Ci piace pensarla come nuova linfa vitale, un’altra veste che si adatta all’artista nel momento del ciak, quello in cui la spia rossa si accende con il flusso continuo delle immagini. La forma del documentario é unica, uno strumento diretto che non concede alibi, una radiografia che indaga, approfondisce scovando nell’anima la parte più segreta spesso accantonata. “Off The Record” é nel suo momento culmine, si studiano gli ultimi dettagli con le riprese finali passate al setaccio in sala di montaggio. Non si parla certo di un occhio di bue piombato sulla testa di Laurent Garnier, la narrazione di un prestigioso artista come lui non è che un focus esclusivo su una scena senza confini geografici. C’è la parola di un grande visionario che ha abbattuto ogni forma di barriera generazionale, c’è l’umilità di chi ha capito il vero motore del clubbing. Ci sono al seguito testimonianze dirette di personaggi illustri, vedi Derrick May, spina dorsale del club da anni. C’è poi Gabin Rivoire dietro la macchina da presa che mai come questa volta pesa un macigno vista l’importanza e il seguito di una notizia che ormai balla da tempo.
Le biografie degli artisti che siano libri o documentari il più delle volte mostrano la vera essenza dell’uomo, con particolari e aneddoti che mai uscirebbero fuori. Hai avuto questa sensazione durante tutta la realizzazione del documentario?
Quando abbiamo cominciato a parlare di questo progetto con Laurent, una delle prime cose che mi ha detto è stata questa: “Se dobbiamo parlare per raccontare me, della mia vita, delle mie attività, questo non mi interessa proprio”. Come Laurent dice sempre, lui è un traghettatore. L’idea di questo film è quella di servirsi di lui come un filo conduttore per raccontare la storia dell’ultima rivoluzione musicale del ventesimo secolo. Infatti si entrerà un po’ nel suo intimo, si racconterà il suo percorso, ma soltanto per dire qualcosa di più ampio su questa corrente e sulla musica in generale.
Ci puoi dire in anteprima quando sarà disponibile e se una data di uscita prossima è stata già pianificata?
Non c’è ancora una data ufficiale di uscita, ma così a priori ci piacerebbe insieme a Julien Loefler di Featuristic Films, produttore del documentario, farlo uscire nella seconda metà del 2020.
C’è poi tutta una storia legata al crowdfunding, con 1€ infatti si contribuiva alla produzione del documentario e un party ad hoc è stato organizzato esclusivamente per i donatori. Ce lo confermi?
Avevamo molto voglia di includere la comunità di Laurent nella creazione di questo documentario. La campagna del crowdfunding è stata un super mezzo per cominciare a riunire delle persone attorno al film, ed é stato veramente alto il numero di co-finanziatori che ha partecipato nonché l’entusiasmo ritrovato in tutti i messaggi di sostegno che abbiamo ricevuto. Questo ci fa molto piacere e ci da ancora più voglia di impegnarci per realizzare il miglior film possible. Effettivamente una delle contropartite proposte è stata quella di partecipare a una delle tre serate esclusive: Parigi, Bruxelles e Manchester, tre città che hanno avuto una importanza enorme nella storia di Laurent e della techno. Considerando che si parla di musica, ci sembrava ovvio proporre questo e, in quanto regista, ciò mi permetterà di filmare le persone dal vivo. Ci piacerebbe che il maggior numero possible di fans potesse apparire nel film. Trovo che sia un mezzo figo per ringraziare la gente che ci sostiene. Stiamo anche creando un gruppo Facebook affinché possano seguire i retroscena di tutta la realizzazione del film, i dietro le quinte, le riprese, le scoperte esclusive di archivio, l’avanzamento del monitoraggio, farli votare sulla scelta delle visualizzazioni o altri fatti del genere. Insomma siamo pieni di idee nel condividere con loro lo sviluppo della creazione, naturalmente senza svelare troppo sul film.
Facendo un passo indietro analizzando per bene tutte le tappe che hanno composto il documentario, qual è stato l’input che ti ha lanciato nella realizzazione di questo immenso progetto?
