Ogni tanto per fortuna c’è chi ha il coraggio di spendere tempo, idee, lavoro e fatica per creare qualcosa che esuli dalla routine concerto-dj-set-promozione-serata-incasso. Una routine che è nobile, sia chiaro, e che è l’ossatura di ciò che è musica nella nostra società: ciò che ci permette di “vivere” le cose, di uscire e socializzare o anche solo di sfogarci e stare bene facendolo sotto il segno della musica e dei suoi immaginari. Ma ogni tanto, si può andare oltre. Solo che spesso ce lo dimentichiamo, soprattutto nel campo delle musiche più “nuove” (elettronica da dancefloor, ma anche l’hip hop di oggi, il rock, il pop…), dove il focus è sempre e comunque quello di produrre valore aggiunto per le proprie economie, anche solo per farle sopravvivere ed andare avanti, non solo perché si è avidi, anzi.
Eppure Jazz:Re:Found, che comunque anche senza varare ufficialmente in questo 2018 il formato festival ha approntato un calendario di grandissimo valore (occhio al prossimo weekend torinese, ad esempio: comincia presto, già da giovedì 6 dicembre, e ci sono veramente tantissimi appuntamenti da non perdere, non scontati e di gusto sopraffino), si è preso la briga di immaginare un progetto particolare, speciale. E si è preso il tempo per realizzarlo.
Il cielo sa quanto in Italia ci sia bisogno di rivalutare, riattualizzare, ricontestualizzare in chiave contemporanea le ricchezze passate. E’ probabilmente il primo problema – anche economico, non solo culturale – della nazione
Il tempo significa anche star lì ad elaborare il progetto, a cercare fonti di finanziamento tra bandi e contributi: perché una cosa come “La Leggenda del Molleggiato” sul breve non è profittevole. Ve ne avevamo parlato qui: il feedback era stato notevole, cosa che poi è sfociata in una squadra finale di selezionati di livello davvero alto. Per chi non volesse riprendersi i link segnalati e/o va di fretta: sostanzialmente, si trattava di prendere una figura iconica (e controversa!) come quella di Adriano Celentano tirandone fuori i lati più “black”. Un intelligente processo di re-immaginazione e valorizzazione “alternativa” dei nostri background culturali più pop (Celentano è uno degli artisti più pop e famosi di tutto il ventesimo secolo italiano).
Poi sì, poteva restare una buona idea, ma non solo si è speso tempo a cercare le risorse pratiche e logistiche, si è anche fatto in modo di costruire una batteria di tutor e garanti dell’operazione di altissimo livello: gente come Gianluca Petrella (uno dei più grandi trombonisti jazz al mondo, anche se da tempo lui va ben oltre il jazz), Nu Guinea, Ralf, Tommaso Cappellato, Willie Peyote, Patrick Benifei (vedi alla voce Casino Royale e Blue Beaters), Andrea Lombardini, Luigi Ranghino; o anche Raffaele Costantino (alias Dj Khalab, alias una delle menti più brillanti nel trovare la blackness non convenzionale nella contemporaneità), Gino Castaldo (decano del giornalismo musicale italiano e persona comunque molto alla mano, non come certi suoi colleghi), il sottoscritto (nel ruolo di maggiordomo, o anche solo di “facilitatore culturale” – visto la lunga esperienza con la Red Bull Music Academy e i suoi Bass Camp italiani).
In più, si è andati a cercare delle soluzioni logistiche per nulla banali, parte integrante del progetto e del suo spirito. Tutor e selezionati si sono trovati prima in un luogo tecnicamente non-musicale ma assolutamente meraviglioso e magico, Moleto, nel Monferrato, dove grazie al padrone di casa Bernard Glenat è stata subito creata un’atmosfera incredibile, di amicizia intensissima e vera umanità; perché prima di mettersi a lavorare duramente è necessario prima di tutto trovare le sintonie emotive, umane – una regola che spesso ci si dimentica. Poi, per la parte vera e propria di studio, scrittura, esecuzione si è finiti in un luogo incredibile come Cittadellarte – Fondazione Pistoletto grazie alla partnership con la crew di Hydro capitanata da Luca Biasetti (il migliore stage manager che potreste sognare di avere, tra le altre cose, anche lui persona super).
