Certo, fare le cose al sud può essere più difficile. Ma quando le fai, quando ci riesci e lo fai gran bene, ti si apre il cuore: a te, a chi viene a vedere il frutto del tuo lavoro. Perché è vero che storicamente nella parte meridionale del nostro paese c’è sempre stato meno spazio per la club culture di un certo tipo, è vero che in generale da quelle parti c’è un po’ il luogo comune che la cultura “estiva” debba essere fatta di bolse comparsate di cantanti televisivo-sanremesi (…ma in realtà è un morbo che affligge l’intero paese), è vero che geograficamente si tratti in qualche caso di rotte più difficili da raggiungere geograficamente (i manager degli artisti stranieri ti chiedono subito: “Qual è l’aeroporto più vicino?”); ed è altresì vero che per tutti questi motivi storicamente è stato più difficile costruire una scena, un pubblico, una platea vasta di appassionati.
Ma quando questo succede, sai che ci sono dietro persone ed idee di grande valore. E questo è sicuramente il caso di FRAC Festival. Anzi, vale la pena fare un passo indietro, cambiare una consonante e parlare prima di tutto di CRAC: un notevole centro culturale con base a Lamezia (l’acronimo sta per Centro di Ricerca per le Arti Contemporanee) che ha fatto veramente molto per animare intuizioni, creazioni, scintille, suggestioni. FRAC Festival è un suo spin off, una “costola” che – forte del know how accumulato e della forza progettuale – ha deciso di fare il passo in più e buttarsi nell’avventura-festival.
Buttarsi non a casaccio. Ma buttarsi, anche, sapendo delle difficoltà: la più grossa ed assurda delle quali l’abbiamo raccontata e fatta raccontare qui, un perfetto esempio dell’idiozia ed arretratezza di certa Italia (istituzioni comprese), ma anche di come a questa arretratezza ed idiozia si possa reagire, senza arrendersi, senza cedere, senza, piangersi addosso, ma portando avanti cocciutamente la forza della propria convinzione e della propria consistenza culturale, per farle vincere.
E FRAC Festival, ha vinto. Che abbia vinto lo dimostra non solo che ci sia ancora, ma anche e soprattutto quanto è qualitativa l’edizione 2019: come potete leggere qui sopra, la line up è veramente da alti livelli, a pieno titolo nel novero dei migliori festival estivi per le cose “nostre”, con headliner come Theo Parrish (zero presentazioni, no?, Nu Guinea (ormai zero presentazioni pure loro), Planningtorock (da sempre una delle voci più intelligenti dell’elettronica contemporanea più “ibrida”), oltre al piccolo colpo di scena di mettere in campo una delle voci più leggendarie del soul, ovvero Lee Fields. Non solo: sentiamo di sottolineare due volte anche la presenza di act italiani davvero interessanti e che meritano tutta la vostra attenzione, come Venerus e 72-Hour Post Fight.
Insomma: dal 9 all’11 agosto fareste bene a spostare le vostre coordinate verso il Complesso Museale del San Giovanni, a Catanzaro. Per la musica e la sua qualità; per sostenere un festival giovane ma già dalla storia e dalla consistenza importante; per essere al fianco di chi non si abbatte alle prime difficoltà ma sa portare avanti un discorso che ci renda tutti centrali, e protagonisti, nei network contemporanei della conoscenza.