19’40” è la coraggiosa collana discografica, autogestita e su abbonamento, nata dall’ingegno di Sebastiano De Gennaro, Enrico Gabrielli e Francesco Fusaro. Unendo divulgazione e divertimento, la collana si rivolge così a fruitori coscienti delle proprie scelte d’ascolto ma curiosi tanto di ricevere le pubblicazioni a sorpresa, realizzate ogni volta da autori diversi e spedite a cadenza quadrimestrale, quanto di superare gli steccati fra musica accademica e anti-accademica.
La settimana uscita in programma, fissata a oggi, 7 dicembre, è un’opera ucronica dal folle fascino, dal titolo “Discovering The Electronic Music Of Chino Goia Sornisi”. Un’opera, lo capirete solo leggendo e ancor meglio inserendo l’album nel lettore, che trasporta Gioacchino Rossini nel periodo contraddistinto dai primi sintetizzatori: what if…, insomma. Alcune delle musiche in essa contenute saranno tra l’altro eseguite dal vivo il prossimo 9 dicembre, al Santeria Club di Milano, all’interno del festival ConTempoRarities.
Agli arrangiamenti e alle esecuzioni dei brani appartenenti al misterioso personaggio, troviamo lo stesso De Gennaro, ex punk di formazione classica divenuto ormai da tempo il miglior percussionista italiano. È lui il nostro illuminante interlocutore.
Racconteresti ai lettori di Soundwall in cosa consiste la collana 19’40” e qual è, dopo due anni di attività, il bilancio della produzione già alle spalle?
19’40” è una collana di dischi su abbonamento fondata da me con Enrico Gabrielli e il musicologo Francesco Fusaro nel 2016. Produciamo un disco ogni quattro mesi e lo spediamo a casa dei nostri abbonati. Ci occupiamo di musica scritta (definita un po’ antipaticamente “musica colta”) che cerchiamo di leggere in maniera non classica, tanto che ci piace definirci una collana di musica anti-classica. Nell’arco esatto di due anni (l’uscita numero uno risale infatti al primo dicembre 2016) abbiamo pubblicato sei dischi e due uscite speciali. Forse un modo efficace per spiegarvi cosa facciamo con 19’40” è riassumervi brevemente i titoli che abbiamo prodotto fino a oggi: “Progetto Generativo” (trascrizioni di musica metal per sestetto da camera). “Histoire du Soldat” (opera da camera di Stravinsky), “Il Picchio” (musica contemporanea per percussioni ed elettronica), “Pictures at an Exhibition” (la nostra versione dei Quadri di Musorgskij a metà strada tra Ravel ed Emerson Lake & Palmer), “Microcosmicomica” (musica classica dedicata ai bambini), “The Planets” di Gustav Host (riduzione di un colossale lavoro sinfonico per ensemble). Un film: “UPS”. La partitura di Francesco Fusaro intitolata “W.V.E.R.D.I.”. Fare un unico bilancio per 19’40” sarebbe però sbagliato… bisogna farne due. La soddisfazione di fare cose bellissime e non perderle per strada, così come la felicità di condividerle con chi si abbona e ci segue in un percorso che dura come minimo un anno, rappresenta il bilancio positivo. Il bilancio molto diverso è quello della sostenibilità economica di un progetto come questo, perché dopo due anni dobbiamo riconoscere che non è una passeggiata. Sicuramente qualche rotella ci è girata al contrario quando abbiamo deciso di intraprendere questa avventura, ma non rimpiangiamo nulla di tutto quello che abbiamo fatto e per ora non abbiamo creditori alle calcagna, anzi siamo qui a pubblicare un ennesimo disco!
A te, Gabrielli e Fusaro, si è poi aggiunta in pianta stabile Tina Lamorgese.
Tina è la persona a cui dobbiamo la sopravvivenza di 19’40” in questi ultimi mesi. Potrei dirti semplicemente che si occupa dei social. In verità, ha un ruolo molto complesso e raffinato: ci chiede spiegazioni dettagliate su tutto quello che facciamo, vuole capire a fondo quale è l’idea di ogni uscita e, una volta afferrato il concetto, la chiave di comprensione, comincia a fare il suo lavoro: riformulare il nostro caos nel linguaggio compresso dei social media. Convertire l’analogico a digitale senza perdere le sfumature, ecco questo è il lavoro di Tina. Cercare di raggiungere una specie di pubblico, difficile anche solo da definire, è ancor più difficile e forse lei ci sta riuscendo. Gli dobbiamo tanto, anche solo per l’entusiasmo che ha portato.
