Se uno segue con attenzione le evoluzioni dell’elettronica “intelligente” (scusate l’aggettivo molto anni ’90) di casa nostra, il nome di Machweo è nei suoi radar già da un pezzo. Inizialmente il filone era quello beats, poi le evoluzioni lo hanno portato prima a raddrizzarsi e a cercare nostalgie sognanti in quattro un po’ anni ’90 (“Musica da festa”) e poi invece a seguire un approccio quasi più etnomusicologico con “Primitive Music” dell’anno scorso. Inquieto? Forse. Bravo, di sicuro. Ma sia benedetta questa inquietudine: perché è proprio lei, probabilmente, ad averlo spinto ad andare al di là delle solite routine da producer-che-va-in-giro-a-suonare per provare a dare vita, invece, a uno dei progetti sulla carta più emozionanti realizzati negli ultimi anni in Italia: “Mediterraneo”, una performance di improvvisazione collettiva, il prossimo 6 luglio in Emilia. Segnatevelo subito sul calendario: perché ad essere coinvolti ci sono tizi come James Holden (sì, lui), Populous, Bienoise, ma soprattutto perché un’idea cosa coraggiosa e fuori dagli schemi riporta la musica lì dove dovrebbe essere più spesso: sulle frontiere del coraggio, non solo su quelle dell’incasso.
A prima vista, potrebbe sembrare un festival – e pure bello. Ma poi uno legge meglio e scopre che, per certi versi, è qualcosa di molto più complesso ed imprevedibile. Mi puoi raccontare l’esatto momento in cui hai iniziato a pensare ad un progetto del genere? Come è nato il tutto, nella tua testa? E quando hai iniziato a confrontarti con le prime persone di fiducia, quali sono state le loro reazioni?
Ormai è tre anni che mi approccio a scrivere musica attraverso l’improvvisazione: studiarla e capirne il valore sociale, politico e musicale mi ha aperto un mondo di possibilità espressive di cui, semplicemente, non riesco più a fare a meno. Studiare in Conservatorio mi ha educato al fatto che il live può anche non essere la riproposizione, playlist-like, di un disco; un live può voler dire molte altre cose, che purtroppo trovano spazio solo in piccoli palcoscenici ma meriterebbero enorme approfondimento. Non mi viene neanche da dire che “purtroppo” è così. Semplicemente, le canzoni vendono, sono qualcosa di accattivante. Gli artisti devono mangiare per farne altre, insomma, è tutto normale: i live fanno mangiare quanto e più dei dischi, quindi le persone ai concerti devono cantare, eccetera eccetera. E’ un circolo che si autoalimenta. A un certo punto però mi sono solo chiesto se può esistere altro in modo complementare. Mi spiego: non qualcosa che sostituisca e oscuri la musica concepita in modo mainstream, quanto piuttosto qualcosa che possa starci seduta accanto, senza paura del confronto. Mi sono chiesto se potessero esistere spazi che accogliessero altre forme di musica; era da tempo insomma che speravo si potesse concretizzare un’idea di musica estemporanea, magari fatta da persone che nella vita fanno canzoni, proprio per dimostrare (…dimostrarmi, anche) che la musica è davvero tante altre cose rispetto a quello a cui siamo abituati. E anche: la musica può in alcune occasioni non essere una gara, ma una forma di “solidarietà”. “Mediterraneo” nasce infatti proprio dall’idea di creare un’esperienza di coesistenza forzata, in cui il predominio dell’individualità è un ostacolo, un vero ostacolo rispetto alla sussistenza e al mantenimento dell’esperienza. Il nome è “Mediterraneo” perché il nostro mare è il simbolo per eccellenza di incontro tra culture molto diverse: mi sembrava una rappresentazione simbolica azzeccata. L’unica cosa che posso assicurarti è che sì, è nato tutto nella mia testa. La prima persona con cui mi sono confrontato è Gianluca, un mio amico, uno dei ragazzi dell’associazione culturale di cui faccio parte, la cui reazione non è stata “Sì, vabbé…” ma è stata semplicemente “Ok“. Successivamente ho raccontato l’idea di Mediterraneo a tutta l’associazione, che ha risposto con entusiasmo. Penso di essere stato così sorpreso in vita mia davvero poche volte. Parliamoci chiaro: se un progetto come questo nessuno l’ha mai fatto (che io sappia, o comunque non in tempi recenti…), forse un motivo c’è. Mi aspettavo mi mandassero a quel paese.
