Cercate un posto sul lago, dal panorama magnifico e siate più che disposti ad adattarvi ad un senso di disorganizzazione molto alto, dove l’80% degli addetti al festival, dall’Info Desk a tutte le altre maestranze, non parla mezza parola d’inglese e quindi sia impossibilitato ad aiutarvi? Avete voglia di vedere bellissime ragazze euforiche e festanti, neanche fossimo alla Fashion Week, ed altrettanti bei ragazzi con fisici palestrati e a torso nudo con qualche bubbone sulla schiena segno di abuso frequente di anabolizzanti, in un trionfo di chirurgia estetica e vacuità? Cercate del sano sballo h24 con prodotti praticamente a chilometro zero e, ripetiamo, vi sapete logisticamente adattare? Bene: allora sì, “Try your luck” e “Welcome to Balaton Sound 2019”.
Lo diciamo senza ironia e sarcasmo, attenzione. Perché a dire il vero con uno spirito più oculato, con più organizzazione e più concretezza, questo potrebbe essere un bel festival, o perlomeno potrebbe diventarlo (visto che non parliamo di un festival alla prima edizione); invece, più volte la sensazione è stata di difficoltà, di caos, di approssimazione. Certo, non sono mancati spunti di divertimento. Anzi, lo stage gestito da Elrow è stato una garanzia, una sicurezza, un rifugio di bellezza e good vibes. C’è ovviamente più di un motivo se questo party spagnolo spopola in tutta Europa, e anche qui al Balaton ne abbiamo avuto la conferma: ma non sempre ci si può chiudere otto ore sotto il palco, sotto un unico palco, mentre fuori regna il disordine.
(gente da Balaton Sound; continua sotto)
In generale, non ci sono dispiaciuti i momenti più vicini alle logiche del clubbing, abbiamo apprezzato molto le esibizioni di Monika Kruse, di Kalkbrenner, Claptone e Nick Curly. E se Il premio al miglior set del festival va a SouveQ, abbiamo trovato invece solo divertente l’esibizione di Marco Carola che ci è sembrata un po’ al minimo sindacale. Ecco, la cosa del minimo sindacale ci sentiamo di approfondirla subito: perché è stata una sensazione imperante un po’ in tutto un festival dove le tante, tantissime presenze (con tanto di sold out nella giornata di sabato) sono per la maggior parte interessate ad un concetto generalizzato di festa, un pubblico che segue giusto i nomi del main stage e per il resto si limita a seguire quel che c’è purché ci siano musica e cocktail serviti in un secchiello da spiaggia (con tante cannucce, ça va sans dire).
Il main stage poi è modesto a nostro avviso, appena sufficiente per un festival a forte impronta EDM, con la scenografia che si salva appena e i fuochi d’artificio – classico clou del genere – che durano 30 secondi. Tanto più che la line prevista su di esso è stata musicalmente falcidiata dalle defezioni all’ultimo (Sean Paul e Dj Snake lo stesso giorno, per dire), defezioni che hanno fatto pagare ancora più pegno all’illogica, per non dire incomprensibile, idea di tenere il palco attivo per tre set dalle sei alle undici. Forse c’è un’idea di spending review (…ad un festival? Ha senso?) alla base di tutto o forse tutto è stato fatto per non disturbare troppo i “laghee” ungheresi (detto alla lombarda) che, siamo onesti, non abbiamo visto granché entusiasti in merito al festival in se stesso.
(il main stage visto da dietro; continua sotto)
Logico che in un main stage tanto fast e poco furious, se non per le belle esibizioni di j Balvin e Armin Van Buuren, le defezioni hanno un peso doppio. Va detto comunque ad onore di cronaca che il pubblico non ci è sembrato ci facesse granché caso, sempre per quel discorso dell’importanza che si faccia festa, indipendentemente dalla qualità della festa. Noi eravamo venuti anche per andare a vedere lo stato dell’arte della musica EDM: per quello che abbiamo visto, l’abbiamo trovata forse ferma ma non a disagio, comunque ben salda nel proprio mood, con un occhio verso un futuro più tecnico che mai. Marshmello oltre che idolo indiscusso dei bambini, sembra sempre più Rustie nei suoi drop, le altre esibizioni ci sono sembrate orientate verso una electro.house tendente al pop ma comunque ben fatta, e ci hanno raccontato di un Tiesto obbiettivamente sul viale del tramonto che con un set pallido e sciapo ci ha dimostrato di essere, ormai, il passato e di avere oggi ben poco da dire (anche se si affanna a dirlo).
Siamo andati al Balaton anche per il tanto rap/trap, hosted by la nuova scuola di performer tanto Instagram e tanto studio di registrazione. Beh: quello che abbiamo visto non è altro che una truffa ben organizzata, e stavolta il festival non c’entra nulla. I pesi massimi delle classifiche del genere visti lì, e ce n’erano, non sono in grado di trappare o recitare le proprie rime e si limitano, invece, a fare le doppie voci ai loro stessi playback. Che tristezza.
Sembrerebbe una disfatta, eppure occhio – di sensazioni belle ne abbiamo viste e vissute. Abbiamo visto e partecipato a feste in spiaggia al pomeriggio ben fatte e divertenti; abbiamo visto tanti giovanissimi ungheresi al loro primo festival contenti e sognanti, in un senso di unità e amicizia tra gente di tutta Europa fortissimo. Non si tratta di dettagli. Sicuramente qualcosa di positivo l’abbiamo trovato anche noi, motivazioni che per cinque giorni hanno mosso testa e gambe spingendoci a ballare – è un dato di fatto, è successo. Basta conoscere prima le premesse di ciò che si va a vedere, e allora ci si adegua con più di un sorriso. Pensateci: se per voi il “Bellino ma è un delirio” può bastare come piacere assoluto, allora potreste aver trovato il festival che fa per voi. Ma l’eccellenza, la cura, la sorpresa abitano altrove.
Insomma: vale la pena andarci, a Balaton Sound? La risposta è no, tendenzialmente no. Mettiamo di mezzo un termine di paragone con cui cercare di fare un confronto, giocando sempre nella stessa “Lega”: se cercate un festival con i big artist EDM, un po’ di rap/trap e della buona sana techno e tech-house, con party h24, dove tutto sia perfettamente organizzato e soprattutto a buono, buonissimo prezzo, allora sappiate che l’Untold Festival in Romania batte il Balaton con uno di quei punteggi per cui, nel baseball, si chiude anzitempo per manifesta inferiorità.