Tutto è cominciato grazie al mio amico Arthur Durigon che mi chiama un giorno nel 2013 e mi dice: “Prendi la tua macchina da presa, organizzo un nuovo festival di musica nel sud (della Francia, ndr) con due tipi che ho incontrato, abbiamo bisogno di un teaser”. Si trattava del festival Yeah! a Lourmarin, e i due ragazzi erano Nicolas Galima e Laurent Garnier. A dire il vero a quell’epoca sapevo appena chi era Laurent Garnier e non sapevo assolutamente niente della techno. Le mie influenze erano i “White Album” dei Beatles, “Melody Nelson” dei Gainsbourg, “Atom Earth Mother” dei Pink Floyd e “Kid A” dei Radiohead. Lavorando insieme per il festival Yeah!, abbiamo imparato a conoscerci. Ho capito che aveva comunque parecchie storie appassionanti da raccontare. Mi parlò dei Kraftwerk, di Giorgio Moroder, di Detroit, della santissima trinità Derrick May, Juan Atkins e Kevin Saundersson, di Jeff Mills, di Mike Banks, degli Underground Resistance. Di Manchester, New Order, Tony Wilson, l’Hacienda, la Summer of Love. Mi raccontò la Parigi dei primi anni ’90, i raves a Mozinor, gli esordi dei Duft Punk e di come il Rex Club che aveva ospitato Prince e i Red Hot Chili Peppers, un giorno decise di cambiare la sua sonorità per diventare uno dei clubs più rinomati della scena techno. Ho capito che c’era un materiale incredibile per fare un film. Da parte mia, con il mio punto di vista completamente esterno a questo ambiente, fan del rock degli anni ’70 e di Georges Brassens, voglio raccontare come un figlio di giostraio è diventato “Cavaliere della legion d’onore” grazie alla sua passione per una musica che ha le sue radici tra Detroit e Chicago alla fine degli anni ’80.
Penso che il bello di poter intervistare Laurent Garnier risiede nel fatto che in un artista come lui ci sono tutte le sfaccettature della musica da club. Il French touch, mescolanze house e techno, new wave, synth pop. C’è un particolare aneddoto che ti ha fatto capire la sua vera grandezza, anche non necessariamente legato alla musica ?
Non mi piace troppo la definizione di genio, in quanto sottintende che si tratterebbe di un dono dal cielo. Mi piace molto ciò che diceva Jacques Brel: “Il talento è solo voglia di fare qualcosa. Tutto il resto é sudore, traspirazione, disciplina”. Laurent è un pò questo, il suo genio è la sua passione. Non ho mai visto un tipo amare tanto la musica. Se è bravo in quello che fa è perché lo adora e di conseguenza lavora tantissimo, sta sempre ad ascoltare musica, cerca di farlo il più possible per non perdere niente di quello che si fa; e una volta che gli piace un pezzo, lo ascolta e lo riascolta fino a che non lo conosce perfettamente quando lo vuole inserire in uno dei suoi sets, lo padroneggia completamente, ne fa quello che vuole. Inoltre è vero che ha questo modo particolare di trascinare le persone, penso sia un misto della sua grande esperienza e della sua grande sensibilità. Riesce a capire una folla e a trascinarla con lui. Jeff Mills parla di “psicologia del dancefloor”: e quando questo funziona, le persone se ne ricordano a lungo perché succede qualcosa di molto bello. È intimo e nello stesso tempo è una condivisione con parecchie altre migliaia di persone. Una delle volte in cui ho potuto constatare ciò è stato l’anno scorso: faceva il “closing” del Sonar, aveva mandato in estasi una folla di 18.000 persone. Doveva suonare dalle 3 alle 7, ma si dilungo’ fino alle 9/10 del mattino. Dopo questo si esce di scena, ci si ritrova a bere una birra con i volontari e gli organizzatori, dovevano essere all’incirca un centinaio: pensavo mi dicesse che era stanco morto e che rientrava in hotel, aveva mixato 6 o 7 ore davanti a una folla immensa. Niente affatto. Mi ha detto una cosa del genere: “Me ne serve di più” ed è scappato. Un minuto dopo ho sentito un remix dei Radiohead salire dalle casse e radunare tutti, era proprio quello che si voleva sentire in quel momento, Laurent stava dietro i piatti con un grande sorriso suonando in b2b con l’altro dj fino alle 14, non volevano più fermarsi. I ragazzi della sicurezza sono venuti a interrompere la musica, c’era l’insediamento del salone dell’auto o una cosa del genere che cominciava. Penso che si sarebbe potuto ballare tutto il pomeriggio.