Ci sono stati dei momenti in cui ti sei detto “No, lascio stare, questa cosa mi sa che è troppo complicata, facciamo che abbiamo scherzato”?
Se ti dico “Tutti i giorni”, ci credi? Oddio, adesso con gli artisti bookati, le grafiche fuori, con questa intervista e il resto, ormai ci sono dentro fino al collo e non ci penso più; ma ogni tanto mi sveglio con la paura di essermi lanciato in una cosa troppo grande perché io possa gestirla. Una sera di quest’inverno sono andato insieme a Gianluca a casa di Matteo Gozzi, il ragazzo che organizza Arti Vive, per fare qualche domanda su come si produce un concerto del genere e su come si produce un festival in generale. Dopo avermi spiegato ogni cosa a un certo punto mi dice “Senti il sabato di Arti Vive forse è libero, ma perché non lo facciamo davvero sul nostro palco?“. Tu non hai idea di quanto il giorno dopo abbia sperato che quella proposta fosse solo il frutto di qualche bicchiere di nocino di troppo… Invece niente, era una proposta reale e non lo ringrazierò mai abbastanza. Per fortuna non è solo il festival di Machweo, ma è il festival organizzato dai ragazzi del Mattatoyo, l’associazione di cui parlavo prima, insieme ai ragazzi di Arti Vive. Posso dirti che il loro supporto (sia morale che concreto, logistico ed organizzativo) aiuta molto. Una cosa del genere da soli non si può fare; e se verrà bene, sarà il frutto del durissimo lavoro di decine di persone.
Dei musicisti coinvolti, quali sono i primi che hai sentito? E cosa ti hanno risposto, quando hai illustrato il progetto?
James Holden subito, appena l’idea è iniziata a piacere ai miei amici. Volevo essere sicuro non fosse una stupidaggine, e non conosco nessuno più autorevole di lui nel qualificare le stupidaggini in campo musicale. Niente. anche lui mi ha detto che era una cosa un po’ fuori di testa ma valeva la pena farla. Dopo ho sentito Andrea (Populous), Alberto (Bienoise) e Raffaele (Costantino), che hanno tutti risposto con entusiasmo. Dopo ho sentito i ragazzi che suonano con me nella band di Machweo, e suoneranno anche a Mediterraneo, gli ho detto una cosa del tipo “Almeno voi ditemi che questa cosa è stupida, ditemi che se la facciamo diventa il Fyre Festival e chiudiamola qui…“. Nessuno a oggi mi ha fermato. Visto come sta andando, ora che è tutto molto più concreto e inizia a prendere forma, dico anche “Per fortuna”.
(Il post con cui Arti Vive annuncia l’evento; continua sotto)
Avevi già in mente un organico preciso, o le cose si sono costruite via via da sé?
Sì, l’organico come struttura era molto preciso nella mia testa, sia come strumenti sia come persone da contattare. La line up precisa invece è stata costruita pian piano, guardando le disponibilità e gli impegni di tutti. Chiaro che, in linea generale, se un artista deve scegliere se promuovere la propria musica o suonare in una cosa del genere, può preferire fare un suo concerto, soprattutto in estate, quando i palchi sono più grandi e le opportunità di suonare sono tante. Normalissimo. Infatti, arrivare a riempire tutte le caselle è stato un processo abbastanza lento.
