Fini pensatori, David Lynch e Angelo Badalamenti intrecciano i loro destini anche nel nuovo progetto Thought Gang. Che in realtà nuovo non è (tutto è un’illusione…), giacché risale al periodo in cui la seconda stagione di “Twin Peaks” veniva trasmessa per la prima volta in TV – accompagnata dall’eterno “Laura Palmer’s Theme” – e il cineasta del Montana iniziava a girarne il prequel “Fuoco cammina con me”. Proprio l’anno scorso, in occasione della terza stagione del leggendario telefilm, stagione peraltro talmente geniale da risultare innovativa per i giorni correnti quanto le prime due lo furono per gli anni 90, i due vecchi amici si erano ritrovati a lavorare assieme, rinnovando la straordinaria intesa artistica e umana instauratasi dal 1986 di “Velluto blu”.
Qui, invece, in questo omonimo primo disco in combutta, ricavato da alcune session avvenute appunto nell’arco di tempo 1992-1993, il regista e il compositore danno libero sfogo alla comune, mai sopita passione per il jazz (che, oltre in “Twin Peaks”, sarebbe del resto successivamente riaffiorata in “Strade perdute” e parzialmente in “Mulholland Drive”). Ma – va da sé – il jazz più libero, esoterico e sperimentale che possiate immaginare, ibridato con disturbanti scorie di rumore (“Stalin Revisited”), spoken word tra l’incubo e l’America (“Logic And Common Sense”), batterie ed elettriche maggiormente rock (la trascinante “One Dog Bark”, bau!), terrorizzanti storytelling su grigi noisescape (l’ostico primo estratto “Woodcutters From Fiery Ships”), deliri synthetici a un passo dall’horror (“Jack Paints It Red”), impossibili ritornelli nascosti nella cacofonia (“A Meaningless Conversation”), personaggi ricorrenti (“Frank 2000”), boogie a sfiorare il vento (la programmatica “Multi-Tempo Wind Boogie”) e semi-installazioni ambient-industrial (gli estenuanti nove e passa minuti di “Summer Night Noise”).
Gli effetti sonori hanno sempre giocato un ruolo fondamentale nelle opere di Lynch, a partire dai seminali cortometraggi della seconda metà degli anni ’60 – concepiti non a caso per conferire movimento e suono alle immagini dipinte nei suoi quadri, quando la principale occupazione era proprio quella del pittore – sino, appunto, all’ultima stagione di “Twin Peaks”, dove una delle frasi ricorrenti era d’altronde la misteriosa “Listen to the sounds”. E Lynch stesso ha paragonato alcune improvvisazioni d’epoca della Thought Gang a una sorta di disegno attuato con gli strumenti musicali. Per quanto nel corso del suo duraturo flirt con le sette note non abbia mai smesso di assecondare progetti fuori dalle righe (pensiamo al tetro minimalismo di “Polish Night Music”, in coppia con Marek Zebrowski, per esempio), Lynch si è cimentato in maniera egregia persino con la forma-canzone, cioè con la prova della carriera da solista, all’insegna di un avant-blues elettronico spesso avvinghiato al dream pop, prima con “Crazy Clown Time” del 2011 e in seguito con “The Big Dream” del 2013 (stampati sempre da quella Sacred Bones che adesso appone il suo marchio sulla Thought Gang).
I fan incalliti, in “Thought Gang” (il cui sottotitolo “Modern Music” è da abbinarsi con ogni probabilità al disegno di copertina, raffigurante due scimmiette in catene che provano a diventare libere aggrappandosi alla forza dell’intelletto, delle idee), potrebbero incappare in un paio di déjà-vu: “A Real Indication”, spinta dagli archi e da un ombroso deragliare blueseggiante, e l’ossessiva “The Black Dog Runs At Night”, entrambe con i vocals di Badalamenti, erano già state difatti incluse nella colonna sonora del succitato “Fuoco cammina con me”. Poiché lo stesso “Fuoco cammina con me” diventa indispensabile alla comprensione – laddove, attenzione, la parola “comprensione” assume un significato puramente simbolico – di “Twin Peaks – Il ritorno”, suddiviso in diciotto episodi ma concepito come un unico lungometraggio, possiamo affermare che il loop è completo, come a ritrovarsi in quel nastro di Möbius che sottintende ipoteticamente gran parte dell’impianto anti-narrativo del cinema lynchiano. Tutto è un’illusione…