Qualcosa con il trailer è stato già svelato, ci puoi dire quali artisti prenderanno parte al documentario e se ce n’è stato uno in particolare che ti sarebbe piaciuto intervistare e che purtroppo non è stato possible intercettare?
Al momento si può solo anticipare che ci saranno Jeff Mills, Derrick May, Carl cox, Lanny Dee, Seth Troxler. Così a priori posso dire che incontreremo anche Richie Hawtin. L’idea è di parlare con tanta gente. Persone esperte della techno certamente, certo, ma non solo: vorrei parlare di musica in maniera più ampia, quello che mi interessa è la nozione di corrente artistica, cercare di capire in che modo avvengono le rivoluzioni musicali e in che modo ogni 30 o 40 anni nuove musiche arrivano a sconvolgere tutto.
I viaggi credo siano sono stati parte fondamentale per la realizzazione del documentario, gigs da una parte all’altra del mondo sono all’ordine del giorno. Quali sono state le location in cui lo hai seguito? L’impatto sulla gente della sua musica cambia se si è a New York piuttosto che Parigi o Roma?
Ho avuto molta fortuna: ho potuto seguirlo a Tokyo, Osaka, Hong Kong, NYC, Detroit, Manchester, Londra, Barcellona, Mannheim, al Dour festival in Belgio e ovviamente un pò ovunque in Francia. Bisogna ancora andare a Bruxelles e a Berlino, mi piacerebbe seguirlo un giorno in America del Sud o in Africa. Se tutti i pubblici sono diversi, è divertente vedere le piccolo differenze, è comunque lo stesso genere di pubblico che ama la stessa musica con delle piccole sfumature. In Giappone per esempio il pubblico è molto all’avanguardia, anche in tutti i piccoli clubs i sound system sono estremamente di qualità, questo implica un pubblico veramente incline al suono – infatti da quelle parti ascoltano di più e non gridano molto. La sottocultura di Manchester invece è tutta un’altra cosa quella diciamo più incline alle birre ed all’uso di droghe.
Dopo tutta questa sana adrenalina che ti ha portato a gestire un progetto cosi ampio e dettagliato immagino si siano triplicate le forze e soprattutto la voglia di gettarsi a capo fitto su una nuova idea, hai già in mente qualcos’altro al momento?
Ho molte altre idee in un angolo della mia testa, ma ora sono veramente troppo concentrato su “Off The Record”, ho ancora molto da fare.
Ci lasciamo con un back 2 back: noi proponiamo questa traccia che faccia da emblema della musica di Laurent Garnier, a te la risposta.
Suonerei sicuramente un classico di Detroit genere “Strings Of Life”, farebbe molto piacere a Laurent.
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ENGLISH VERSION
We like to think about it as bringing in some fresh blood, yet another guise that fits the artist when the clapperboard snaps, the red light goes on, and the flow of images starts. The documentary is a unique medium, it doesn’t admit any wrongdoing, it is like an investigative X-ray that can uncover the most private, unseen aspects of the soul. Off the record is practically complete, the final details are being fine-tuned, the last shots are carefully passed through the sieve. Laurent is not in the spotlight of the film. On the contrary, the essence of this renowned artist’s life is captured through an exclusive focus on a music scene that has no geographical borders. “Off The Record” echoes the word of this great visionary – a man who has broken down all kinds of generational barriers; one who has understood the real driving force behind clubbing. It reels off illustrious testimonies of personalities such as Derrick May, who, for already some decades now, is the true backbone of the club scene. Finally, there is Gabin Rivoire, carrying the heaviest camera to channel the magic of this never-ending dance news.
