Qualche settimana fa siamo stati a Firenze per il Sunflower “middle party” organizzato dai ragazzi di Fragola che hanno ospitato per la prima volta Kenny Dope. Chi ci segue, sa che ogni giorno sulle nostre pagine può trovare numerosi contenuti provenienti da tutto il mondo e da artisti più e meno famosi. Io stesso nel corso degli anni ho avuto la possibilità di intervistare personaggi di rilievo nella scena mondiale ma questa volta non posso negarvi l’emozione che ho provato a parlare con una delle leggende dell’house music che con la sua carriera ha contribuito a creare un fenomeno musicale e sociale a livello mondiale. Stiamo parlando di un personaggio che ha scritto e continua a scrivere la storia della musica. Considerata la sua importanza però, con Kenny abbiamo voluto affrontare anche alcuni argomenti non prettamente artistici ma più personali che ogni artista vive durante la propria carriera. E allora mettetevi comodi perché questa bella chiacchierata è stata un vero e proprio confronto in cui non sono mancati gli aneddoti e le curiosità dal passato.
Party, molti dei ragazzi che vengono ad ascoltarti ora non erano nemmeno nati. Come hai iniziato e che tipo di situazioni erano?
Intorno al 1978-79 è stato il momento in cui ho iniziato seriamente ad interessarmi ai dischi. Il primo che ho comprato è stato “Super Rhymes” di Jimmy Spicer. Quella è stata la miccia che ha innescato tutto ma erano proprio i primi passi. Fino al 1985, quando ho iniziato a lavorare al negozio di dischi, tutto ha cominciato a cambiare sul serio: ho dovuto imparare la differenza fra i diversi generi musicali senza neanche immaginare quanto ciò mi avrebbe poi aiutato come produttore e dj negli anni a venire. Mi ha dato l’abilità di spaziare liberamente fra diversi tipi di musica. Ed alla fine, se ci pensi, è la perfetta rappresentazione di New York: un melting-pot di stili differenti che come artista dovevi cercare di fondere affidandoti all’ispirazione del momento.
Quando negli anni 80 hai iniziato a mettere i dischi nei Block. Dal punto di vista musicale e sociale com’era New York in quel periodo?
Come ti dicevo New York era una figata. Specialmente il mio quartiere perché ero circondato da etnie diverse: italiani, messicani, jamaicani, afro-americani e portoricani. Perciò potevo fare affidamento su moltissimi stili musicali a pochi passi da casa. A destra e a manca, a Nord e a Sud, era tutto lì.
Il ruolo del dj si stava evolvendo proprio in quegli anni, tu come hai capito che stava diventando un lavoro? È semplicemente successo o hai fatto il modo che succedesse?
Dopo aver formato i Masters At Work ricordo che guardavo Todd Terry produrre musica e sono arrivato al punto da pensare di voler portare il djing allo step successivo. Volevo cominciare a creare dei beat. Ero molto ispirato dalle percussioni, dai break e cose di questo tipo. Perciò iniziare a produrre ne è stata la naturale evoluzione. Non l’ho mai considerato un vero lavoro, se capisci cosa intendo. Ricordo solo che volevo produrre musica e poi tutto il resto è stato scaturito da ciò. Non mi sono reso conto che i miei contenuti stavano raggiungendo gli angoli più reconditi del globo finché qualcuno non ha semplicemente iniziato a chiedermi di andare lì a suonare.
Una volta che Masters At Work è diventato qualcosa di più che una semplice passione, com’era la vostra vita in quel periodo? E soprattutto, quanto tempo passavate in studio? In fondo tu e Louie eravate al tempo stesso simili ma anche diversi, artisticamente parlando.
La vita in studio era piuttosto fuori di testa. Passavamo là dentro quattro-cinque giorni a settimana ed era già il periodo in cui dovevamo anche viaggiare per suonare durante i weekend. C’è da dire che la cosa buona era la possibilità di “testare” nel weekend il materiale partorito durante la settimana e poi tornare in studio la settimana successiva e fare la correzioni del caso in base al feedback ricevuto. Ma a parte quelle brevi pause era tutto studio studio studio. Ad un certo punto c’erano talmente tante richieste che prenotavamo due-tre studi alla volta e ci dividevamo il lavoro: io ero in uno e lui nell’altro, ciascuno a fare la sua cosa. È andata avanti così per tipo dieci anni filati. Questo era ciò che definiva Masters At Work ed in un certo senso è ancora così: siamo due persone diverse con gusti musicali complementari che suonano in maniera differente. Siamo semplicemente due persone diverse in tutto. Ma è proprio questa eterogeneità che ha permesso di accendere la miccia del nostro progetto ed ha reso MAW il successo che è stato.
