Pigneto.
Pur non rappresentandone l’anima cardine, la musica gioca un ruolo importante all’interno dei due locali e sin dal principio c’è stata una sorta di ribellione al suono che abitualmente è possibile ascoltare uscendo la sera. Come mai? Che tipo di valutazioni avete fatto e che tipo di progetti avete per il futuro?
Stefano: La musica, così come tutti gli altri elementi dei nostri progetti, devono essere funzionali all’intero ecosistema. Inizialmente non è stato semplice far capire questo a chi veniva le prime volte a trovarci e magari si aspettava qualcosa di diverso (come tanti promoter, che avevano più che altro il desiderio di proporre il loro party) e far “digerire” tutto ciò al pubblico ha richiesto un grande sforzo e tanta perseveranza.
Simone: Voodoo e Sanctuary non possono prescindere tanto dalla musica quanto dagli allestimenti che abbiamo scelto: tutto è stato valutato attentamente e siamo fermamente convinti che se il carattere del villaggio è tanto apprezzato, il merito va anche alla musica che è possibile ascoltare nelle due consolle. Non solo durante il weekend, ma tutta la settimana.
Ma è vero che, dopo esservi fatti conoscere, ci sono diverse guest ad essersi proposte per suonare soprattutto al The Sanctuary?
Stefano: Sin dall’apertura del Sanctuary lo scorso autunno, abbiamo cercato di prendere contatto con tutti quegli artisti che fossero veramente rappresentativi per il tipo di suono che intendiamo proporre. Acid Pauli, uno dei miei dj preferiti, è stata la prima grande guest, un artista che ha richiesto uno sforzo importante visto che ci trovavamo ancora in una fase di start-up, ma è servito a far capire le nostre intenzioni. Il fatto che i numeri ci dessero ragione ci ha dato, poi, coraggio di perseguire su questa strada e di chiudere una data, tra gli altri, con Satori: lui, rimasto molto felice del party e del progetto, è diventato uno dei nostri sponsor più importanti, parlandone con altri artisti del suo circuito. Tanti dj, inizialmente scettici, ci hanno richiamati per riprendere il discorso che avevano messo in stand-by in attesa di conoscere chi e cosa eravamo davvero.
Simone: Ottimi riscontri anche della Blond:ish, che ci hanno chiesto una nuova data non appena terminato il loro party. Il fatto che il circuito si stesse accorgendo di noi è una grande gratificazione, soprattutto perché il Voodoo è aperto da appena un anno e abbiamo inaugurato il Sanctuary solo a ottobre…
Qual è stato il party migliore fin qui?
Simone: Satori e Acid Pauli, entrambi party bellissimi, ma anche un paio di eventi “fatti in casa” che si sono rivelati davvero super.
Stefano: Il fatto di essere noi stessi, in tutto e per tutto, fa sì che ogni giorno possa uscir fuori una festa memorabile, anche senza il bisogno di una guest particolare. Che ci sta sempre bene, per carità, ma come ciliegina sulla torta, non come vincolo imprescindibile.
Simone: Lo dico? Lo dico: a settembre abbiamo già chiuso Damian Lazarus, un artista inimmaginabile per noi solo qualche mese fa, ma che ha deciso di venire da noi al Sanctuary dopo aver sentito parlare del locale.
Oggigiorno si ha l’impressione che, salvo qualche sporadica ed eroica eccezione, tanto i club quanto i ristoranti nascano con la data di scadenza: tre, quattro, massimo cinque stagioni e poi il pubblico tende ad allontanarsi. Secondo voi Voodoo e Sanctuary hanno i mezzi per contrastare questo tipo di tendenza? Se sì, in che modo?
Stefano: Non siamo diversi dagli altri imprenditori, anche noi siamo soggetti alla legge di mercato e la nostra capacità di sopravvivere e durare non può che essere legata a quella di rinnovarci.
Simone: Quello che oggi è recepito come innovativo e “cool”, magari tra tre anni non lo sarà. Anzi, non lo sarà nel modo più assoluto. Magari la nostra forza, e mi permetto di dirlo perché siamo stati già protagonisti di diversi restyling, sarà quella di reinventare nuovamente questo spazio (o chissà quale altro) non appena noi per primi saremo stanchi di ciò che stiamo facendo.
Stefano: L’importante è non pensare che visto che si sono fatti i numeri fino a questo momento, allora sarà così per sempre. Bisogno sempre avere il coraggio e la capacità di rimettersi in discussione e provare nuove sfide, con l’obiettivo di crescere. Sempre.