Il “big beat” è un’invenzione giornalistica – come d’altronde tutte le definizioni con cui si rincorrono i grandi filoni della musica, di ogni tipo, di ogni tempo. Quindi ci perdonerete se abbiamo voluto riesumare queste due paroline inglesi con cui negli anni ’90 si descrivevano le scorribande soniche, tra gli altri, dei due fratelli chimici. Al di là delle limitanti o anacronistiche descrizioni, però, abbiamo sempre seguito con particolare attenzione l’evoluzione dei due responsabili della ditta, Tom Rowlands e Ed Simons, perché sono tra i pochi superstiti di quegli anni che non hanno mai smesso di rischiare, di mettersi in gioco producendo ciò a cui siamo abituati (chiamatelo big beat, chemical breaks o semplicemente musica elettronica) ma aggiungendo, sempre e comunque, elementi di complessità tali da mantenere l’attenzione di critica e pubblico ancora una volta lì, sulle loro coordinate stilistiche.
Eccoci quindi al 2018, ai Chemical Brothers che salgono sul palco del Rock in Roma con all’attivo otto album in studio in ventitré anni di carriera: molti meno capelli per Tom Rowlands mentre Ed Simons è praticamente sempre lo stesso, impassibile rispetto allo scorrere del tempo. Il silenzio della calda notte estiva romana viene rotto da “Go” tratta dall’ultimo, ottimo disco, “Born In The Echoes”, che d’improvviso, sulle note conclusive, sfuma sotto le orecchie in delirio della platea danzante, in “Do It Again” da “We Are The Night”. Potenza e stile, come d’abitudine, anche quando parte l’esecuzione di un nuovo pezzo, che per ora si chiama “Free Yourself”, che parrebbe essere un’anticipazione di un prossimo nuovo lavoro.
Il comparto luci-video è ipnotico e funge da trait d’union tra pezzi che provengono da tempi diversi, alternando figure stilizzate in movimento dalle quali partono fasci di luci che investono il pubblico, a personaggi inquietanti come quelli della nuovissima EBW12 (le “EBW” o “Electronic Battle Weapons” sono versioni estese/remixate in modo muscoloso dei loro cavalli di battaglia ma anche pezzi non inclusi nella discografia in studio e spesso utilizzati dal vivo per il loro grande impatto ritmico). L’esibizione prosegue, alternando pezzi della loro discografia recente (“Believe”; “EML Ritual”) a clamorose hit ripescate dal loro passato, come “Chemical Beats” da Exit Planet Dust e “Star Guitar” (che prende forma dalla coda di “Swoon”: una goduria!) recuperata da “Come With Us”. Non siamo neppure a metà scaletta quando i Chemical Brothers decidono di calare l’asso, proponendo “Hey Boy Hey Girl” da “Surrender”, quasi anticipata dal boato del pubblico che la riconosce alle primissime battute. L’euforia non si stempera quando parte “Saturate” e dal cielo appaiono enormi palloni gonfiabili che ci fanno tornare bambini, tra lanci e rimbalzi in ogni direzione.
A questo punto i brani iniziano ad essere molto più mixati, come dei medley che tirano dentro, ancora una volta, lo ieri e l’oggi del duo in una girandola che non lascia scampo: “Elektrobank” e “Piku Playground” fanno risplendere il loro capolavoro del 1997 “Dig Your Own Hole” ma c’è spazio anche per una “Escape Velocity” più dilatata e psichedelica che mai, che si trasforma in “Acid Children” (trattamento “Eletronic Battle Weapons #7”), che a sua volta introduce “Under the Influence” da “Surrender”. Per quest’ultimo pezzo c’è da spendere qualche necessaria parola in più, considerato che durante l’esecuzione sono apparsi ai bordi della console, due enormi robot meccanici con arti e teste mobili, che sembravano danzare mentre esplodevano dai loro occhi raggi laser a tempo di musica; noi li ammirammo già qualche anno fa al Sónar ma nonostante non vi si stato l’effetto sorpresa, resta una cosa perfetta per le orecchie e per gli occhi, uno spettacolo nello spettacolo, qualcosa che non si dimentica facilmente.
La conclusione del concerto è, anch’essa, impeccabile: dopo un’ora e mezza di ritmi e danze i Chemical Brothers eseguono una sequenza mixata di tre perle assolute del loro repertorio: “Song To The Siren”, “C.H.E.M.I.C.A.L.” e “Leave Home” (il secondo brano è solo accennato con il refrain vocale e il basso, ma funziona alla grande). Appena dopo la musica si ferma, i due fratelli / non-fratelli accennano un’uscita di scena ma le luci non si accendono; pochi secondi e c’è la rentrée. Sul maxischermo appaiono e scompaiono, con una cadenza sempre più rapida, enormi icone variopinte raffiguranti santi , mentre parte “Block Rockin’ Beats”. E’ delirio, ancora una volta, per una versione estesa di almeno il doppio del minutaggio rispetto all’originale contenuta in “Dig Your Own Hole”. Quando il pezzo finisce e si accendono le luci, Tom Rowlands e Ed Simons salutano un pubblico sfinito quanto ammaliato.
Si parlava di complessità, in apertura di questo report: ebbene oggigiorno quasi nessuno è come i Chemical Brothers, lo ribadiamo. Riescono ad essere grandiosi dal punto di vista sia sonoro che visuale, pur conservando così tanto stile e precisione nell’esecuzione da sembrare pre-registrati (e badate bene, non lo sono!). Come suona il big beat nel 2018, allora? Benissimo!