Posso chiederti una breve descrizione, membro per membro, dei musicisti coinvolti in questo evento? Come li vedi, perché hai scelto proprio loro…
Partendo dal presupposto che tutti quelli che suonano a “Mediterraneo” sono miei amici o comunque persone con cui ho una certa confidenza (premessa necessaria, perché a spiegare una cosa del genere a sconosciuti, soprattutto con le booking agency in mezzo, mi avrebbero preso per matto), ogni artista coinvolto è diverso – e nella mia testa complementare – agli altri membri del gruppo. James Holden è nel suo viaggio di musica improvvisata / free jazz / trance già da anni, e penso che il suo apporto coi sintetizzatori possa davvero svoltare una sessione di musica improvvisata: per come suona dal vivo temo davvero farà la differenza. Populous è l'”icona pop” della contaminazione in Italia, non conosco nessuno che abbia il suo istinto musicale e, nonostante lui si definisca più un produttore che un musicista, porterà i suoi colori per tutto il concerto. Emma-Jean Thackray è la regina del new jazz inglese: penso lei viva improvvisando, basta andare a guardare il suo Against The Clock su Youtube. Quando l’ho visto io l’unica cosa che ho pensato è stata “No vabbé, voglio lavorare con lei“. Bienoise è più nerd di me e penso ce ne voglia davvero tanto: lui si nutre di musica “altra”, ha un gusto musicale spaventoso e avendo avuto un percorso simile al mio ha capito subito che tipo di esperienza sarebbe stata “Mediterraneo”, lui sarà fondamentale. Flavio degli Inude non so se l’avete mai visto suonare e cantare dal vivo: è bravo e basta. A dire il vero pensavo che sarebbe stato uno di quelli che mi avrebbe mandato a quel paese, invece ha accettato senza pensarci un secondo. Con Laura Agnusdei ho suonato alcune volte in conservatorio a Bologna: io ero ai synth, lei al sax baritono, lo suona con un’espressività da musicista elettronico, non saprei spiegarlo bene ma ho sempre percepito ci fosse una certa affinità artistica tra noi e in un’improvvisazione questo è fondamentale. Giulio Stermieri è il miglior pianista che io conosca, punto. Antonio Rapa e Dario Martorana suonano con me da tre anni, potremmo suonare per ore senza parlarci, tra noi tre si è creata un’intesa profonda, sono ormai insostituibili in qualsiasi cosa io faccia.
Non voglio nomi, non serve che tu me li dia: c’è qualcuno che ti ha detto di no? E se sì, perché?
Sì! Ci sono almeno quattro nomi il cui rifiuto mi fa ancora svegliare col magone ogni tanto. Il motivo è che avevano già date bookate: ci abbiamo provato fino all’ultimo, ma non ce l’abbiamo fatta a incastrarli. Altri non si sentivano adeguati, o non si sentivano bravi musicisti. Per me non è vero: nel senso che improvvisare non vuol dire essere virtuosi, il 90% dell’improvvisazione è ascolto e tutti quelli che ho contattato sarebbero stati in grado di gestire un’improvvisazione perché sono ottimi artisti. Del resto però è legittimo non sentirsela di fare una cosa del genere, totalmente comprensibile.
Vi troverete sul palco a suonare buona-la-prima, o farete qualche prova nei giorni precedenti?
No, ma sei pazzo!? Che domande fai? (Ride, NdI) Non è pensabile suonare in dieci “a caso”, se non lo si è mai fatto prima. Ci sarà una “core” band di cinque elementi che proverà nei giorni precedenti al festival su una sorta di canovaccio che sto preparando. L’idea è quella di creare una certa affinità tra almeno cinque persone in modo che, anche se nessuno degli altri musicisti suonasse, tutto il concerto potrebbe reggere comunque. Il giorno prima ci sarà una prova generale con tutti, il giorno dopo si suona. Vorrei salire su quel palco tranquillo di poter scendere senza aver perso la dignità e la mia credibilità di musicista.
Come si fa ad impostare un evento di musica improvvisata? Ci sono dei punti fissi da cui partire? Ci sono anche delle gerarchie da rispettare, una volta sul palco?