Se ci pensi, attualmente la maggior parte dei dj e produttori che collaborano con artisti “pop” fanno parte della scena EDM e non house come accadeva prima. In America quel fenomeno rimane ancora piuttosto forte. Qual è il tuo punto di vista?
L’EDM è quello che è. È dedicata ad un’utenza più giovane e fanno le loro cose. Non mi interessa buttarci sopra del fango solo perché sta attraversando un momento di grande successo. Non lo voglio fare. Io resto fedele al mio percorso e va bene così.
Spesso ci dimentichiamo che voi dj avete anche una vita privata e dei rapporti sociali oltre a quello che fate durante il weekend. Visto e considerato quanto sei stato e sei impegnato per il tuo lavoro, quanto è stato difficile creare e mantenere sana la tua vita privata? Da questo punto di vista, quali sono stati i sacrifici più grandi che hai dovuto fare?
La mia vita al momento è effettivamente un po’ delirante perché ho tre gemelli che hanno appena compiuto tre anni e quest’anno sono stato moltissimo in tour. Ma, come ti dicevo prima, ho dovuto anche prendermi cura in maniera consistente della mia famiglia. Perciò cerco di non fermarmi mai nelle città in cui suono in America. Ed in caso vada all’estero mi fermo giusto per il weekend e poi torno a casa durante la settimana successiva. È qualcosa che purtroppo richiede un dazio sotto molti punti di vista ma cerco di fare il possibile per rimanere lucido e continuare a fare il mio lavoro come sempre. La cosa più importante è che la mia famiglia stia bene e che i bimbi crescano serenamente: se loro stanno bene, sto bene anche io. Quindi no, niente tempo per lo studio ora come ora. Non ce la posso fare.
Quando hai iniziato a fare musica erano disponibili solo strumenti hardware che costavano tanto, prendevano spazio ed erano difficili da usare. Dato che attualmente la tecnologia ha (in parte) semplificato il processo creativo, pensi che sia più importante il risultato o il mezzo? Inoltre, c’è stato uno strumento di cui non hai mai potuto fare a meno in tutti questi anni e che ha caratterizzato il tuo suono?
Ho (ovviamente) iniziato quando c’erano solo gli strumenti analogici. E, francamente, se dovessi sommare tutto quello che ho a disposizione ora sul mio laptop e lo convertissi in materiale di quel tipo parleremmo di centinaia di migliaia di dollari. Ma questi fantastici plugin sono il bello di ciò che il presente ci offre: hanno un suono talmente di qualità da permetterti di produrre un disco anche mentre sei “on the road”. Anche se ci sono ancora alcuni strumenti che non ho potuto ritrovare in questa innovazione tecnologica come l’E-mu SP-1200 e l’AKAI S950. Loro sono ancora dei punti fissi nel mio setup attuale. L’MPC3000 è stato invece sostituito dall’MPC X, che personalmente adoro. Inoltre c’è l’MPC Live di AKAI che posso tranquillamente portarmi dietro. È comunque vero che l’hardware sta avendo un ritorno di fiamma. Molte aziende stanno tornando a produrlo. E la cosa folle è che, avendo visto tutta l’evoluzione di diversi generi musicali, ho potuto vivere l’ascesa dell’hardware e poi del software e poi ancora il ritorno dell’hardware. Assurdo!
La tua carriera artistica è stata caratterizzata da numerosi alias e gruppi oltre a MAW. Perché hai scelto di usare tutti questi alias e di fare o continuare collaborazioni sotto nomi diversi? So che era una caratteristica di molti artisti di quel periodo, ma mi piacerebbe capirne il motivo.
La storia degli alias era nata banalmente perché molti dj volevano avere la possibilità di uscire con diversi dischi allo stesso tempo. Ma dal punto di vista contrattuale non era possibile farlo sotto lo stesso moniker. Perciò facevamo accordi separati sotto forma di alias con altre etichette. Questo permetteva di raggiungere lo scopo ed avere un impatto maggiore sul mercato. È qualcosa che ho imparato, ancora una volta, da Todd Terry.
Sei sulla scena da tantissimo tempo e nonostante ciò sei sempre molto attivo sia per quanto riguarda le date che a livello discografico. E proprio per questo voglio chiederti: come sei cambiato tu in tutto questo tempo? Intendo anche com’è cambiata la prospettiva sul tuo lavoro.
