Potremmo dire Monolake; e lì i più attenti di voi dovrebbero già mettersi sull’attenti, perché parliamo di uno dei più affascinanti ed inventivi producer degli ultimi vent’anni. Ma se proprio il nome non vi dice nulla, ma siete comunque ben addentro alle faccende di musica elettronica, sappiate che il signor Robert Henke è uno dei fondatori di Ableton (e quindi, uno dei creatori di Ableton Live). Insomma: dire che è una figura cruciale è dire poco. Ma in realtà quello che qui più ci interessa è la grandezza di Robert / Monolake come creatore di incredibili progetti audio/video, di rara poesia e spettacolarità assieme: uno dei più famosi, “Lumiere”, arriva nella sua versione 3.0 a NeXTones, questo weekend (precisamente venerdì 20 luglio: più dettagli qui). Dire che è imperdibile è dire poco, ma in generale è tutto il festival che è davvero una delle rare meraviglie che abbiamo in Italia. Intanto, godetevi quella bella chiacchierata che ci siamo fatti assieme.
Mettere in relazione la tua figura e Berlino è abbastanza automatico… ma se non sbaglio, tu hai avuto una esperienza anche in quella “terra promessa” della tecnologia che è la Silicon Valley, negli Stati Uniti. Com’è stata quell’esperienza? Come mai eri finito da quelle parti?
Diciamo che il fatto che io metta insieme passione per la tecnologia, un curriculum nell’insegnamento ma anche una personalità artistica spiccata ha fatto sì che il CCRMA, il dipartimento per studi informatici legati alla musica e all’acustica, della Stanford University mi abbia invitato. Ho passato lì un semestre e sì, è stata un’esperienza incredibile! Già dal primo giorno ho incontrato personaggi come John Crowning, Julius O. Smith e altri ancora che credimi, per me sono davvero degli eroi. Gli studenti, poi: tutti veramente in gamba e motivati. Considera che fra loro c’era anche Holly Herndon, tanto per farti capire il livello. Ad ogni modo, sono davvero riuscito a capire come funziona la Silicon Valley, i suoi meccanismi, il suo ambiente. All’inizio, ti dirò, ero rimasto perplesso: non c’erano molti segni tangibili di una vita culturale lì fuori, per strada. Dove stavano i bar, le gallerie d’arte e gli eventi a Palo Alto? Come mai giganti come Google e Apple e altri ancora non supportavano con qualche finanziamento la vita artistica locale? La risposta l’ho scoperta presto: la Silicon Valley è un mindo a misura solo ed unicamente di start-up. Si parla solo di quello, si vive solo per quello – esattamente come a Berlino si parla e si vive di musica e clubbing.
Tanto per continuare a non finire attorno all’argomento-Berlino: tu in realtà arrivi da Monaco di Baviera. Quando ti sei trasferito nella capitale, quali erano le differenza tra lei e la principale città della Baviera? E quanto sono cresciute, o diminuite?
Monaco, diciamolo, ai tempi in cui ci vivevo era noiosa. Una città incredibilmente statica e conservatrice, tutto era indirizzato al mantenimento di ciò che era vista lì come la, beh, “normalità”. Berlino era l’esatto opposto: radicale, antagonista, sporca, eccitante e in continua evoluzione. Volendo è ancora così, ma Monaco negli anni è migliorata molto mentre Berlino si è normalizzata. Una normalizzazione che ha avuto un impatto pesante: gli affitti sono schizzati alle stelle e anche la vita artistica si è in qualche modo “normalizzata”. Dato che, non dimentichiamolo, la musica e la club culture a Berlino si sono sviluppate in un certo modo in primis grazie all’abbondanza di spazi liberi che permettevano di sperimentare, sia musicalmente che socialmente.
Ableton sta arrivando ai vent’anni, visto che nasce nel 1999. Quando è nata, avevi anche solo mezza idea che sarebbe diventata una società così fondamentale nella storia e nello sviluppo della musica elettronica? Più nello specifico, mi racconti come nasce Ableton Live? E’ stato difficile da sviluppare come progetto?
No guarda, non avevamo la minima idea che Ableton potesse diventare qualcosa di grosso, ci siamo limitati a provare a sviluppare alcune idee che ruotavano attorno alla nostra personale esperienza di performer, per poi commercializzarle. In effetti notevamo che non c’era nessun software che faceva quello che faceva Live quindi sì, pensavamo almeno un minimo che sarebbe stata accolta bene come novità. La cosa interessante da dire è che la nostra fase di start-up è stata finanziata in buona parte da soldi delle istituzioni: all’epoca era possibile accedere a molti finanziamenti se volevi far nascere una nuova impresa nella ex Germania Est, e Berlino era considerata parte di questo territorio. Questo significa che per un anno abbiamo potuto dedicarci a sviluppare le nostre idee, senza l’ansia di finire i soldi necessari per pagare l’affitto dell’ufficio e i nostri collaboratori. Siamo partiti dando lavoro a cinque persone.
Senti, non odiarmi per questo domanda, ma: non c’è il rischio che Ableton Live abbia un po’ impigrito i producer lì fuori?
No, non credo. Perché ci sono e sempre ci saranno persone in grado di lavorare duro per scoprire cose nuove, allargare le frontiere della creatività; così come ci saranno sempre quelle che invece faranno musica giusto per hobby, o comunque perché è una cosa facile e divertente. Entrambe le cose le puoi fare con una chitarra, così come con un software: non cambia. Se vuoi trovare la “tua” voce, nella musica, la parte difficile non è quella legata agli strumenti che scegli di usare.
