Come spesso accade, il detto “piove sempre sul bagnato” ha il brutto vizio di prenderci. Perché se da un lato la situazione economica e sociale del Vecchio Continente non brilla, nemmeno il mondo del clubbing può dirsi davvero in forma: con l’estate alle porte – nonostante maggio ci abbia lasciato solamente parecchie ragioni per avercela con lui – ci si sarebbe aspettati un crescente fermento per quanto riguarda il programma estivo che attende gli appassionati di house, techno, disco e chi più ne ha più ne metta. E invece? E invece c’è che se è vero – perché è assolutamente vero – che il grandi colossi della scena elettronica mondiale continuano a viaggiare spediti (citofonare al DC10 per credere), qualche nuvola minacciosa si addensa all’orizzonte.
Partiamo da ciò che è un dato di fatto: i proprietari del barcone su cui sorge e balla il Concrete di Parigi hanno intenzione di sfrattare il club, rifiutando di rinnovare il contratto di affitto e aizzando il fuoco che arde dentro all’animo del clubber (soprattutto) da tastiera. “Come si permettono? Non possono farci questo!”, e pazienza se non sono mai stati a Parigi nemmeno per far scalo. Pazienza se, in fondo, in un club così nemmeno ci si divertirebbero. Occorre far un po’ di cagnara, soprattutto se ad accendere la miccia sono alcuni dei protagonisti di alcune delle notti più eccitanti degli ultimi mesi: la chiusura del Concrete è universalmente considerata inaccettabile.
E allora? Dove sta il problema? Nulla da dire, per carità di Dio, non possiamo che sposare in toto anche noi questa battaglia per salvaguardare uno dei luoghi del clubbing più importanti non solo di Parigi; ma concedeteci il diritto di restare perplessi – e, perché no?, un po’ delusi – dall’ennesima riprova di quanto questo mondo, soprattutto questo mondo, viva di ipocrisie inestirpabili.
Non ne è ufficiale la chiusura, perciò ogni discorso a riguardo va comunque preso con le pinze, ma anche il Cocoricò non naviga in buone acque. I così detti “tempi duri” che in passato i suoi protagonisti esorcizzavano di fronte all’ennesimo sold out sono arrivati – e da diverse stagioni, tra l’altro – rendendo la vita del club riccionese paradigmatica: se volete entrare in contatto con le cose della scene underground che non funzionano, potete partire da civico 44 di Viale Chieti per la vostra esplorazione. Non è ancora certo, dicevamo, che la stagione 2018 del Cocoricò sia stata l’ultima, ma in un mondo effimero fatto di rincorsa al like, ai consensi e alla costruzione dell’io-personaggio che fitta perfettamente con gli algoritmi dei social network, fa specie che nessuno dei suoi vecchi protagonisti – nessuno! – abbia speso una parola per dire “spero non sia vero!”. Nemmeno chi coi soldi del Cocoricò ci si è comprato un attico di duecento metri quadri in centro a Berlino.
E allora, mentre aspettiamo che venga fatta chiarezza e che ci venga detto che cosa ne sarà del super-club di Riccione, lasciateci ribadire – perché l’occasione, concedetecelo, è davvero ghiotta – che questa cosa del fare figli e figliastri è medioevale e fa vomitare. Nella vostra nauseante rincorsa alla popolarità cercate, almeno una volta, di essere coerenti fino in fondo e di dare il giusto sostegno a chi, fino a nemmeno dodici mesi fa, vi copriva d’oro. Anche solo per la versione più sciatta della vostra musica e del vostro talento.