“La struttura alare del calabrone non è adatta al volo, ma lui non lo sa e vola lo stesso”: questa frase, attribuita (erroneamente?) ad Albert Einstein, insegna come la razionalità non riesce sempre a spiegare tutto, e come la realtà non sia solo riducibile a dei calcoli ma è qualcosa di più complesso, che segue regole e leggi a volte inspiegabili. La stessa lezione l’ha dovuta imparare Sheldon Cooper – il celebre personaggio di The Big Bang Theory, interpretato da Jim Parsons – che per tutta la sua vita ha cercato di descrivere le leggi dell’universo tramite le sue equazioni, senza riuscirci; capendo, solo alla fine della serie, che la realtà che cercava di descrivere non è ideale e quindi perfetta, ma imprecisa e anomala. E che di questa asimmetria avrebbe dovuto tenere conto, per rispondere alle domande che si poneva. Questa lunga premessa serve per introdurre un rapper che, a livello teorico, non potrebbe volare ma non lo sa quindi vola lo stesso: Future.
Nayvadius D. Wilburn, conosciuto più semplicemente come Future, è uno dei rapper più importanti dell’ultimo decennio, uno dei pilastri su cui si basa il rap e la trap contemporanea, e uno il cui fondamentale apporto è stato quello di codificare, per come ora è conosciuto, il mumble rap. Il mumble rap non è un sottogenere – come il drill o la trap – ma uno stile, che si configura nella capacità da parte del suo autore di rendere il linguaggio ostico, masticato, difficile all’ascolto, perché intenzionalmente sporcato e quasi bofonchiato. Questo meccanismo è particolarmente possibile in inglese (anche se Tha Supreme ha dimostrato di poter ottenere risultati simili e credibili pure in Italiano), dove le rime non sono il solo strumento a disposizione dell’artista per rendere musicale la lingua, ma assonanze e consonanze risultano altrettanto efficaci, se non migliori – basta guardare questo video su Eminem per rendersene conto.
Future ha sfruttato (forse anche inconsapevolmente) questa peculiarità linguistica, per dare una nuova pasta al suo rap e alla sua voce in generale, facendoli diventare uno strumento a se stante, con il quale giocare come fosse un jazzista, lavorando su scale e tonalità impazzite, annaffiate dall’uso dell’auto tune – che riesce a conferire al tutto un effetto ipnotico. Per questo viene anche spesso paragonato al suo fratello artistico: Young Thug. Entrambi sono figli d’arte di Lil Wayne e di quel modo di approcciarsi al rap, modo che hanno assimilato e traghettato negli anni ‘10, portandolo al limite, ciascuno con le proprie caratteristiche e peculiarità.
Infatti, bisogna anche dire che, pur avendo numerosi punti di contatto, nel tempo le differenze tra i due sono emerse in modo sempre più evidente. Prima di tutto in termini di vendite: Young Thug infatti non ha avuto un importante riscontro commerciale, almeno fino al suo ultimo disco (uscito lo scorso anno). Ma soprattutto, la differenza è rimasta in termini di identità musicale e influenza generazionale, lì dove Thugga è diventato il padre di tutti i giovanissimi che ora si affacciano alla scena rap statunitense, per stile, cadenza del rap, modo di vestire, eccetera. Future invece è rimasto un caso isolato, e inimitabile, perché nessuno come lui è riuscito a mischiare in modo così profondo gli stereotipi del rap (e della sua derivazione più recente: la trap), con un racconto dei propri lati oscuri dal sapore quasi blues.
Nessuno come lui è riuscito a mischiare in modo così profondo gli stereotipi del rap (e della sua derivazione più recente: la trap), con un racconto dei propri lati oscuri dal sapore quasi blues.
Come si diceva prima, Future non potrebbe volare: questo perché il suo rap si basa una singola idea buona che ha continuamente riciclato nel tempo – quella del mumble rap per l’appunto. All’interno dei suoi numerosi progetti (viaggia ad una media di due lavori all’anno), infatti, parla sempre degli stessi argomenti, con lo stesso stile, la stessa impostazione e la stessa prospettiva. Andando a ritroso nella sua discografia, non c’è alcun tipo di cambiamento radicale, e neanche un tentativo di modifica; al massimo c’è più mestiere, ci sono lavori più o meno a fuoco, ma il succo rimane sempre quello. Sempre.
Anche quando è evidente che potrebbe dare di più, per spingersi oltre il seminato (il suo rap flirta molto con l’rnb per esempio), non si smuove di un centimetro, continuando a fare quello che conosce nel modo che sa. È così attaccato ai suoi punti di forza, da sembrare quasi monolitico, immobile. Ma, come si diceva prima, Future questi problemi non se li pone, quindi vola lo stesso. E qui sta l’unicità del rapper di Atlanta, perché di norma i rapper o in generale gli artisti di questo tipo hanno carriere brevi, o comunque hanno alti e bassi molto forti che comunque li portano ad un lento ma inesorabile declino, fino a scomparire. Tranne lui. Lui è appena uscito con un nuovo disco “High Off Life” che è stato certificato oro grazie ai soli pre order ( in America disco d’oro sono 500 mila copie vendute, in Italia, tanto per fare un paragone, sono 25 mila copie). Non solo: lui ha sfornato con Drake quella che ad oggi è la hit rap dell’anno, “Life is Good” (certificata 4 volte platino); lui fa concerti in tutto il mondo; lui è il rapper preferito di Simon Reynolds.
