FAT FAT FAT, uno dei festival che più amiamo in Italia e non certo a caso, ha in serbo una notte molto speciale il prossimo 10 novembre: ospite dell’incandescente, grosso-grasso party sarà Mark de Cliwe-Lowe, già nostro ospite con uno strepitoso podcast. Tra triple origini, ruoli, svariati generi e trio ideali, l’artista racconta se stesso e la propria concezione artistica musicale, in modo profondo ed appassionato.
Online ci sono veramente poche informazioni su di te nonostantetu sia attualmente uno tra i pianisti, producer e dj più conosciuti e apprezzati in ambito jazz-elettronico. Sei anche stato definito dal leggendario Gilles Peterson come “L’uomo nascosto dietro a un milione di super tracce”. Cosa pensi di tutto questo e quanto ti importa della presenza online?
Gilles ha promosso un sacco di ottima musica in tanti anni di carriera, quindi sono onorato di far parte della schiera di artisti che supporta e apprezza. Internet è qualcosa di divertente – dando così tanto spazio alla componente “social media”, penso sia molto importante non confondere questo aspetto con la reale creatività e attività artistica. Un artista non riuscirebbe a raggiungere alti livelli di competenza se fosse concentrato solo a costruire il proprio personaggio online. Sono consapevole che questa componente sia però importante per far arrivare ad ascoltare le proprie cose al pubblico e internet è anche un ottimo veicolo per connettersi e attingere istantaneamente a qualsiasi informazione. Tornando a parlare strettamente di musica, il mio obiettivo è quello di fare musica duratura, di quella che se suoni fra 20, 30, 40, continuerà a suonare diversa, fresca. Cerco di essere raggiungibile online, ma il mio vero lavoro sta tutto offline.
Hai sfornato centinaia di release, saltando da una collaborazione all’altra. Quale potrebbe essere la tua “Top 3”?
Tra le mie preferite degli ultimi anni, includerei “Moon Circuity” con Ge-Ology; “Dub Basement”, un progetto realizzato assieme a Ig Culture consistente in 4 tracce (tra le quali solo una mai uscita); “OnePointOne”, album registrato assieme a Myele Manzana durante un suo live a Los Angeles – disco in cui suono moltissimo il piano, forse più di sempre! Ho amato tutte le mie collaborazioni – creare assieme a personaggi del calibro di Phil Asher, Seiji, DJ Spinna, Joe Clausell, Waajeed, Kenny Dope… Beh, posso dire che ogni esperienza è nella mia “Top 1”!
Musicalmente come ti relazioni alle tue triple origini – tra Giapponne, Nuova Zelanda e contaminazioni 90s a Londra, tra jungle e hip hop? Ti hanno influenzato e, se sì, come?
Sono cresciuto “bi-culturalmente” – ho trascorso molti anni in Nuova Zelanda, ma ho anche finito le superiori in Giappone e posso dire che è il Giappone a rappresentare le mie origini ancestrali, spirituali. Sono questi due paesi ad avermi davvero aiutato a dare forma alla mia creatività, mentre la decina di anni trascorsi a Londra, tra collaborazioni con artisti come Dave Angel o Sci-Clone, ovvero il seme della scena broken beat, mi ha dato modo di formarmi come producer. Jazz, jungle, hip hop, house, broken beat, funk, boogie – sono tutti generi che amo profondamente e che adoro esplorare, spesso contemporaneamente.
Dicci qualcosa di più, qualcosa che vorresti mettere in evidenza del tuo ultimo album “Church” (2014) e dei tuoi dj set: sei ancora interessato a mischiare questi 3 ruoli di musicista, producer e dj, o attualmente sei più focalizzato su qualcosa in particolare?
Anche quando mi ritrovo nel ruolo di musicista a suonare il piano in una band, l’influenza della dj culture e del clubbing sono sempre presenti – nel modo in cui ascolto o do forma o dinamica al suono. Allo stesso tempo, se mi ritrovo alla drum machine e c’è delirio in pista, l’influenza del jazz è costante – il mio intento è smpre quello di fondere una sorta di sentimento organico all’aspetto dance. Crescere da musicista mi ha aiutato a capire i meccanismi strumentali, il linguaggio musicale e la fisicità insita nel mettere su dischi. La formazione da producer mi ha aiutato a capire la funzione del suono nei diversi ambienti e le tecniche racchiuse nel campionamento, la programmazione e la produzione. L’attività da dj mi ha insegnato a connettermi con il pubblico, un qualcosa che mi influenza anche quando suono in contesti completamente diversi. Amo i live da solista anche per questo motivo – faccio il dj, ma anzichè scegliere quale disco mettere, realizzo un qualcosa che mi piacerebbe suonare dal vivo, scratchando o suonando “fisicamente”, con le mie mani.