(I primi giorni, a Moleto, sono stati spesi in spazi così, isolati nel Monferrato; continua sotto)
Insomma. Un progetto bello ed interessante sulla carta, che poteva avere un suo regolare compimento: facciamo, selezioniamo, proviamo, suoniamo. E sarebbe già stato molto importante e significativo così, per i motivi che dicevamo all’inizio. Ma grazie al tocco extra dato da Jazz:Re:Found e da tutte le persone coinvolte nell’operazione questa settimana si è trasformata in una piccola epica di grande musica, di serietà artistica (il mondo in cui Petrella gestiva la sezione fiati, Tommaso Cappellato quella ritmica, Patrick aiutava le voci, i Nu Guinea “confezionavano” l’insieme era al tempo stesso sorridente ma di enorme livello professionale), ma anche di indelebile spessore umano. Si è creata una vera amicizia, tra persone che per lo più manco si conoscevano. Contemporaneamente, le reinterpretazioni in chiave vuoi funk, soul, jazz o dub di otto brani più o meno famosi di Celentano è stata di altissimo livello. Veramente alto. Come ha potuto testimoniare chi ha assistito ai due concerti (uno a Hydro, l’altro al FuoriLuogo di Asti, con festa extra garantita da Jolly Mare a fine live) che hanno coronato la settimana di lavoro.
E come forse anche altri potranno testimoniare, se l’operazione avrà vita futuro – si sta lavorando per questo. Non è facile muovere una band di dodici elementi, anche solo come economie, oltre alle esigenze tecniche e di palco. Ma se anche malauguratamente non ci fosse poi un seguito, la verità è che “La Leggenda del Molleggiato” ha inciso talmente tanto sulle emozioni e sulle conoscenze di chi ci ha partecipato che, davvero, è comunque un investimento pesantemente in attivo. E’ la dimostrazione, lo ripetiamo, che anche uscendo dalla routine “solita” la musica può essere un esperanto molto significativo e un tool intellettivo sofisticato e potente, capace di rendere interessante anche un Adriano Celentano di cui si tende ormai a prendere solo i duetti con Mina, i silenzi e le foche in televisione, al massimo per citazionisti hipster i film con Ornella Muti, quando invece direttamente o indirettamente ha portato in Italia delle dinamiche sonore ma anche imprenditoriali assolutamente atipiche e rivoluzionarie e pure visionarie, per chi riesce ad “andarsele a cercare”. E il cielo sa quanto in Italia c’è bisogno di rivalutare, riattualizzare, ricontestualizzare in chiave contemporanea le ricchezze passate. E’ probabilmente il primo problema – anche economico, non solo culturale – della nazione. Quello che affrontato in modo intelligente potrebbe realmente strapparci dal declino in cui ci stiamo infilando dolcemente, velenosamente, in tutti i settori della società.
Un lavoro quello de “La Leggenda” che ha obbligato tutti, nessuno escluso, a confrontarsi con quello che è il cuore della creazione artistica: il processo creativo, appunto. Ovvero qualcosa di lungo, complesso ed articolato, lì dove sempre più spesso e volentieri – anche per la crisi della discografia – ci si concentra invece solo sull’esecuzione dal vivo (anche sotto forma di dj set, eh) e quindi sulla monetizzazione di questa esecuzione, spendendo il meno possibile e guadagnando il più possibile.
(Un momento delle prove a Hydro, Biella: almeno 12 ore al giorno tra studi, trascrizione, arrangamenti, esecuzione, e seduti ad osservare e dirigere ci sono i Nu Guinea; continua sotto)
Jazz:Re:Found, che come si diceva nel 2018 non è festival ma celebra un intensissimo weekender a Torino, è una navicella che pur non potendo sempre contare su fondi vastissimi, su sponsor motivati e munifici e su baci in fronte di realtà ai vertici, sa comunque battersi per portare avanti le proprie battaglie culturali e le proprie identità più autentiche: ecco, sostenetelo, perché oltre a metter su festival, concerti e dj set veramente belli è comunque animato da un fuoco della passione che poi porta, appunto, a lanciarsi in progetti come “La Leggenda del Molleggiato”.