Simon Reynolds? Per alcuni il nome di Simon Reynolds magari può non voler dire molto, ma è semplicemente uno dei critici musicali più importanti del mondo, uno che da scrittore ha pubblicato testi fondamentali come “Retromania”: il primo libro ad analizzare la tendenza alla nostalgia presente nella musica contemporanea. In un’intervista rilasciata per il quotidiano italiano Repubblica, ha dichiarato come il suo rapper preferito al momento sia proprio Future. Prendo da quell’intervista: “Per quanto riguarda Future, come persona probabilmente non è un gran modello ma mi piace il suo stile, il modo in cui dice le cose, il ritmo, il flow, i giochi di parole” e continua successivamente “Alcuni dei testi con cui Future se ne viene fuori sono assolutamente folli. Il più delle volte sembra essere in uno stato di semi coscienza e crea un linguaggio free-form molto fratturato, esprimendo concetti veramente bizzarri. E poi amo il modo in cui canta”.
Ecco perché le storie che riguardano Future sono così interessanti: perché un rapper che nella scena contemporanea non ha simili. È una trap star in linea con il gusto discografico attuale? Assolutamente sì, ma lo è diversamente da tutte le altre, così diverso da essere riconosciuto da uno dei critici musicali più importanti del mondo – uno che in teoria non dovrebbe fare sconti alla “dozzinalità” della trap. Perché continua ad avere questo successo, Future? Perché non invecchia male? Perché tutti attendono ogni sua nuova uscita? La risposta, forse, sta nelle sue contraddizioni.
Come si diceva, è di questi giorni l’uscita del suo ultimo lavoro “High Off Life”(già in testa alla classifica Billboard US), uno dei più a fuoco degli ultimi anni. Ed è sorprendente/disarmante notare come davvero nella sua discografia sia rimasto sempre fedele alla linea. Nessun suo ascoltatore si aspetta da lui il disco perfetto alla Kendrick Lamar. Tutti i suoi album dal primo all’ultimo hanno gli stessi difetti, e gli stessi pregi: sono troppo lunghi; ci sono dei pezzi filler; alcune produzioni sono troppo simili tra di loro, e dei flow che diventano ripetitivi. Ma, altra faccia della medaglia, hanno dentro banger incredibili, pezzi trap dal sapore soul, produzioni accurate, e flow che solo lui potrebbe fare.
“High Off Life” non fa eccezione. Ventuno tracce sono un’esagerazione per i tipi di dischi che fa Future – ma anche in generale, considerando che un disco rap attuale è sui 10 pezzi – e difatti ci sono almeno cinque brani che sono dimenticabilissimi: “Tycoon”, “HiTek Tek”, “Trillionaire”, “Life is Good rmx” e “Too Confortable”. Ma va bene così, perché anche in questo si vede l’approccio strafottente di un autore che va quasi contro i propri interessi, e che fa quello che gli piace, come gli piace.
(eccolo, “High Off Life”; continua sotto)
Future è un rapper che entra sotto pelle, che si insinua nella testa di chi lo ascolta in modo viscerale e quasi irrazionale. E’ un artista capace di passare nel giro di poche barre dall’esaltazione per il suo stile di vita sfarzoso e opulento, alla depressione più profonda perché il medesimo stile di vita lo porta a ripensare a tutti gli amici che si è lasciato alle spalle, o all’abuso di droga, o alle storie d’amore finite male. Tutto questo senza alcuna discontinuità, come se fossero la medesima cosa. Come se il successo e il baratro emotivo fossero due lati della stessa medaglia. Ciò lo rende tremendamente umano e credibile alle orecchie dell’ascoltatore, che riesce a vivere i suoi drammi, la sua felicità e le sue incoerenze. Non ne è spaventato. Ne è rassicurato. Le abbraccia.
Future è ancora lì perché rappresenta gli estremi di cui si nutre l’essere umano. E’ un modello aspirazionale per molti, ma è anche un ex spacciatore e un tossico incallito; oppure, è il rappresentante di quella che oggi viene definita come mascolinità tossica ma ha un lato sensibile così evidente che gli permette di essere presente in “Magdalene” di FKA TWings come unico featuring (un disco che parla di empowering al femminile). E tutto questo c’è in ogni barra del suo rap, un rap che diventa lo specchio di un’esistenza travagliata, come se camminasse su un filo sottilissimo.