Il tuo ruolo dentro Ableton, negli anni, è cambiato?
Faccio ancora quello che credo di saper fare meglio: indagare sull’usabilità dei vari software prodotti e capire come si relazionano a suoni ed effettistica. Io sono una persona abbastanza maniacale per quanto riguarda i dettagli: posso spendere montagne di tempo a concentrarmi solo su un unico dettaglio da migliorare.
Ma fino a che punto il grande impegno che hai messo nello sviluppo di Ableton ha penalizzato la tua figura “da artista”, ovvero Monolake?
Di sicuro mi ha portato via un sacco di energie, fisiche e mentali. Però al tempo stesso mi ha dato abbastanza stabilità finanziaria per potermi pagare l’affitto di uno studio e soprattutto concedermi la creazione di progetti che non necessariamente stanno in piedi economicamente. Però ecco, alla fine c’ho riflettuto sopra e penso che se veramente vuoi capire me come artista devi in effetti anche considerare il mio ruolo in Ableton. Difficile scindere le due cose. Chi sono io? Sono una persone che crea musica, progetti audio/video, installazioni e anche software audio. Sono tutte queste cose assieme.
(“Silence”, per entrare nel mondo sonoro di Monolake; continua sotto)
“Lumiere”, lo spettacolo che porti a NeXTones, è arrivato alla sua terza evoluzione. Come descriveresti il modo in cui è cresciuto o comunque si è modificato, fino ad arrivare a questo terzo stadio?
E’ iniziato come un progetto molto grezzo, che prima di tutto si poneva la domanda su fino a che punto si potesse estendere la libertà artistica e di improvvisazione in un contesto dove la parte audio/video è predominante. La seconda versione era già molto migliore, più strutturata e rifinita; e credo che la terza sia ancora meglio. Forse progredendo in questo modo si è persa un po’ di magia, di imprevedibilità, tant’è che recentemente sto lavorando per recuperare un po’ dell’aspetto grezzo originario, naturalmente senza perdere tutto quello che di buono ho aggiunto ed imparato nel frattempo. Tutto procede a cerchi, si torna sempre a considerare il punto di partenza per poi poter progredire ancora di più.
Nello specifico, il “Lumiere III” che porti a NeXTones deve anche aver a che fare con una venue particolarissima, assolutamente non standard. Questo ti ha costretto a fare un sacco di adattamenti, e quindi di extra-lavoro per preparare il tutto?
La parte di programmazione è fatta, gli adattamenti che ho fatto riguardano soprattutto un minimo di elasticità sul dover poter piazzare le fonti laser, ottenendo sempre e comunque il risultato voluto. Il grosso del lavoro infatti è quasi logistico, molto legato alla produzione pratica dell’evento: dove possiamo piazzare i laser, che tipo di regole di sicurezza vanno rispettate, che tipo di impianto audio potremo avere a disposizione, quanto buio è possibile avere in sala, cose così. Per NeXTones effettivamente ho fatto abbastanza cambi rispetto alla struttura-tipo dell’opera, aggiungendo anche alcune parti ex novo. Ma questo è il bello: un progetto non è mai completo veramente, lo si può sempre modificare ed evolvere. Io così mi diverto un sacco.
(un teaser della versione speciale di “Lumiere III” preparata per NeXTones; continua sotto)
Lumière III – NexTones 2018 – Trailer from Robert Henke on Vimeo.
Ti è capitato di recente di avere altri show audio/video che ti abbiano impressionato particolarmente, e magari pure ispirato?
Oh, la nostra è una comunità molto piccola, noialtri che facciamo questo tipo di cose… ed è sempre molto bello vedere cosa fanno i miei amici-colleghi. Da tutti loro mi capita di prendere qualcosa, ma in realtà l’ispirazione può arrivare veramente da più parti. Del tipo: leggere un libro su Carlo Cruz-Diez, leggere un’intervista al compositore classico György Ligeti… anche questo mi ha influenzato moltissimo, recentemente. In generale, a me piace concentrarmi sui concetti nel loro insieme, più che su singole espressioni performative. Mi piace molto indagare le ragioni che portano determinati artisti a creare ciò che creano, e vedere come essi stessi giudicano e contestualizzano le proprie produzioni.
Se uno non conoscesse bene Monolake musicalmente e dovesse iniziare a capirlo attraverso l’ascolto di un disco, quale lavoro consiglieresti?
Credo che “Silence”, come lavoro non sia per niente male. Ma difficile dirlo, ogni mio album suscita reazioni differenti persona per persona.
Quali sono i creatori di musica che ammiri di più?
Oh, credo che non abbiamo abbastanza tempo a disposizione se devo iniziare ad elencarli tutti! In più, devo dire che non mi piacciono le classifiche, dire cioè chi è più bravo e chi lo è meno. Ti posso dire che recentemente ho speso quasi nove mesi col compositore Marko Nikodijevic per un lavoro per orchestra ed elettronica assieme all’Ensemble Intercomparain che è stato presentato in anteprima a Parigi. Il suo background musicale è legato alla musica classica e devo dire che ho ammirato tantissimo la sua capacità di mantenere una visione ed un respiro musicale davvero interessante e ad ampio raggio, pur dovendosi confrontare con la difficoltà di gestire una vera e propria orchestra. In lui c’è quella combinazione di metodo e libera intuizione che, sviluppata a dovere, porta sempre inevitabilmente ad arte di altissimo livello. Ho imparato davvero tanto da questa collaborazione e, soprattutto, sono molto curioso di vedere come mi influenzerà in futuro; perché di sicuro mi influenzerà…
Foto di Andreas Gockel