Devo dire che ho mantenuto grosso modo la stessa mentalità riguardo sia la produzione che il djing: mi serve essere ispirato. Non suono mai solo la mia musica proprio per questo motivo. Molti preferiscono questa via perché è più semplice e redditizia. Ma a me piace anche supportare le nuove leve e gli amici che fanno il mio stesso lavoro e propongono prodotti di qualità che possano poi fungere da ispirazione di rimando. Per il resto, tutto è in perpetuo cambiamento. Oltre al già discusso metodo produttivo, anche il modo di suonare è cambiato molto grazie alla tecnologia: oggi chiunque può scaricare una manciata di mp3 e schiaffarli su un laptop. Ma quello che banalmente distingue gli uomini dai bambini è il fatto che presentarsi in un posto e fare sempre lo stesso set: a lungo andare finirà per non funzionare più. Quindi sì, molto è cambiato e sta ancora cambiando. Ma spesso anche per il meglio. I social media oggi ci permettono di raggiungere persone che anni fa sarebbe stato difficilissimo approcciare. E ti sarebbe servito un team di marketing di un certo livello per ottenere i risultati che oggi puoi avere semplicemente andando in giro smanettando su uno smartphone. Oggi è possibile condividere materiale in diretta ed avere un contatto reale con i propri fan in qualsiasi momento. Cosa che io personalmente adoro.
Sei stato molto spesso nel nostro paese e adesso siamo a Firenze per il Sunflower. Che cosa ne pensi della scena italiana? Ricordi la prima volta che sei stato a suonare qui?
Amo la scena italiana. Mi hanno accolto a braccia aperte fin dagli inizi della mia carriera e da allora è stato sempre e solo amore. A partire già dagli anni 90!
Ammiro molto il tipo di ricerca costante che fai, so che vai ancora nei negozi e che hai una collezione di dischi incredibile che usi per suonare e campionare. Oggi grazie alla tecnologia è facile scoprire in modo molto veloce qualcosa che viene suonato da un dj e la maggior parte della musica è disponibile in vari formati ed è alla portata di un click. Qual è il tuo pensiero su questa mutazione che è in atto da qualche anno? Può essere dannosa per un artista?
Certo che vado ancora nei negozi di dischi, ci mancherebbe. Qualche giorno fa mentre ero Berna, in Svizzera, sono andato in un negozio dove ho trovato parecchie chicche, e ora come ora non è facile considerato quanto, come dicevi, è diventata vasta la mia collezione. Ma le volte che riesci a fare quelle due-tre scoperte che non ti aspettavi, tutto ripaga il duro lavoro di ricerca. D’altro canto devo dire che non potrei mai puntare il dito contro chi compra online perché, ad essere onesto, lo faccio anche io senza problemi su Traxsource e Beatport. È tutto quel circuito di download da Youtube, ecc.. che non mi va proprio giù. Se vuoi suonare della musica, vatti a comprare l’originale e datti da fare. È importante supportare gli artisti, senza dimenticare il valore aggiunto di avere qualcosa di nuovo nella propria collezione. Altrimenti se ci si mette a suonare dischi con bitrate ridicoli l’impatto sonoro sarà evidentemente negativo. Ma si sa, essere autentici non è cosa da tutti.
Nella tua carriera hai avuto un successo strepitoso sotto tanti punti di vista, ma sono sicuro che, come tutti, avrai avuto momenti difficili. Guardando tutto ciò che hai fatto, hai qualche rimpianto o rifaresti tutto nello stesso modo? Hai mai pensato di lasciare tutto?
Sì, indubbiamente ho assaporato il successo. Ma, come tutti, ho avuto i miei alti ed i miei bassi e qualche rimpianto. Sto ancora pagando il prezzo di alcuni accordi svantaggiosi conclusi in passato e ci sono scelte che forse col senno di poi non rifarei o persone che preferirei non aver aiutato viste poi le conseguenze che si sono verificate. Ma è quello che è. Bisogna guardare avanti e farsene una ragione.
Dato che tuo background è hip hop, prima di salutarci voglio chiederti cosa consiglieresti di ascoltare ai nostri lettori. Lasciaci con qualche disco o album che più ti rappresenta.
Ce ne sono talmente tanti che non saprei neanche tirarne fuori uno ora come ora, pazzesco. Ma credo che la traccia che meglio mi possa rappresentare sia “Nautilus” di Bob James. Quello è un disco davvero pazzesco e tutto l’album mi manda al settimo cielo. Un altro sarebbe…. no man, non riesco davvero a pensare ad un altro. Ma vedi di sentirti quello di Bob James, fidati.
