Se c’è una cosa che in Italia è spesso mancata e, purtroppo, forse continua a mancare (anche se i tempi suggerirebbero ben altro…) è la capacità di unirsi, di “fare gruppo”. Su questo Germania e Francia, per non parlare della Gran Bretagna, dell’Olanda o dei Paesi Scandinavi (ma forse volendo anche della Spagna…) hanno molto da insegnarci. Poi chiaro, non è che ognuno vada per conto suo, ci sono molte ramificazioni e molti network “amicali” fra artisti, ma dei risultati concreti in cui si uniscono le forze e ci si presenta in modo massiccio rivendicando un’appartenenza attitudinale collettiva (con una raccolta, un festival, qualcos’altro ancora…) sono sempre stati rari. Ecco, speriamo in una inversione di tendenza. Che, in realtà, stiamo già intravedendo. I tempi difficili del lockdown e delle Fasi 1, 2 e millemila forse possono aver fatto da acceleratore, mai come in queste settimane sono nati vari sforzi collaborativi. Alcuni di facciata, alcuni temporanei, alcuni velleitari, ma altri belli concreti: poche parole, tanti fatti. Soprattutto andando più verso il basso, verso il “sottosuolo”, verso quell’underground che magari sogna in qualche caso di diventare mainstream ma che in altri sente, sinceramente, un senso d’appartenenza. E’ con grande piacere che vi parliamo di “Manifèsto 2020”, giga-compilation messa su dal collettivo Intersezioni. Qui sotto subito il player, così potete sentire-per-credere (e giudicare) e ricordandovi sempre di dare un occhio alla pagina Bandcamp dell’operazione, ma oltre alla musica abbiamo voluto farci qualche chiacchiera co chi ha promosso l’iniziativa. Il quadra che ne viene fuori è interessante. Ascoltando il risultato sonoro, lo è ancora di più: un affresco su come pulsa il digitale più sotterraneo in Italia oggi, ora.
Come è nata questa operazione? Quali sono state le prime realtà a muoversi nel dare vita al progetto?
La scelta di fare una compilation nasce da molteplici motivi: prima di tutto dal fatto che, dopo cinque anni di musica ed eventi, è nostro volere valorizzare e concretizzare tutte le connessioni ed amicizie nate e sviluppate nel corso del tempo. Creare la possibilità di unire differenti realtà italiane/dj/produttori all’interno della stessa uscita, ci sembra il modo migliore per onorare tutte queste “intersezioni”. Un altro aspetto, più “contemporaneo” sicuramente e legato ai tempi difficili che stiamo vivendo, è il tentativo di “manifestare” – da cui il nome della compilation – che una realtà solida, valida e numerosa di ragazzi sparsi per tutta la Penisola legati all’ambiente della musica elettronica esiste, e per questo deve essere riconosciuta e salvaguardata.
In cosa è particolare, “Intersezioni”? Esiste un filo conduttore stilistico o anche solo attitudinale?
La particolarità di questa compilation è che non ha come obiettivo il riunire un genere musicale o un particolare stile in una lista sequenziale di brani, ma vuole proporre un’unione di menti: unione dove il flusso non viene dettato da regole rigide ma dalla connessione di un brano con quelli che lo precedono e lo succedono nella compilation, come se fosse “…un possibile set di un possibile dj in un possibile club“, cercando di valorizzare al meglio ogni traccia della compilation.
Secondo voi, in che stato è la scena elettronica italiana meno mainstream? Chiaramente non parlo di ora, che tutto è fermo, ma di cosa stava accadendo nel periodo prima dell’avvento della pandemia.
Le “sottoculture” italiane legate alla musica elettronica sono, a nostro parere, giunta ad un livello assai alto e competitivo con la scena internazionale. Solo a Milano, negli ultimi anni, sono nate tantissime realtà di artisti ed etichette indipendenti, tutte con contenuti validi e di spessore, ma lo stesso anche in molte altre città italiane come Torino, Roma, Genova e Napoli, per citarne alcune. Il grande problema è che non esistono delle entità che vadano a supportare o tutelare questa scena, come succede invece in altri stati; le strutture che dovrebbero supportare nuovi artisti emergenti come distributori ed agenzie nel nostro paese esistono sono per la musica “mainstream” e per le grandi etichette, mentre nulla viene fatto per la scena indipendente. In questo modo tutti sono costretti così a rivolgersi sempre all’estero (anche noi siamo distribuiti da Rabadub, distributore di Glasgow), senza riuscire a creare uno sviluppo competitivo della scena italiana. Col risultato che la maggior parte degli artisti tende a migrare verso altre realtà, portando così sempre avanti questo processo di frammentazione, peggiorandolo sempre più.
Quali sono le realtà estere che più vi interessano, affascinano, ispirano?
In realtà non abbiamo mai avuto un modello o degli idoli; ci affascinano tutte le realtà che come noi tentano di portare qualcosa di puro e sincero, al di fuori dei sistemi tradizionali, e con cui non vediamo l’ora magari di poterci confrontare un giorno ed intersecarci. Per citare alcune realtà sicuramente l’etichetta DjaxUp Beats capitanata da Miss Djax, o il movimento di pace e fratellanza internazionale promosso da Dr. Motte.
Esiste oggi un particolare “tocco italiano” nell’elettronica o la musica ha ormai abbattuto i confini?
Sicuramente al giorno d’oggi la parola d’ordine, volenti o nolenti, è globalizzazione, e ciò è avvenuto anche nella musica. La possibilità di poter connettersi con qualsiasi angolo del mondo in qualsiasi momento e di poter ascoltare musica prodotta in chissà quale remoto paese con un semplice click ha portato ad un grande mix di influenze che, nella musica elettronica, ha trovato il più ampio sfogo. Ad oggi parlare di uno stile italiano crediamo sia difficile; questa “particolarità italiana” può essere vista più come un possibile modo di approcciare la musica in ognuno di noi, seguendo ognuno il proprio istinto e gusto, sicuramente influenzato da musiche provenienti potenzialmente da ovunque.