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Se potessi scegliere, quale sarebbe la formazione del tuo jazz trio ideale (puoi scegliere anche tra chi non è più tra noi…)?
E’ una domanda difficile – sono stato fortunato a suonare con moltissimi ottimi musicisti. Ho fatto un tour in Giappone con Harvey Mason e Mono-Neon – ne è venuto fuori un trio pazzesco! Se dovessi scegliere tra musicisti del passato, scglierei qulcuno della metà degli anni 70, come ad esempio Dave Holland e Jack DeJohnette. Sono due musicisti che continuano ancora a proporre ottima musica, continuando ad evolversi, ma il modo in cui hanno suonato in dischi come “Multiple” di Joe Henderson è inarrivabile!
Secondo te, ad oggi come viene percepito dalla massa il ruolo “underground” della musica jazz – ritieni qualcosa sia cambiato negli ultimi anni, sopratttutto con l’arrivo della contaminazione elettronica – e cosa ne pensi?
Penso il jazz sia attualmente molto più accettato e amato grazie a musicisti come Shabaka Hutchings, Kamasi Washington, Robert Glasper e gente simile. La caratteristica del jazz è che è ed è sempre stato presente. E’ un tipo di approccio all’attività musicale – improvvisazione armonica, melodica e ritmica che, per sussistere qui ed ora, ha bisogno di abbracciare la realtà in cui viene realizzata. Dego è come se fosse un musicista jazz d’avanguardia – la sua palette è basata su beat e loop e ciò che crea viene fuori da una prospettiva che è solo sua. E questa è fondamentalmente la stessa cosa che amo fare anch’io quando suono: catturare momenti magici e fonderli in ciò che mi piacerebbe sentire in divenire.
Nel ruolo di pianista e producer, c’è qualche artista italiano con cui ti piacerebbe collaborare e perchè?
Ho collaborato con Volcov svariate volte – è un ottimo producer e dj e qui torniamo ai miei primi tempi nella West London… In Europa suono spesso in trio con il batterista e producer Tommaso Cappellato e il bassista Andrea Lombardini – hanno entrambi uno stile e un approccio musicale molto personale e completamente differente da certi musicisti con cui sono solito suonare a Los Angeles, New York o Londra. Ed è proprio questa differenza la caratteristica interessante – l’Italia ha questa sua atmosfera particolare che amo moltissimo! Recentemente ho collaborato con Patrick Gibin per il suo nuovo 12 pollici, in uscita per Eglo se non sbaglio. Sono molto curioso di vedere che sviluppo e crescita toccheranno in futuro alle sue produzioni. Ho anche iniziato qualche discorso con un’orchestra ad archi italiana riguardo al registrare qualcosa assieme, vediamo che piega prenderanno le nostre idee!
Hai qualche spoiler per Soundwall e i suoi lettori?
Ci sono un sacco di nuovi lavori in progress – all’inizio dell’anno prossimo usciranno due album intitolati “Heritage” e si tratterà di un miscuglio tra le mie origini giapponesi e la loro influenza sul mio ruolo di musicista in una band la musica elettronica e il jazz. Sul versante dancefloor, sempre l’anno prossimo, ci sarà un’uscita che mi vedrà in tandem con Anthony Nicholson – a mio avviso tra i migliori producer house in circolazione. Lavorare con lui è stato davvero divertente!
Grazie per il tempo dedicatoci, Mark!
Ci si vede presto alla Fat Fat Fat Night, non vedo l’ora!
Foto di Adrien H. Tillman
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ENGLISH VERSION:
There are really few informations about you online, even if you’re one of the must known and appreciated piano players, producers and djs among progressive electronic jazz artists. You’ve also been defined “The man behind a million great tunes” by the almost legendary Gilles Peterson. What’s your opinion about it and how much do you care about online presence?
Gilles has championed so much great music over a lot of years so I’m honored to be in the company of artists who he supports and appreciates. The internet is a funny thing – as far as social media and personal presence goes, I think it’s important not to confuse that with the actual art and the craft. An artist can’t reach mastery in their chosen pursuit if their whole energy is going towards cultivating an online persona. That stuff is necessary now to get the word out to people who might want to hear the music, and there’s so much incredible connectivity happening online – as a communication tool and ultimate instant multi-media library of everything that ever was. Back to music though, I want to make music that stands the test of time – if you play it 20, 30, 40 years later, it will still sound different and fresh. I try and make myself accessible via the internet, but the real work happens offline.