[Scroll Down for English Version]
A few weeks ago we went in Florence for the Sunflower “middle party” organized by the guys from Fragola who hosted Kenny Dope for the first time. Who follows us, knows that every day on our pages can find numerous contents from all over the world and from more and less famous artists. I myself have had the opportunity to have a chat with a lot of artists from the worldwide scene over the years, but this time I can not deny you the emotion I tried to talk with one of the house music legends that with his career helped to create a musical and social phenomenon all over the world. Considering its importance, however, with Kenny we also wanted to tackle some not purely artistic but more personal topics that each artist lives during his career. So make yourself comfortable because this beautiful chat was a real compare in which you can find some stories and curiosities from the past.
In the 80s you started playing records in the Block Parties, many of the guys who come to listen to you now, were not even born at that time. How did you start and how were those parties?
About 1978-79 was around the time that I really started getting into records and vinyl. The first record I got was Jimmy Spicer – Super Rhymes. That’s what sparked it. That was the beginning stages. But it wasn’t until 1985, when I worked at the record store, that it really started to happen for me. I had to learn about music in general and the different styles. Not knowing later on that would help me in production, and in my DJing, because what I learned gave me the ability to bob and weave through different types of music. But that’s just how New York was. It was a melting pot of different styles and it was your job to play what you felt and bring it to them.
Around 1985-86, myself, Mike Delgado and Franklin Martinez formed Masters At Work. That was our DJ crew. We started doing local parties in the neighborhood like Woody Catering or on top of Thom McAn shoe store. That was the beginning of it all. It was crazy.
From a musical and social point of view, how was New York that period? Is it still the same or has it changed totally?
Like I said New York was dope, man. Especially in my neighborhood because I was surrounded by so many ethnicities: Italians, Mexicans, Jamaicans, African-Americans and Puerto Ricans. So there were a lot of different styles of music in my area. From left to right, north to south, that’s what it was.
It has changed a bit. Obviously those areas still have their music but it’s not the same as when I was growing up. You know what I mean? There was just a whole different flow.
The role of the DJ was evolving just in those years, how did you understand that it was becoming a job? Did it just happen or did you made it happen?
After we formed Masters At Work, I was watching Todd Terry produce records and it got to the point where I wanted to take DJing to the next level. I wanted to start doing beats. I was really inspired by drums, breaks and stuff like that, so I started producing records. I really didn’t consider it a job; you know what I’m saying? I just knew that I wanted to make records and the traveling started from that. Not knowing my work was reaching different parts of the world, in these little nooks and crannies, they started to reach out wanting me to come and play.
That’s how it happened; it just happened. It was nothing I expected or had a plan to do.
And then in the 90 you gave life to Masters At Work together Little Louie Vega. Over the years you have produced many records and remixed artists like Madonna, Michael Jackson, Lisa Stansfiel and many others. How was your life at that time and above all how much time did you usually spent in the studio? After all, you and Lou were both similar but also different, from the artistic point of view.
Life in the studio in the 90s, when Louie and I hooked up as Masters At Work, was crazy. We were in the studio 4-5 days a week and at that point we started to travel on the weekends as well. But the good thing about going away on the weekends was the ability to test out what we were working on in the studio, and then we would go back the following week and tweak things out before handing them in.
But that’s pretty much what it was: studio studio studio. At one point there were so many records coming in that we had 2 and 3 studios booked at the same time and we would piggyback sessions. I would be in one studio and lay down stuff. And he would be in the next spot, so on and so forth. That went on for about 10 years straight.
That’s what Masters At Work was, and still is. We’re two different people, into two different styles of music, we play totally different; we’re just into everything different. But that’s what made the spark and made MAW what it is, you know what I mean?
If you think about it, now, most of the DJs and producers who collaborate with “pop” artists are part of the EDM and not house scene as before. In America that scene is very strong, what is your point of view about it?
EDM is what it is; you know what I’m saying? It’s for the younger audience and they’re doing their thing. I’m not going to knock it because this is their time to shine.
I just don’t do it. I’m in my lanes. That’s pretty much it.
We often forget also DJs have a private life and social relationships in addition to what they do during the weekend. Considering how much you have been (and still are) busy for your job, how difficult was to build and live a private life? From this point of view, what were the greatest sacrifices you did?
My life right now is really crazy because I have triplets and they’re 3 years old. The family life, traveling and coming in and out, I’ve been doing that hard this year. I’m not staying in the cities I play and when I travel abroad, I stay the weekend and return during the week. It’s taking a toll but I have to stay mentally right for it and keep it going.