Se non credete a chi vi scrive queste righe, perché io sono comunque stato parte in causa della faccenda e non ve lo nascondo, andate in giro e cercate di intercettare Davide Shorty, Emma Elle e Micol Touadi, la talentuosissima sezione voci dell’operazione, ciascuno fenomenale e bravissimo a modo suo; o Simone Coppiello e Nicolò Masetto, la feroce sezione ritmica che fin dall’inizio ha preso di petto l’operazione, settandone la giusta consistenza; o Riccardo Sala, Sebastian “Pallino” Loyola e Nicolò Bottasso, la sezione fiati che ha creato per sé uno spazio di qualità incredibile, diventando un valore aggiunto; o Dario Bass e Domenico Sanna, che hanno dato un “corpo” preziosissimo alle architetture sonore con le loro tastiere, sempre appropriatissime e di gran gusto; o infine Dj Rou e DayKoda, quelli che se leggete regolarmente Soundwall incontrerete in giro con più facilità, che con grande umiltà non hanno fatto i maghetti dell’elettronica – anche se se lo sarebbero potuti permettere – ma si sono messi al 100% al servizio dell’operazione, dando un contributo assolutamente perfetto.
Chiedete a loro. Chiedete come si sono trovati. Chiedete cosa gli ha lasciato questa esperienza. E in generale: parlateci, coi musicisti, con gli artisti. Cercate di scoprire quanto lavoro e quanto impegno si nascondono dietro al risultato finale di una canzone, o di un dj set – a maggior ragione se si sceglie di uscire dalle dinamiche più consolidate ed abituali e “normali”. Cercate di scoprire la profondità autentica dell’artigianato, di come cioè si costruisce un oggetto e non solo di come lo si vende o si espone nelle fiere e nelle pubblicità: farlo è un gesto fondamentale e quasi “politico”, nel senso più nobile del termine, oggi che invece spesso e volentieri ci si limita a fare passerella mondana alle Boiler Room (o le si guarda da casa propria) o strapagare biglietti per concerti negli stadi vedendo artisti col binocolo, pensando di vivere così il top del top.
No. Il top sta altrove. Fortunatamente, il top sta ancora nelle emozioni che crea il processo creativo più autentico e sostanziale, non (solo) in ciò che viene dato dalla vetrina mediatica. Se assapori davvero le cose, tutto questo lo scopri sul serio.
E di emozioni, con “La Leggenda del Molleggiato”, se ne sono vissute parecchie. Come dimostrato dall’entusiasmo e dalla meraviglia anche dei tutor, gente ben navigata, visto che – nessuno escluso – tutti sono rimasti affascinati dall’esperienza. E nessuno si è mai tirato indietro, nessuno, tutor o musicisti o staff, anche quando la sfida artistica – creare un concerto ex novo dagli arrangiamenti di lusso, con una band di 12 elementi di gente che praticamente non s’è mai vista prima, in un meno di una settimana – sembrava poter essere davvero troppo alta e presuntuosa, o anche quando la stanchezza in certi frangenti ha presentato il suo conto, tra stress ed ansie. Non ha mai mollato nessuno. Ci si è sentiti tutti parte di una meravigliosa avventura, dove eri felice di dare il 100%, anzi, di più: di imparare – dagli altri e da te stesso – a superare limiti, abitudini, facili certezze. Per creare qualcosa di prezioso. Qualcosa che alla fine ha avuto un valore enorme, enorme!, anche per chi ne è stato anche solo sfiorato… figuriamoci per chi l’ha proprio vissuto e creato in prima persona.
Ripartiamo (anche) da queste cose qui: non sarà mai un passo falso.