Non ci sono gerarchie in musica, secondo me. Non esiste un capo. Per come l’ho immaginata, in “Mediterraneo” esistono dei binari dentro i quali i musicisti possono veicolare la loro musica. Detto in modo concreto, si crea quella che viene definita una “partitura intuitiva”: un foglio su cui sono scritte delle indicazioni, non delle note precise. E’ come se fosse un copione di uno spettacolo: solo che invece di esserci scritte le battute da recitare ci sono dei suggerimenti. Per fare un esempio che non sia nella musica di ricerca, non so se hai presente quella trasmissione di Ale e Franz in cui loro avevano delle cuffie in-ear e una voce fuori campo gli spiegava il tema su cui improvvisare per le successive battute, non gli veniva detto esattamente cosa dire, ma gli veniva suggerito su che binari stare. Ecco. Ora, non sto dicendo che assistere a “Mediterraneo” sarà come guardare un programma di Ale e Franz, volevo solo fare un esempio…
Onestamente: sei più emozionato o preoccupato, ora che tutto questo sta diventando davvero realtà?
Guarda, sto davvero cercando di pensare di non essermi imbarcato in una cosa troppo grande per me e troppo incomprensibile per il pubblico: sono molto preoccupato. Però allo stesso tempo sono emozionato, perché stiamo lavorando a una performance dal valore politico gigantesco nella migliore tradizione del free jazz e, al contempo, a una forma alternativa (davvero, concretamente alternativa) di musica. Mi sento nato per fare questo, per suonare: non so fare altro. Sono molto più emozionato che preoccupato, ma onestamente ti dirò che sarò felice quando sarà finita l’ultima nota… Le valutazioni facciamole dopo.
Cosa è rimasto del Machweo degli esordi? Sei un producer che ha cambiato pelle più volte… come mai?
Quello che è rimasto è la fame di creare qualcosa che possa rimanere. Continuo a fallire e continuo a provarci, vorrei davvero con tutto me stesso farcela nella musica senza seguire tutte-tutte le regole e, per quanto sia estremamente insicuro, è una cosa che mi auguro dal primo giorno. Non è obbligatorio fare il musicista nella vita, quindi non sono preoccupato; sono solo felice all’idea di poter continuare a farlo. Ho cambiato spesso pelle perché sto cercando il modo migliore di comunicare. Non sono sicuro di averlo trovato, ma va bene così: la strada che ho intrapreso la sento mia e ormai è un po’ che la sto percorrendo. Le evoluzioni e i cambi di direzione fanno parte di essa.
Ecco, appunto: quanto è difficile, oggi, in Italia, mantenersi da vivere creando musica? Ti puoi riferire alla tua esperienza personale, ma anche a quelle di colleghi che conosci bene e con cui ti scambi spesso pareri ed esperienze.
Tanto, lo è tanto. Anche adesso che, da quel che sembra, l’attenzione sulla musica “underground” da parte delle major è molto alta. Nella mia esperienza la mia musica mi dà da vivere come un lavoro part-time, e più o meno è così anche per gli altri. Certo, ho anche amici che ci vivono, magari pure molto bene, ma penso tu ti stia riferendo ai miei colleghi “più stretti”, quelli insomma assimilabili a me per attitudine ed indirizzi.
Esatto.
Ogni tanto mi diverto a produrre musica per altre persone. Mi piace tanto stare in studio e fare cose per altri: penso che la sfida più grande stia nel provarci, con la consapevolezza che le cose più belle della musica prima o poi finiscono nel pop. E’ lì la vera “gara”. Provo a partecipare a questa “gara” con i miei tempi, senza ansia di farcela economicamente a tutti i costi. Esattamente come stanno facendo, per quel che vedo, un bel po’ di persona attorno a me.
Domandone finale: sei diventato direttore artistico di un festival della madonna, che ha pure la fortuna di poter contare su un budget quasi illimitato – forza tira fuori il nome dei 5 headliner che sceglieresti, spiegando anche perché.
Questa è proprio una domanda da application della Red Bull Music Academy… (ride, NdI). Allora, il mega festival dal budget infinito ha questa line-up: Radiohead, Drake, Lorenzo Senni, Sophie (a cui commissionerei uno show in realtà aumentata) e King Gizzard & The Lizard Wizard. Loro cinque, tutti in cartellone insieme, perché se li guardi in fila hai uno spaccato gigante sul contesto storico in cui viviamo, sarebbe un festival ultra pop. Tra l’altro, ora che rileggo è una plausibilissima line-up di un’edizione stravagante del Club To Club… chissà…