Ora, lasciate per favore stare le polemiche su Sala sì Sala no, Sala schifo Sala Expo, Sala non si ferma Sala calzini arcobaleno; e altrettanto, non iniziate a venirvene fuori coi vostri giudizi su Ilario Alicante, su quanto rappresenti la “vera” club culture o meno. Perché non è questo il punto. Non ora.
C’è ancora un pesante gap da colmare, ed è venuto fuori ora in questi tempi di crisi e lockdown in tutta la sua crudezza. Ne abbiamo già parlato tanto (qui e qui, ad esempio) e a occhio tanto ne riparleremo, perché non è certo una questione che si risolverà in poco tempo. Ovvero: il modo in cui tutto ciò che è “ballo” è percepito in Italia. In una nazione che troppo spesso ha media e classe politica che invece di portare verso l’alto e verso l’innovazione l’opinione pubblica ne insegue gli istinti più bassi o comunque più consunti e sclerotizzati, siamo ancora fermi a una visione del mondo del “ballo” e delle “discoteche” che lascia completamente fuori dal quadro gli aspetti (potenzialmente) più interessanti e significativi.
Non c’è nulla di a male ad “andare in discoteca”, a divertirsi con le cover band o con le band con un repertorio che pare selezionato da Umberto Smaila in botta, non c’è nemmeno nulla di male ad andare a ballare più per guardare il culo delle cubiste che altro, non c’è nemmeno nulla di male ad andarci per far baldoria e quattro risate in compagnia sentendo la solita musica di successo che puoi sentire ovunque; non c’è nulla di male, se a uno va bene così. Ma per fortuna può esserci anche altro. E questo “altro” ha catturato l’attenzione, l’immaginario, l’investimento emotivo e anche – massì – il portafogli di un corpo sociale abituato a viaggiare, voglioso di sentirsi parte di un network europeo (e non da strapaese), capace di leggere le forme più avanzate della cultura pop e nei casi migliori anche di specifiche nicchie progressiste ed avanguardistiche.
Ai tempi belli, quando tutto andava più o meno bene, ce lo potevamo permettere di non ragionare in prospettiva. Ora, sinceramente, no
Attenzione: non stiamo dicendo che chi ascolta e balla house&techno sia esclusivamente uno stuolo di cosmpoliti intellettualini, anche perché fosse così ci sarebbe una terrificante “gentrificazione dei dancefloor” che renderebbe tutto una vera merda, una sbobba bellina, pulitina ed insapore. Esattamente come nella sfera hip hop, anche nel campo della club culture ciò che conta e cattura è anche il lato meno bello, meno presentabile, più discutibile, più sordido, più “animale”. Bisogna prendere questo, e anche quello che dicevamo prima, e mescolarlo: ciò che viene fuori è comunque vivo, pulsante, attuale. E fa, ancora oggi, alla faccia della più o meno conclamata crisi del clubbing e delle discoteche, dei numeri notevoli, numeri che le foraggiatissime, preziosissime ed appoggiatissime fondazioni dei teatri d’opera si svenerebbero per avere. Soprattutto, va a colpire un target politico e sociale dinamico. Brutto, bello, intelligente, vacuo, quello che volete: ma comunque dinamico. E nei tempi da Coronavirus, il cielo e l’economia sanno quanto avremo bisogno dell’aiuto e dell’appoggio di (e su) tutto ciò che è “dinamico”.
Questo lo diciamo alle istituzioni per prime. Sì, quelle che per lo più non hanno ancora capito e non hanno la più pallida idea di cosa sia “club culture”, che al massimo si sentono con la coscienza a posto se spendono due paroline per le “discoteche” (sapendo peraltro che non esistono le risorse per mantenerle al 100% a fondo perduto fino a quando si riaprirà, anche perché di sicuro loro saranno fisiologicamente le ultimissime in fila tra le attività che saranno riaperte) e che fanno fatica, anzi, proprio non si sforzano di provare a distinguere fra le realtà più virtuose ed innovative e quelle che invece vivacchiano di glorie passate ed abitudini di entertainment sempre più di retroguardia.
