Partiamo dalle premesse che ormai possiamo dare per sottintese: SOPHIE non è un’artista come gli altri.
Non è nemmeno che gioca in un campionato a sé, ma è proprio che a volte sembra addirittura dedicarsi a un altro sport, proprio come quelle squadre che hanno cambiato il modo di giocare a calcio, come il Milan di Sacchi o il Barcellona di Guardiola.
Proprio come quelle squadre per cui esiste un “prima” e un “dopo”, non tutto quello che fa SOPHIE è interamente nuovo o rivoluzionario, spesso anzi si tratta più di prendere concetti che esistono già, in nuce, e portarli al livello massimo possibile, alzando l’asticella e indicando la via: non siamo fan così sfegatati da pensare che idee come quella di giocare sull’anonimato, o comunque su un’idea sfumata, o quella del merchandising in edizione limitatissima, o ancora la sintesi da zero di ogni suono, senza mai campionare niente, siano parto esclusivo della mente di miss Xeon: sappiamo perfettamente che altri prima di lei hanno fatto cose simili e altri dopo lo rifaranno, ma lei lo fa, semplicemente, a un altro livello.
L’ha sempre fatto, a dire il vero, ma di recente è davvero evidente il suo fare storia a sé, con l’uscita dei due album di remix del suo “Oil Of Every Pearl’s Un-Insides”, acquistabili solo sul suo store in edizione, appunto, limitatissima (e ormai ampiamente sold out) contenente i tre CD dell’album originale e dei due nuovi e una borsetta raffigurante la copertina dell’album stesso, alla modica cifra di duecentottantacinque dollari, e poi pubblicati su Youtube il giorno stesso in cui i fortunati acquirenti hanno ricevuto ciò che speravano di avere in esclusiva.
Noi comuni mortali che non abbiamo fatto a tempo a comprare la “borsetta edition”, quindi, possiamo farci un’idea di dove sia musicalmente, oggi, SOPHIE, o almeno, dove sia SOPHIE quanto a musica pubblicata ufficialmente: anche questa distinzione tra la musica di un’artista e la musica pubblicata ufficialmente dell’artista stesso non l’ha certo inventata lei, peraltro, ma nel suo caso la quantità di materiale che si tramanda oralmente, o su video registrati col cellulare durante i live e caricati su Youtube è almeno pari, se non superiore, a quello accessibile tramite canali ufficiali.
Dov’è, quindi, SOPHIE, oggi, in termini di musica pubblicata ufficialmente?
Come sempre, è in un sacco di posti diversi contemporaneamente.
Il primo dei due remix album, infatti, è molto simile a un live “da club”, e ricorda molto la performance a cui abbiamo avuto la fortuna di assistere, lo scorso ottobre, al Fabric: cassa in quattro, pochi fronzoli e nessun prigioniero, sì, ma con la solita sensazione di ascoltare suoni che arrivano da un “Whole New World”.
Anche nella qualità non proprio da audiofili di Youtube, infatti, tutti i suoni sono di una perfezione cristallina, cesellati maniacalmente come al solito e pieni di sottilissime differenze di cui ci si rende conto solo ascoltando attentamente e/o lasciandosi trasportare dalla musica (tenete a mente questa osservazione, ci torneremo più avanti), che per un album che, come abbiamo appena detto, si può anche ascoltare come un’ora scarsa di cassa dritta zarra il giusto, non è affatto banale.
La magia di SOPHIE, in fondo, è sempre stata proprio lì, nel coup de théâtre di presentare qualcosa di apparentemente familiare e rassicurante come può essere il pop più plasticoso, o la cassa dritta, o i suoni dell’album che già conosciamo, e poi di colpo sfilarti il tappeto sotto i piedi con un lampo, un flash, un suono che compare solo per una frazione di secondo e ti suggerisce, senza mostrartelo davvero totalmente, un intero universo oltre quello rassicurante in cui pensavi di essere, una sorta di mondo dietro lo specchio in cui lei ti aiuta a entrare distruggendo il tuo e ricostruendolo da zero.
Lo ribadiamo, niente di assolutamente mai visto (ma poi, esistono ancora le cose mai viste, nel 2019?): altri prima di lei hanno destrutturato il pop, altri prima di lei hanno costruito mondi interi in musica, eppure il modo in cui lo fa SOPHIE è diverso dagli altri.
Uno dei mille modi in cui quello che fa SOPHIE è diverso da quello che fanno gli altri è evidente nel secondo dei due album di remix, che sembra prendere le mosse più o meno da dove finisce il primo, al punto da far pensare all’ascoltatore – di nuovo, mai fidarsi di quello che ti fa pensare un’illusionista – che si andrà sulla stessa strada, che ci si trova in territorio familiare, e poi arriva la suite di quattro versioni diverse di “Infatuation”.
Intitolate con livelli crescenti di oscurità (“Sunlight Zone”, “Twilight Zone”, “Midnight Zone”, “The Abyss”, “The Trenches”), sono in realtà un viaggio che a ogni gradino scende un po’ più in profondità dentro l’ascoltatore stesso, partendo dai bleep vagamente IDM del primo dei quattro movimenti per poi andare dilatandosi sempre di più, spingendosi oltre la rarefazione estrema del vaporwave e dell’ambient (termine che la stessa SOPHIE odia, peraltro) à la Oneohtrix Point Never e poi, quando l’immersione è ormai totale, il buio è dappertutto e i suoni così lenti da sembrare versi di mostri marini giganteschi che vivono a chilometri di profondità, di nuovo – coup de theatre! – dei pad lunghissimi, subacquei ed eterei che suonano come un pianto che arriva dai luoghi più profondi dell’anima, non è dato sapere se di chi “parla” (SOPHIE stessa) o di chi ascolta.