La nuova uscita di 19’40” è dedicata al fantomatico Chino Goia Sornisi, a conferma di un’attitudine intelligentemente ludica. Scopriamo infatti che il nome è l’anagramma di Gioachino Rossini: come sei arrivato a scegliere di incentrarti proprio su di lui? E come ti è venuto in mente di trasformare il Mozart italiano, celebre per i suoi crescendo classici, in un pioniere della musica elettronica?
Rossini è un personaggio popolare, talmente popolare che la realtà si confonde con il mito. Ci sono alcune leggende attorno alla sua biografia, una di queste me la raccontò Enrico e fra l’altro questa storiella tira in ballo proprio il compositore austriaco. Qualcuno sostiene che Mozart inscenò il suo funerale nel 1791 per sfuggire dai creditori, scappò in Italia e rimase nascosto a casa Rossini. Gioachino nacque pochi mesi dopo e Mozart diventò il suo tutore e soprattutto diventò il vero autore di molta musica celebre attribuita a Rossini. Tutto questo in cambio di protezione, e anonimato.
Questa storiella, assieme alla mia attrazione nei confronti della musica strumentale di Rossini, mi ha fatto venir voglia di pensare a un disco ucronico. Il gioco è stato proprio quello di inventare un’altra leggenda, fantasticando su un Rossini nato cento anni dopo, nell’epoca in cui germinavano la musica elettronica, quella concreta, e i primi sintetizzatori.
In questo disco curi tutti gli arrangiamenti elettronici delle partiture rossiniane e suoni tutti i sintetizzatori, oltre a esserti occupato in prima persona di registrazione e mix. Quanto ti ci è voluto per allestire il tutto? Come hai selezionato ed elaborato i pezzi?
Ho cominciato a pensare a questo progetto due anni fa, e da allora ci sono ritornato sporadicamente, ascoltando tutta la musica pianistica che Rossini scrisse negli ultimi anni di vita, quelli che lui chiamava “i miei peccati di vecchiaia“: 150 brani per pianoforte raccolti in 14 album. Li scrisse per avere qualcosa di divertente da suonare al piano nella sua casa di Parigi quando aveva ospiti. Ho scelto una manciata di brani che potessero rendere bene in una veste non pianistica: alcuni erano perfetti per essere una videogame soundtrack, altri per illustrare un mondo alla “Blade Runner” con super synth anni Ottanta alla Vangelis, altri ancora perfettamente in linea con i materiali scelti da Wendy Carlos e Isao Tomita, i due massimi esecutori di musica classica su sintetizzatori. Nel mentre mi sono appassionato di synth analogici, ho girato parecchi mercati dell’usato reali e virtuali, e mi sono procurato tre sintetizzatori molto semplici (e a buon mercato): un Roland Juno6, un Multivox e un JEN SX1000. Ho registrato tutto in casa, ed è anche questo il bello dei sintetizzatori: necessitano solo di una buona scheda audio per essere incisi.
Sei noto in primis per le tue super qualità di percussionista, ma qui sei appunto alle prese con i soli sintetizzatori. Anni fa mi dicesti: “L’elettronica mi è sempre piaciuta; quando ero da poco entrato in Conservatorio, diciottenne, mi trovai a dover decidere se dedicarmi all’elettronica o spegnere il computer e mettermi sulle percussioni”. Possiamo parlare di un doppio binario? In questi anni come si è ulteriormente sviluppato il tuo rapporto con la musica elettronica?
Sono un po’ confuso riguardo al mio rapporto con la musica elettronica e più in generale riguardo a ciò che voglio fare e ciò che sono in grado di fare bene. Forse avevo le idee più chiare quando ti dissi questa cosa, ora il tutto si mischia. La musica elettronica fa parte della nostra epoca, mi piace ascoltarla, e mi piace provare a capire come farla… ma ti dirò che attualmente passo poco tempo sia sulle percussioni che sull’elettronica. Ho invece raccolto dei vecchi mangiacassette e sto lavorando con i nastri. È un gran casino, non ci sono due binari, ce ne sono di più e trovare una mia identità è sempre più complesso. Immaginavo che col tempo sarebbe stato più semplice ma mi sbagliavo.
Nel tuo secondo album da solista, “All My Robots” del 2015, che prendeva in prestito il suo fantascientifico titolo da Asimov, avevi già iniziato a ragionare sul rapporto tra uomo e macchina, o per meglio dire tra uomo ed esecuzione robotica. Sempre in quel disco c’era un brano, “Ornithology”, in omaggio allo studio di Olivier Messiaen sul canto dei volatili e sul suo adattamento per gli strumenti dell’orchestra – e guarda caso nel 2017 era uscito sempre a tua firma il succitato “Il Picchio”, proprio per 19’40’’. Ci sono delle idee, dei mondi di riferimento, che continuano a girarti in testa aprendo via via delle porte?