Most of the times an artist’s biography – whether it would be a book or a documentary – aims to show the true nature of a person with its own anecdotes and peculiarities which would not come to the day light otherwise. Did you also have this feeling while making this documentary?
When we started talking about this project with Laurent, one of the first things he told me was, “if it’s talking about me for the sake of talking about me, my life and my work, I’m not interested!” As Laurent likes to say he is a smuggler. The idea behind this movie is to use him as a common thread to tell the story of the last musical revolution of the 20th century. We uncover his private narrative and his musical path but only to discover something more about this wave and the music in general.
Could you already give us a hint when it will be released? Is there already a set date?
We do not have a release date yet, but in principle, me and Julien Loeffler of Featuristic Films, who’s the producer of the documentary, would like to release it in the second half of 2020.
Could you tell me more about all this story with the crowdfunding? As we know one can contribute to the realization of the documentary with as little as one euro. There are rumors going around that an ad hoc party will be organized exclusively for the pledgers, is that right?
Yes, we really wanted to involve Laurent’s fan base into the creation process of this documentary. The crowdfunding campaign has been an incredible way to gather people around the project. We were really taken aback by the number of people who have participated and by all the enthusiasm from the support messages which we received. That means a lot to us and it gives us a push to sweat blood to make the best possible movie. Indeed, one of the proposed rewards for the fans is to participate in one of the three exclusive parties: Paris, Brussels, Manchester, three cities that have had a huge importance in the life of Laurent and the history of techno. Since we are talking about music, this all seemed obvious and, being the director, i will be able to take some nice shots of people dancing. We would love as many fans as possible to be featured in the film. I think it’s a cool way to thank the people who have supported us. We are also creating a Facebook group so that they can follow the entire “behind the scenes” of the production: the OFF, the filming, the discovery of exclusive archives and all the editing work. This way, we could make them vote on some visual choices and so on, we are full of ideas, we want to share with them the creative process without of course revealing too much on the movie.
If you would take a step back and had to consider all the stages in the making of this documentary, what were the main triggers which prompted you to take up this ambitious project?
It all started thanks to my friend Arthur Durigon who called me one day in 2013 saying: “take your camera, I’m organizing a new music festival in the south of France with 2 guys whom I just met. We need a teaser”. It was Yeah! festival in Lourmarin and the two guys were Nicolas Galina and Laurent Garnier. To be honest, back then i barely knew who Laurent Garnier was and i knew even less about techno. My references were the Beatles’ “White Album”, Gainsbourg’s “Melody Nelson”, Pink Floyd’s “Atom Earth Mother”, “Kid A” by Radiohead. By working together on the Yeah! festival, we got to know each other better. I realized that he had a lot of exciting stories to tell. Laurent would speak about Kraftwerk, Giorgio Moroder, Detroit, the holy trinity Derrick May, Juan Atkins and Kevin Saunderson, Jeff Mills, Mike Banks and Underground Resistance. Also about Manchester, New Order, Tony Wilson, the Hacienda, the Summer Of Love. He would tell me the Paris of the early 90s, the raves in Mozinor, the beginnings of Daft Punk and how Rexclub, which had hosted Prince and the Red Hot Chili Peppers, had one day decided to change the sound in order to become one of most mythical clubs of the techno scene. I understood that there was some incredible material to make a movie. Me, being a stranger to all of this, a fan of rock of the 70s and Georges Brassens i wanted to tell how a guy, son of a carny, became “Chevalier de la légion d’honneur” thanks to his passion for music that came from Detroit and Chicago in the late 80s.
