Un po’ durante tutto il giorno sono fioccati messaggi privati e pubblici, tra il fanatico e lo scettico, tra il cinico e l’appassionato: sta di fatto che durante tutta la giornata di ieri Liberato è stato un po’ una presenza aleggiante. Sì, perché ormai il 9 maggio è diventato la “sua” giornata, almeno nella musica italiana: e quindi ormai ogni volta ci si aspetta che succeda qualcosa. Il team che guida l’operazione lo sa bene. Lo sa bene, perché infatti ha preparato un aggiornamento-monstre della faccenda; lo so benissimo, perché questo aggiornamento si è divertito a spararlo poco prima di mezzanotte, quando bene o male si erano perse le speranze.
Aggiornamento-monstre? Ebbene sì. Cinque pezzi nuovi, corredati da cinque video nuovi. Anzi, facciamo quattro e mezzo, visto che il quinto episodio è una collezione di still fotografici (anche belle, le fotografie, ma l’effetto è un po’ così…). Stavolta il team guidato dal regista Francesco Lettieri si è divertito ad esplorare altre strade dell’iconografia napoletana: la Capri “cinematografica” degli anni ’50 e ‘60 (con tanto di metanarrativa, come potrete vedere), e poi le derive verso gli anni ’70, ’80 e ’90. Praticamente un video a decennio, in modo più o meno dichiarato. Il tutto sotto le insegne di un unico titolo: “Capri Rendez-Vous”. Esercizio di stile notevole, sforzo produttivo sopra la media. Non è certo la prima volta che video di artisti musicali italiani flirtano con la storia del cinema e i suoi stilemi, ma a nostra memoria nessuno se n’era venuto fuori con un pacchetto così strutturato. Il limite è quello di tutti gli esercizi di stile: bello, ammirevole, ma non sempre veramente incisivo. Il primo Liberato, quello diciamo ultrà urbano, colpiva di più. Ma onore al merito non voler restare legati solo a quello: il gioco avrebbe stufato.
E la musica? La musica com’è? Potrete sentire e giudicare voi stessi. Quello che ci viene da dire è che ormai Liberato ha trovato il suo suono: pop contemporaneo – quello insomma che flirta a corpo morto con l’EDM e la latinoamericana dance, aggiungendoci i bassoni per far un po’ brutto&urban – con in più i giusti elementi di napoletanità “da cartolina” nella voce e nei testi. La cosa buona è che di tutte le “cartoline” quella napoletana è così maledettamente intensa di suo che, insomma, funziona e colpisce sempre; al di là di questo, da un lato non c’è più l’effetto sorpresa, dall’altro il Liberato-artista dimostra di aver trovato, lui e il suo team produttivo, un centro di gravità permanente, e questo lo troviamo un buon risultato, perché il rischio era quello di diventare un progetto-paciugo che di volta in volta provava ad azzeccare l’identità “che funziona” (anche se ci mancano un po’ le fulminanti rarefazioni del singolo d’esordio, mai più eguagliate). Il fatto che non sia così è segno che c’è una consistenza artistica reale, non costruita frankensteiniamente a tavolino. Poi, se volete continuare il gioco di società su chi sia veramente Liberato, fate pure; ma secondo noi vi perdete il vero fuoco del progetto, ve lo gustate di meno: la querelle sull’identità è solo spuma (e probabilmente quando sarà disvelata ne converrete anche voi).