Ci sono delle indicazioni, per lo più sparpagliate e casuali, che mi accendono un campanello, e questo campanello suona e suona fin quando non ci metto la testa. Rossini non lo conoscevo quasi, ma il personaggio mi attirava e mi ronzava sempre attorno, quindi tra me e me sapevo che dovevo trovare una strada per confrontarmi con la sua musica. Ci sono delle idee che mi piacciono particolarmente, ma non ci sono veri e propri punti di riferimento, navigo a vista e seguo delle correnti ogni volta diverse. Non sono coerente se non per il fatto di tentare sempre di fare qualcosa in cui io possa credere… e non ho detto qualcosa in cui io creda. La crisi è sempre qui, di fianco a me.
Della tua passione per la fantascienza abbiamo detto, condivisa tra l’altro con Enrico – che l’anno scorso ha scritto la raccolta di racconti “Le piscine terminali” e si era precedentemente lanciato in orbita con i Calibro 35 di “S.P.A.C.E.”. Qui, con Chino Goia Sornisi, siamo nel puro campo dell’ucronia, alla Philip K. Dick. Quali sono le visioni o le letture sci-fi che ti hanno ispirato o semplicemente colpito?
Di Dick ho letto tutti i racconti, e anche il romanzo “La svastica sul sole” che è il romanzo ucronico per eccellenza. Un film che ho bene impresso in testa è “Arancia meccanica”: Kubrick scelse sia le musiche di Rossini che quelle di Wendy Carlos, e penso che Chino Goia Sornisi avrebbe potuto benissimo essere nella playlist del jukebox del Korova Milk Bar.
Persino le illustrazioni dell’artwork di “Discovering The Electronic Music Of Chino Goia Sornisi” sono opera tua e si adattano alla perfezione al concept!
Le illustrazioni che ho fatto ricalcano i quadri di Fortunato Depero, il suo teatro dei balli plastici, l’estetica delle avanguardie futuriste. L’epoca di Sornisi è quella del Futurismo e attraversa le due grandi guerre. Ho cercato di collegare questo personaggio immaginario a tutta una serie di figure realmente esistite, perché volevo scrivere una vera storia falsa, una storia ucronica.
Prima abbiamo citato di nuovo Wendy Carlos, grande innovatrice ai synth. Ci sono dei musicisti che attualmente, pur senza la stessa carica rivoluzionaria, stanno secondo te creando qualcosa di originale? Per esempio, curiosità: che ne pensi di Kaitlyn Aurelia Smith, maestra contemporanea del Buchla dall’immaginario per paradosso estremamente naturalistico?
Di Kaitlyn Aurelia Smith me ne parlò Francesco Bianconi la scorsa estate e così recentemente ho cominciato ad ascoltare il suo lavoro: fa dei bei dischi, mi sembra che sia sulla scia tracciata ai tempi da Terry Riley, con una sua maniera morbida e femminile. Mi ricorda anche le sonorità di molti degli artisti prodotti dalla Orange Milk Records, che fa cose che mi piacciono moltissimo. Quando sento nominare il Buchla, poi, mi viene sempre in mente Bob Ostertag che per me è un grande, non solo un musicista ma un grande pensatore, c’è un suo album intitolato “Motormouth” tutto realizzato col Buchla 200E. Mi sembra ci siano molti musicisti favolosi nell’elettronica più underground, se poi abbiano una reale carica rivoluzionaria lo capiremo in futuro.
“Discovering The Electronic Music Of Chino Goia Sornisi” sarà presentato dal vivo per la terza edizione di ConTempoRarities. Ci aggiorni sui prossimi appuntamenti del vostro festival?
Esatto, siamo alla terza edizione di ConTempoRarities, il nostro festival che si svolge al Santeria Social Club di Milano, dove rodiamo e presentiamo costantemente le nuove produzioni 19’40” col nostro ensemble Esecutori di Metallo su Carta. L’obbiettivo è indagare le ibridazioni tra strumenti acustici, strumenti amplificati e video. Si tratta generalmente di tre domeniche pomeriggio a cavallo tra novembre e dicembre e quest’anno ne rimangono due a cui consiglio caldamente di partecipare perché il programma è straordinario (questa volta curato interamente da Enrico). Il 9 dicembre presentiamo un programma intitolato “Arcade Music” dedicato ai sintetizzatori, alla musica per videogame e non solo, in programma musiche di Tim Follin (“Ghouls’n Ghosts Soundtrack”), Chino Goia Sornisi e Paul Hindemith. Chiudiamo il 16 dicembre con un concerto intitolato “Pinocchio!”, dove suoneremo le musiche dello sceneggiato RAI del 1972 composte da Fiorenzo Carpi e ci saranno letture dal testo di Carlo Collodi fatte da Francesco Bianconi dei Baustelle, oltre che i disegni in tempo reale di Olimpia Zagnoli.