You’ve made hundreds of releases, jumping from a collaboration to another. Which is your “Top 3”?
Some of my favorites over the years would include “Moon Circuitry” with Ge-Ology; Dub Basement – a 4 track project with IG Culture – of which only one track never came out; Myele Manzanza’s “OnePointOne” which we recorded at Myele’s live show in LA and probably has me playing more piano on one album that I’ve ever done before. I’ve loved all my collaboration experiences – creating with people like Phil Asher, Seiji, DJ Spinna, Joe Clausell, Waajeed, Kenny Dope… every experience is my “Top 1”!
How do you musically feel about your triple origins – Japan, New Zealand & 90s “contamination” in London, between jungle and hip hop? Do they influenced you and if yes how?
I grew up very bi-culturally – mostly in New Zealand, but also finished high school in Japan and Japan is definitely my ancestral and spiritual home. Even just those two countries really helped shape my perspectives but the decade in London going from collaborating with Dave Angel and then Sci-Clone to the heart of what would become the broken beat scene – my time there really shaped me as a producer and helped me to understand how to hear music from that point of view. Jazz, jungle, hip hop, house, broken beat, funk, boogie – it’s all just music to me that I have a deep love for, so I love to explore it all – often times at the same time
Tell us something more, something that you would underline about your last album“Church” (2014) and about your dj sets: do you still love mixing these 3 roles – musician, producer and dj – or are you actually more focused on something in particular?
Even when I’m just playing acoustic piano in a band, the influence of DJ culture and the club is still there – in the way I hear shapes, form and dynamics. In the same way, if i’m on the drum machine and it’s peak time on a dance floor, the influence of the jazz vibe is still there – in the way I want to keep the organic feel at the same time as vibing up the dance. Growing as a musician helped me to understand the instrumental mechanics and language of music and the physicality of actually playing it. Evolving as a producer helped me to understand the function of sound in different environments and the techniques involved with sampling, programming and production. The world of the DJ taught me to how to connect music to people – something that, like I said, influences me even when I’m performing music in a totally different context. I love the solo live show for that reason – I’m DJing but instead of choosing what record to play, I’m making the record that I want to play – in real time, from scratch, by hand.
If you could choose, which would be your ideal jazz trio (you can also choose someone’s no longer with us…)?
That’s a tough question – I’ve been lucky to play with so many great, great musicians. I did one Japan tour with Harvey Mason and Mono-Neon. That was one crazy band! If it was from the past then I’d probably say mid-70s era Dave Holland and Jack DeJohnette. They’re both playing great now and continuing to grow, but the way they played on records like Joe Henderson’s “Multiple” ?!? phew !
How do you think the “underground” role of jazz is actually perceived among the masses – do you think something has changed in the last years, especially with the electronic music injection – and what do you think about it?
I think jazz has become more accepted and embraced – thanks to people like Shabaka Hutchings, Kamasi Washington, Robert Glasper and people like that. The thing about jazz is that it’s always been there and always will. It’s an approach to creating music – harmonic, melodic and rhythmic improvisation that, in order to be of its time and place, also needs to embrace the reality of its surrounds. Whether that’s technological, political or cultural, I think it’s an important aspect of improvised music in any time. Dego is like an avant-garde jazz musician – only his palette is based on beats and loops, and what he creates with that are moments in time that he connects with and arranges with a unique perspective that could only be his. That’s basically the same thing I love to do when I’m playing live – find the magic moments and shape them into what I hear coming next.
As a piano player and producer, are there any Italian artists or DJs you would collaborate with and why?
I’ve collaborated with Volcov quite a few times – he’s such a great producer and DJ and we go back to my early West London days. I also play trio often in Europe with drummer/producer Tommaso Cappellato and bass player Andrea Lombardini – they both have their own styles and approaches to the music that’s totally different to someone I’d play with in LA, NYC or London. And that difference is the fun part. Italy has its own vibe and I really like it. I collaborated recently with Patrick Gibin for his new 12” which is dropping on Eglo I think – I’m curious to hear him as he evolves and grows with his productions. I’ve been talking with an Italian string orchestra as well about doing some recording next year. We’ll see what happens!
Do you have any spoiler for Soundwall and its readers? 🙂
There’s a lot of music coming up – early next year I’m dropping a two-album series called “Heritage” – it’s all about my Japanese roots and that cultural influence combined with the band, the electronics and the jazz. For the dance floor, Anthony Nicholson and I have a collaboration coming out next year – he’s one of the dopest house producers there is and it’s been a lot of fun to collab with him.