I guess the most exciting thing about interviewing Laurent Garnier is that he embodies all the elements of the club music, such as the French touch, the synthesis between house and techno, new wave and synth pop. Was there any particular moment when you have realized his true genius? Can you recall any such stories not necessarily related to music?
To be honest, I don’t really like the notion of genius since it implies that it’s a gift from heaven. To quote Jacques Brel “talent does not exist, talent is an eagerness to do something and the rest is sweat”. Laurent is a bit like that, his genius is in his passion. I’ve never seen anybody to love music this much. He is so good at what he does because he works hard and loves his job. He listens to music all the time. He tries to cover as much as possible so he does not miss out on anything new what comes out. If there is a track that he likes, he would play it over and over again until he knows it so well that when he includes it into a set, he really nails it. That said, he really has an ability to move people, i think it’s a mix of a lot of experience and great sensitivity. He manages to understand the crowd and it just gets carried away by his music. Jeff Mills calls it “Dancefloor Psychology”. When something really great happens, people remember it for a long time. It is an intimate moment and at the same time a communion like an experience with up to several thousands of people! Last time i saw this happen was when he was closing Sonar Festival and made 18000 people go completely nuts. Laurent was supposed to play from 3 to 7 but ended up playing until 9 or 10. After leaving the stage, we were having a beer in the festival afterparty with all the volunteers and organisers. There must have been a hundred people. I thought Laurent was going to tell me he was dead and that he was going back to the hotel. After all, he had just mixed for 6 or 7 hours in front of a huge crowd. But not at all. He told me “I need more of this” and just went away. The last thing i know there was a big remix of Radiohead playing from the speakers. It got everyone going again, as it was exactly what we all wanted to hear at that moment. Obviously, Laurent was behind the turntables with a big smile. He played back to back with the other DJ until 14h. They didn’t want to stop. However, the thing got interrupted by the security guys of the exhibition centre since they had to set up an installation for the automobile show or something that was about to start. I think we could have been dancing for the whole afternoon.
The trailer has already revealed to us some details about the documentary. Could you tell us which artists will feature in the film and whether there was anybody in particular whom you wanted to interview but didn’t get a chance?
For now, we can just tell you that there will be Jeff Mills, Derrick May, Carl Cox, Lenny Dee and Seth Troxler. In principle, we should meet Richie Hawtin very soon. The rest I can’t say at the moment. We are only at the beginning of the interviews and the idea is to talk to many people. Techno people of course, but not only. More broadly, i would like to talk about music. What interests me is the notion of “artistic movement”, trying to understand how musical revolutions take place and how all 30 or 40 years of new music come to overturn everything.
Travelling has been a fundamental part for the realization of this documentary. Gigs around the world make part of a daily routine. What are the places and destinations to which you followed the artist? More importantly, have you noticed any impact or effect of the location on his music? Do people receive his music differently in various places of the world? Do they react anyhow differently lets say in New York when comparing to Paris or Rome?
I was very lucky to follow him to Tokyo, Osaka, Hong Kong, NYC, Detroit, Manchester, London, Barcelona, Mannheim, Dour festival (in Belgium) and obviously all over in France. We still need to go to Brussels and Berlin, one day i would love to follow him to South America or Africa. Yes, all audiences are different. It’s fun to see the small differences. It’s the same kind of audience who loves the same music but there are small nuances. In Japan, for example, the public is very sharp, even in the smallest clubs, the sound systems are of extreme quality. All of this gives back an audience that is really focused on the sound, they listen without shouting that much.The gabbers of Manchester are fucked up with beers, saying around they took something else 🙂
After all the healthy adrenaline rush given by completing such an ambitions and grand project, I bet you must feel impatient to take up something new. Do you already have anything in mind?
I have several other ideas in a corner of my head but here i am really focusing on “Off The Record”, i still have a lot to do.
Let’s conclude with a back to back, I would suggest this track emblematic of Lauren’s music. What would you play next? Thank you for you time and all the best for your future endavours!
I would definitely play a Detroit classic like Derrick May’s “Strings Of The Strings Of Life”. Laurent would be pleased.