Most importantly, my family is good and the kids are growing. If they’re good, I’m good. So yeah, no studio time right now, LOL, I can’t get to it.
When you started making music, only hardware instruments were available, which were expensive, took up space and were difficult to use. Given that technology has (in part) simplified the creative process, do you think it is more important the result or how? Moreover, there was an instrument you could never do without in all these years and which has characterized your sound?
I definitely started when hardware instruments were available. If I were to add up everything in my laptop right now and convert it to the cost of instruments of that time, it would be hundreds of thousands of dollars. But that’s the beauty of it now where these plugins have gotten so good! And they sound so good, sonically, that you can make records on the road.
A few instruments that I couldn’t do without is the E-mu SP-1200 and AKAI S950. They are still staples in my setup. MPC3000 and now the MPC X, which I love. The MPC Live by AKAI, I can roll with and take with me.
Hardware is definitely coming back. A lot of companies are making equipment again. It feels crazy because I’ve been in one big circle because I experienced the different styles of music and I’ve seen the changes of the electronic side; they went from hardware to software back to hardware. It’s crazy.
Your artistic career has been characterized by numerous aliases and projects such as MAW. Why did you choose to use all these aliases and make collaborations under different names? I know it was a feature of that period of many artists, but why?
The aliases came about because back in the day DJs wanted multiple releases out at same time, and in the record stores. But contractually we couldn’t do every record under an artist name. So we would do deals with different labels, under different aliases. That allowed you to have multiple records released at the same time and you made an impact. I learned that from Todd Terry.
You are on the scene for a long time, and yet you’re still very active in both the dates and in producing new music, and for this I want to ask how are you changed in all this time? I mean also, how the perspective on your work has changed.
I pretty much have the same mindset in production and playing: I have to be inspired. I don’t only play my music, that’s why I have to be inspired to play. There are DJs that only play their stuff so it’s easier for them. But I like to support the younger generation, other producers and friends who make music.
You know everything changes. Technology changes so that’s going to affect how you produce and play music. Today anyone can be a DJ because it’s very simple to grab a bunch of MP3s, sticks and a computer. But that pretty much separates the men from the boys. You can’t go to a spot and play the same set every time because that’s not going to work.
So yes, a lot has changed but it changed for the better as well. With social media we’re able to connect with people that years ago we couldn’t. You would need a big marketing team to do what we’re doing as we walk around with our phones. Now we can post a picture or video on Instagram and interact with our fans firsthand. Which is love to me.
You have been very often in our country and right now we are in Florence for the Sunflower party. What do you think about the Italian scene? Do you remember the first time you played here?
I love the Italian scene. They’ve embraced me from the very beginning and it’s always been love. Since the 90s and that’s a long time.
I really admire the kind of constant research you do, I know you still go in stores and you have an incredible collection of records that you use to play or to sample. Today, thanks to technology, it’s possible to find out very quickly something that is played by a DJ, and most of the music is available in various formats and is just a click away. What is your thought about this changing that has been going on for a few years? Can it be dangerous for a DJ? I’m constantly looking for stuff. I’m constantly looking for music, researching plugins and sounds; sounds make this thing go round.
Yes, I still go to stores, yup, that’s right. I was in Bern, Switzerland, some days ago and I went to one. I founded a few things today but it’s getting hard because I have such a vast collection. But when you have 2 or 3 crazy finds it makes the search worth it.
I can’t be mad at the clicks because I shop that way too; I’m Traxsource and Beatport. It’s the whole YouTube downloading thing I can’t get down with. If you’re going to play music, find the original and get a good copy. Support the artist and you’ll have it in your collection as well.
When the DJ is playing low bit files and stuff like that, you can tell the sound straight away. But being authentic is not for everybody.
In your career you have had a big success under many points of view, but I am sure that, like everyone, you also have had difficult moments. Looking what you’ve done, do you have any regrets? Would you do again the same choices? Have you ever thought about leaving everything?
Yes, I’ve experienced success but I have my ups, downs and regrets. I’m still dealing with bad deals from back in the day. There are choices I wouldn’t make and people I wouldn’t help out that I’m still dealing with the consequences to this day.
It is what it is, we’re moving forward and that’s it.
Considering your background is hip hop, before saying goodbye I want to ask you what you would recommend listening to our readers. Leave us with some records or album that most represents you.
There are so many records that I can’t even think of one to pinpoint right now, it’s crazy. I think the track that’s represents me is Nautilus by Bob James. That’s a real crazy record, that’s whole album is bananas.
Another is…no man, I can’t even think of another right now, but yeah check that Bob James out.