Ci sono misure sacrosante da adottare (il problema dell’IVA, l’assurdita dell’ISI, la cieca idiozia del TULPS: qui si può e deve agire, e non è questione di contributi a fondo perduto… ci torneremo), e sono da adottare per tutti, belli e brutti. Ma ora più che mai, ora che la coperta sarà corta per tutti in qualsiasi settore (ripetete con noi: in-qualsiasi-settore), è necessario saper individuare le realtà più sane ed interessanti a cui saper guardare con più attenzione, quelle cioè che operano meglio nel mercato senza perdere di vista l’”edge” del contenuto. E’ vitale.
(E all’improvviso, ti ritrovi il sindaco di Milano che cita Ilario Alicante; continua sotto)
Quindi ecco, al di là della vostra opinione su Beppe Sala ed Ilario Alicante, è significativo che il sindaco della seconda città d’Italia citi in un suo post un dj che non è noto per un cazzo alla casalinga di Voghera, che non è Claudio Coccoluto (sia benedetto, Claudio: grande artista, persona di grandissima intelligenza quando si esprime, ma troppo spesso usato come foglia di fico non certo per colpa sua, “Ecco, l’abbiamo fatto parlare, l’abbiamo citato, ora col mondo delle discoteche siamo a posto”), che fa comunque parte di quella nuova covata di artisti che quando De Michelis ancheggiava manco era nata o giù di lì. Alicante può piacere o meno, ma quando si esibisce è uno di quei nomi che raduna ventenni a migliaia ed è insomma un attore significativo nello scacchiere dell’industria culturale attuale, pur non essendo mai stato “illuminato” da Sanremo o da Barbara D’Urso.
E’ questo uno dei canali su cui lavorare: superare il gap tra il “nostro” mondo e le istituzioni (che a loro volta guardano solo a realtà e visioni vecchie, così consolidate da essere sempre più tossicchianti e stantie). Creare un dialogo, un’interazione, un reciproco confronto. Giocare tutti assieme al tavolo degli adulti, senza per questo imbruttirsi o rintanarsi in eterni cliché. Il gap di cui parliamo si è creato negli anni per colpa di tutti, attenzione, mica solo di pochi: si è creato per colpa di chi parlando con le istituzioni ancora porta avanti modelli vecchi e superati (magari per leciti interessi di categoria) accontentandosi del ruolo gregario di mero intrattenimento senza pretese; si è creato per colpa di una “nuova” generazione legata al clubbing vanesia, solipsistica, individualista e piena dell’ego di chi si è “fatto da solo”; si è creato per colpa di un’utenza e di una fandom che ama vedere nel clubbing una “eterna adolescenza” da weekend in cui sballarsi e non un fenomeno serio ed importante che rende le nostre vite più belle ed interessanti.
Sala che cita Alicante è un primo passo. Non capirlo sarebbe stupido. Stare lì a contestare Sala (perché “Milano non si ferma”) o contestare Alicante (perché suona musica di merda per gente di merda, mica come gli Autechre) sarebbe l’ennesima mossa di autocompiaciuta mancanza di visione, di impossibilità ed incapacità di ragionare in prospettiva.
Ai tempi belli, quando tutto andava più o meno bene, ce lo potevamo permettere di non ragionare in prospettiva. Ora, sinceramente, no.
Anche perché – senza voler fare i menagramo – la realtà è che il peggio deve ancora venire. Perché ad un certo punto riapriremo, i club riapriranno: ma lo faranno in una nazione più povera, con più disoccupazione, con meno soldi da spendere, con probabilmente anche varie difficoltà e complicazioni logistiche. Dovremo lavorare duro. Dovremo essere intelligenti. Dovremo saperci adattare. Dovremo saper innovare.
E dovremo farlo tutti. Interfacciandoci sempre di più, e sempre meglio, con le istituzioni. Ovvero, facendolo in un modo diverso da come è stato per lo più fatto finora. Tra chi si è nascosto e nasconde all’ombra del michelisismo, e chi invece fa ancora il pirata selvaggio che ha scoperto la vena aurea imitando, però alla selvaggia e all’amatriciana, Ibiza, Londra, Berlino.
ps. Se volete capire che diavolo è ‘sta roba di Alicante all’Albero della Vita di cui Sala parla e che si svolge il 3 maggio alle 19:30 italiane, trovate tutte le info qui