Insomma, nei due album c’è, come sempre, un sacco di carne al fuoco, pane per i denti sia di chi vuole qualcosa di accessibile da ascoltare facendo altro che per i fan sfegatati che si divertono a dissezionare ogni traccia e a scoprire, come in una caccia al tesoro, gli elementi nascosti, anche questa pratica niente affatto nuova ma in cui SOPHIE eccelle.
Proprio con questi ultimi abbiamo avuto modo di assistere a un evento più unico che raro con SOPHIE protagonista, ma andiamo con ordine: sabato 10 agosto miss Xeon è tra gli headliner del Meltdown festival di Nile Rodgers (capite? una vecchia volpe come Nile Rodgers, che potrebbe fare sold out enormi solo chiamando i suoi amici di vecchia data, cura un festival e chiama SOPHIE), al quale presenta, ovviamente, uno show interamente nuovo, ricco di materiale inedito e che probabilmente non vedrà mai la luce, e il mercoledì successivo è ospite, alla Somerset House, di “Glory To Sound”, una serie di appuntamenti in cui l’ospite di turno porta le dieci tracce che lo hanno influenzato maggiormente e ne discute con Nabihah Iqbal, che si scoprirà poi essere la voce di “Lemonade”, in un ambiente che definire “familiare” è forse riduttivo, visto che seduta di fianco a chi scrive c’era la madre di SOPHIE stessa e poche file dietro un altissimo Danny L Harle.
Le dieci tracce in questione, che vedete riportate qui sopra, sarebbero una miniera d’oro e una fonte di riflessioni interminabili già di per sé, ma sono i pensieri che SOPHIE associa a ciascuna traccia, i motivi che l’hanno portata a sceglierla e gli aneddoti associati a valere il prezzo del biglietto.
La storia del piccolo SOPHIE che a dieci-undici anni vede per la prima volta “Firestarter” eseguita dal vivo, prima dell’uscita, e la trova particolarmente spaventosa perché completamente privo di contesto, non sa che quelli sul palco sono dei raver dell’Essex poco più grandi di lui e con gusti musicali molto simili, ma tutto quello di cui ha esperienza è l’impatto sonoro delle percussioni di Liam Howlett e quello visivo di Keith Flint è in realtà una riflessione interessantissima proprio su quanto sia importante e difficile per un musicista, nel 2019, cercare di mantenere le distanze da un pubblico che invece è sempre più vicino, e che a volte è anche bello che lo sia, ma che avvicinandosi rischia di spostare il focus da ciò che dovrebbe essere protagonista davvero, la musica.
Per SOPHIE è sempre e comunque la musica a dover essere protagonista, al punto che a domanda diretta “ti interesserebbe, un giorno, comporre colonne sonore per dei film?” risponde fermamente di no, che le colonne sonore sono un modo per relegare la musica a una posizione subordinata rispetto alle immagini e che quindi non le interessa, che al massimo riesce a concepire qualcosa con la relazione inversa, come dei video musicali in cui sono le immagini a fare da contorno alla musica e non viceversa.
Per SOPHIE, però, la musica è anche un’arte estremamente concreta, dato che spesso la descrive con aggettivi legati alla sfera tattile come “acquatico” o “metallico” e che davvero scolpisce i suoni come se fossero materiali, come quando racconta della volta che proprio con Nabihah Iqbal era su un’altalena arrugginita e, tornata a casa, ha passato una sera a studiare il funzionamento dell’altalena, della catena, dell’impatto della ruggine sul cigolio, per cercare di riprodurne esattamente il suono che poi, vari rimaneggiamenti dopo, è diventato “Faceshopping”, o come quando parla, con gli occhi a cuoricino, degli Autechre, che ha più volte dichiarato essere i propri artisti preferiti per il modo in cui fanno evolvere sottilmente ma continuamente, in maniera quasi subliminale, le proprie tracce – di nuovo, una cosa che non ha di certo inventato lei ma che anche lei sa fare alla perfezione e che è di fatto un po’ la sua cifra stilistica, come dicevamo in precedenza.
In definitiva, per SOPHIE la musica è il modo migliore, se non l’unico, di esprimere e trasmettere sentimenti, di star bene e far star bene (lei stessa ha detto, e ammettiamo di esserne stati sorpresi, di essere una grande appassionata di disco e di ammirare e invidiare tutti i produttori che sanno fare musica che trasmetta allegria), e noi non possiamo che esserne entusiasti.
Il fuorigioco esisteva prima di Sacchi, ma è il braccio alzato di Baresi quello che ci ricordiamo tutti; il possesso palla esisteva prima di Guardiola, ma gli scambi a velocità supersoniche tra Xavi, Iniesta e Messi sono quello che fa illuminare gli occhi di chi li ha visti, ad anni di distanza; il rigore con lo scavetto l’ha inventato Panenka, ma per tutti noi sarà sempre Totti che dice “mo je faccio er cucchiaio“.
L’identità sfumata, la musica accessibile solo in apparenza ma ricchissima di dettagli, la sintesi sonora come unica via e tantissime altre cose esistevano prima di SOPHIE, ma queste stesse cose, fatte come le fa lei, trasmettono emozioni molto più articolate, ed è per questo che ce ne ricorderemo per anni.