Per cento passi percorsi in avanti dalla società ve ne sarà sempre uno indietro che prova a risalire la corrente, contrario come un salmone che termina la propria corsa da solo in senso opposto. Quelli che viviamo sono comunque tempi di riflessione, di risveglio delle coscienze e, soprattutto, di mobilitazione collettiva: le folle si radunano al cospetto delle istituzioni per salvarci dal cambiamento climatico, dopo anni di silenzio sul tema; violenze taciute emergono dalla testimonianza di donne coraggiose, il “…grab ‘em by their pussy” e la misoginia sono condannati da una moltitudine che, dopo decenni, riconosce al sesso femminile le vessazioni e le ingiustizie sopportate, unendosi magari sotto l´hashtag #metoo, moderno simbolo di lotta per una causa comune.
E pur in anni cosi fertili dal punto di vista dell’impegno, dove l’asticella del politically correct si è alzata vertiginosamente ed ogni dichiarazione fraintendibile potrebbe comportare un inesorabile alzata di scudi con tanto di stigma sociale, si contano ancora numerosi i casi di chi, quella soglia, la balza con un salto a piedi uniti fregandosene intenzionalmente, esprimendo un’opinione che diviene subito uno statement di discussione globale. Se poco tempo fa era stata la volta di Pacou, resident del Tresor trovatosi protagonista di una catilinaria xenofoba, in questa occasione il soggetto del contrasto è il dj e producer ucraino Vakula, ideatore di un artwork di copertina estremamente controverso (e, anche solo limitandosi ad un giudizio meramente estetico, per niente bello).
L’illustrazione è stata realizzata da Wanda Kuchvalek per l´EP “Per Aspera Ad Astra”, pubblicato dall’artista sotto lo pseudonimo Rocco Siffredi sulla Barba Records. Presenti nelle vesti di astronaute alla guida di una navicella spaziale fallica, tre dj fra le piu´note del panorama internazionale: Peggy Gou, l’ucraina Nastia, The Black Madonna e Nina Kraviz. La provocazione lanciata da Mykhailo Vityk ovviamente ha subito sollevato un mezzo vespaio: la sua prima risposta è stata che la sua intenzione era voler omaggiare le donne che più ama ponendole ai comandi del pene migliore che potessero incontrare nelle rispettive esistenze. Che simpatico. Subissato dalle critiche immediatamente dopo, ha riconosciuto pubblicamente – tramite ammenda sui social network – come in realtà trattasse di una riproduzione grafica ironica, niente più di uno scherzo insomma, con l’intenzione di dipingere una satira contro l´attuale situazione dominante la scena del djing – in cui apparire è più importante di produrre, ambiziosi e affamati di gloria e denaro come sono tutti (e neanche troppo indirettamente accusando The Black Madonna e Resident Advisor).
Proseguendo l’arrampicata sugli specchi, in un post successivo ha rivoltato le accuse nel più classico degli “Haters gonna hate!”, lavandosone le mani e proclamando il proprio amore per il gentil sesso, chiosando che nella sua prossima copertina avrebbe infilato, egualitariamente, solo uomini.
Ad ogni modo, sarebbe nell´ambiente risaputo che il dj/producer sia un aficionado di certi atteggiamenti misogini – ecco qui ad esempio il racconto di Nastia.
Il punto è questo: non si può accettare che quello di Vakula venga derubricato a scherzo “su cui riderci su”, nel momento in cui il dibattito sulla parità di genere è – finalmente! – particolarmente caldo. Le artiste raffigurate in copertine possono piacere o meno, ma essere inserite in un contesto così di cattivo gusto, coi sottintesi e le risatine da becerume vero, è qualcosa che semplicemente non deve accadere. E’ un riportare indietro le lancette del buon senso, ora che finalmente è chiaro a tutti che le donne, che possono anche essere mogli e madri, devono veder garantite lo stesso rispetto sul lavoro che si dà ai colleghi maschi, a partire dall’irricevibilità in un contesto pubblico di battute a sfondo greve.
Di fatto, l’artwork di questa release di Rocco Siffredi, pardon, Vakula non ha senso di esistere, se non come pessimo e fallimentare esercizio di ironia: ironia che potrebbe anche confondersi, a livello intellettuale, come condanna al colosso discografico che ad oggi plasma i dj a tavolino, ne cura l’estetica e il mood, ne tira fuori un personaggio mediatico universalmente gradevole e lo scaglia sul mercato come cavallo vincente facendogli macinare centinaia di date e milioni in fatturato. Ok: questa è una condizione veritiera ed esistente, nessuno lo nega. La perdita della spontaneità e della purezza a favore delle mire economiche dell’industria musicale è un fenomeno reale di cui bisogna assolutamente parlare. Peccato però che esprimere questa istanza attraverso una raffigurazione così offensiva e di dubbio gusto toglie all’istanza stessa le motivazioni per essere rivendicata, almeno in questa sede, con questa release e da questa persona. Ancora una volta, si perde l’occasione per fare le cose bene, spostando il focus dalla musica a un discorso che poco c’entra, montando un caso di cronaca e un discorso sociale. In generale, diciamolo, facendo le cose proprio male.
Quando sembra ormai quasi superfluo dover ribadire quanto essenziale sia l’operato femminile in una scena da sempre a prevalenza maschile, quanta bellezza e creatività e lavori eccezionali siano apportati in contributo a questo mondo da donne incredibilmente virtuose e appassionate, costanti stacanoviste della consolle, ecco che ritorna impellente l’urgenza e la necessità di ribadire l’ovvio, per rispondere a quel fenomeno seduto all’ultimo banco che si crede divertente tirando le trecce alle sue compagne di classe con sopra disegnati dei peni.
Il maschilismo esiste, esiste il machismo; ed è un orgoglio essere testimoni di un vento di cambiamento in cui questi due fenomeni vengono messi all’angolo come brutali, vetusti e frutto di un modello patriarcale antiquato che ora finalmente lascia spazio al futuro, ad una vita cioè in cui una donna non dovrà più, auspicabilmente, giustificare la propria magnificenza (o non magnificenza) lavorativa soprattutto su base personale e di appartenenza di genere ed orientamento sessuale.
Le mele marce nel cestino che rimestano in questa spazzatura dell’antropologia si troveranno ancora, ma saranno sempre minori, emarginate, riconosciute istantaneamente da chiunque per la tossicità che arrecano all’insieme. Questo è il punto, e questo è ciò che deve saltare fuori in prima istanza da questo Rocco-Vakula-gate. Tutto il resto arriva dopo. In qualsiasi bar di Berlino, guardando alle pareti, si noteranno cartelli con la scritta a chiare lettere: “Qui non e´accetta alcuna forma di sessismo, razzismo, omofobia o transofobia”. C’è evidentemente ancora bisogno di ripeterlo nel 2019, affinché lo tenga bene a mente anche solo quando si beve una birra al bancone; e c’è in ogni caso sempre bisogno di riaffermarlo con forza a convinzione, a maggior ragione in un ambiente come quello musicale in cui la vera forza sono l’espressione creativa ed emotiva al massimo della libertà.