Tom Krell si trasferisce a Los Angeles e torna con un album intenso, profondo, che reca il marchio di fabbrica della sua produzione. “The Anteroom” è un disco in pieno stile How To Dress Well, grondante riflessione interiore e filosofica, analisi di coscienza e di accadimenti realmente vissuti di cui Tom è sincere e lucido narratore (dalla considerazione del rapporto con sua madre, ad una disincantata visione del reale che lo circonda). Composto durante due anni estremamente complessi a livello personale, questo lavoro è la chiusa di un cerchio lungo quasi dieci anni, ritrovando originarie premesse e gettando le basi per quelle che verranno, sullo sfondo di poesia ed elettroniche linee sonore.
Dalla pubblicazione del tuo primo album nel 2010, una costante caratteristica si è consolidata nel tuo lavoro: l’autenticità del discorso, il coraggio di mettersi a nudo e spogliare le proprie vulnerabilità, come in un diario segreto delle esperienze di vita personale. Arrivati al 2019, rileggendone le pagine, cosa consiglierebbe il Tom Krell di oggi al se stesso del passato?
Pur non credendo possibili i viaggi nel tempo, non ho ancora una idea chiara di chi sia diventato oggi. Sicuramente sono stato una persona diversa, maturando pensieri differenti. Rispetto al passato, però, penso che me la cavassi già piuttosto bene!
L’anticamera appare come un’area grigia, uno spazio incerto di indefinitezza e ombre. Potrebbe sembrare una sala d’attesa prima dell’ingresso, in cui lasciare dietro qualcosa che non si intende portare oltre con sè, verso la luce? Una forma di catarsi di quanto si voglia dimenticare.
Nei film e nelle storie di fantascienza, i protagonisti spesso si servono delle camere stagne delle navi, come nei sottomarini, per liberarsi dei cadaveri e dei resti dei corpi. Iconicamente, l’anticamera assolve alla stessa funzione.
Il limbo dell’anticamera richiama la fragilità ed ambivalenza che la tua terra d’origine, gli Stati Uniti, sta attraversando sul piano sociale come condizione attuale. Il contrasto fra il bene e il male, tenebre e speranza, progresso dei giovani come Ocasio Ortez contro il regime della forza di Trump. Questa specifica fase storica e umana ha influenzato il tuo processo creativo?
Purtroppo, non soltanto in America, ma a livello mondiale, stiamo venendo a contatto e vivendo una terribile e nuova situazione che ci spaventa tutti; penso possa risultare utile provare a concepirci realisticamente come sull’orlo dell’inferno.
(“The Anteroom”; continua sotto)
Stai sperimentando sonoramente nuovi orizzonti, muovendoti verso bassi da club e ritmi più danzerecci, combinati a momenti ambient techno. Un passaggio in avanti rispetto al melodic R’n’B / Indie che ha contraddistinto le tue prime creazioni. Qual è il sound che stai cercando, che fa eco ai tuoi pensieri?
Sicuramente “The Anteroom” è un prodotto innovativo, ma non si allontana del tutto da ciò che lo ha preceduto. Ci sono più trame nelle mie opere, molte concatenazioni. Ad esempio, questa: “Date of Birth” (Love Remains), “Struggle” (Total Loss), “Face Again” (What Is This Heart?), “The Ruins” (Care), “Vacant Boat” (The Anteroom). Per ogni brano che ho composto nei miei lavori, sento risuonarne passato e futuro. La storia di una traccia echeggia nei miei lavori precedenti, e ritorna in quelli a venire.
La letteratura, la poesia, riferimenti culturali ricchissimi sono uno degli aspetti più stimolanti della tua produzione e del tuo stile di composizione. Riesci a dipingere un universo puro, intriso di emozioni e sentimenti cristallizzati. Come riesci a tenere questa sfera incontaminata, essendo caratterialmente molto sensibile agli eventi quotidiani e alla brutalità che connota l’attualità moderna?
É molto importante per me che questa sensibilità traspaia, questa è una riflessione giusta. Mi sforzo di non tenere separate la mia estetica e il mio agire dal reale tessuto del mondo esterno, come lavoro che opero principalmente su me stesso. Ogni disco che ho composto è sempre stato un indice del mio universo.
Foto di Zackary Michael