Doveva accadere, eh sì, era solo questione di tempo probabilmente; eppure, un po’ di impressione tutto questo la fa. La progressiva “digitalizzazione” del ruolo dj avanza a passi sicuri, abbatte ostacoli e vecchi bastioni. Chiaro: c’è la riserva indiana dei “solo vinile”, ma quella sempre più sta diventando una categoria a parte (di eccentrici o di “ultimi samurai”, scegliete voi). Il dato di fatto è che Pioneer Dj, che col CDJ-100S nel 1998 è riuscita (un po’ anche senza aspettarselo, almeno non in questa misura, all’epoca) a catapultare in console chi non aveva o voleva portarsi dietro vinili implementando il “coup de theatre” del 1995 col DJM-500, poi nel 2003 ha settato lo standard con la versione MK2 del 1000 e ora in questi anni con la serie NXS dei 2000 è considerata immancabile ed imprescindibile un po’ dappertutto (a partire dai rider degli artisti, da quelli bravi&importanti a quelli che si credono bravi&importanti), ecco, ora Pioneer Dj ha tirato una riga. Importante. Una cesura piuttosto forte. Ciao, drive del cd. Addio fessura dove infilare quel cerchietto di plastica.
In fondo, peraltro, si tratta(va) solo di ufficializzare una tendenza già chiara. Il drive cd dentro il CDJ era solo un “feticcio” simbolico, un rimando alle radici del progetto; ad usarlo erano in pochi, erano i non-dj che manco si danno la briga di creare librerie digitali nell’hard disk perché sanno che manco ci provano a fare finta di esser dj (tipo, chi vi scrive), o qualche matto. Pioneer Dj si è evidentemente concentrata sull’uso e le necessità reali dei professionisti veri o aspiranti tali, per (provare a) creare un nuovo standard: cosa che i CDJ-3000 si propongono esplicitamente di essere. Per una recensione molto ben fatta ed approfondita vi consigliamo di dare un’occhiata a quanto uscito stamattina su Parkett, qui vogliamo giusto evidenziare alcuni punti cardine. E soprattutto, invitare a riflettere fino a quali conseguenze potrebbero portare.
E’ tutti incentrato sul file adesso (Rekordbox sempre più mon amour, insomma), e ancora di più – in queste “file-izzazione” della musica del dj – è inevitabile che guadagni spazio in primis il display. “Non doveva essere troppo grande, per non distrarre comunque il dj da quello che è il ‘fuoco’ della sua essenza, del suo lavoro: il pubblico” hanno spiegato stamattina i responsabili di Pioneer Dj Italia in una videoconferenza, ma di sicuro passa da 7 a 9 pollici, assume molte più funzioni, soprattutto diventa touch – insomma, si un po’ iPad o ultrabook di nuova generazione, allontanandosi sempre più dalle sue origini “ideali” e diventando sempre di più laptop o giù di lì. Il sync sia di bpm che di tonalità è ulteriormente facilitato, tanto visivamente quanto con i comandi, le forme d’onda non sono più solo un riferimento visuale ma qualcosa su cui agire concretamente via touchscreen, l’hot cue si fa in otto e – appunto – si sposta proprio sotto il display. Perché il cuore è lì.
(il nuovo CDJ-3000 raccontato in quattro minuti di video; continua sotto)
Non che il jog wheel sia stato lasciato indietro. Anzi, con le varie innovazioni presenti migliora la latenza fino al 25% rispetto ai Nexus; ma il focus più interessante è altrove. Appunto nel display (che tra l’altro guadagna il 50% in luminosità: ottimo, la disperazione di non poterlo leggere sotto il sole battente viene affrontata e combattuta), nelle porte Gigabit 1000 Base-T (comunicazione velocissima, condivisione fino a 6 CDJ-3000, fortissima implementazione nell’accoppiamento con mixer Pioneer di ultima generazione tipo il DJM-V10 con preview velocissime e semplificate), nell’uso di un nuovo microprocessore, alla ricerca della massima potenza di mercato con dual-core e quad-core integrati. Proprio quest’ultima caratteristica fa balenare scenari in continua, esponenziale evoluzione: erano CDJ, possono diventare praticamente dei computer-con-tasti-fisici (e una capacità di processare informazioni e catalogazioni e scelte operative immensa, inimmaginabile fino a poco tempo fa).
Un salto in avanti notevole, insomma. Ma anche una riconfigurazione evidente di “…cosa fa il dj in console”, rendendo sempre più sottile il confine tra live set e dj set (sempre più destinato solo a segnare la differenza tra “suono cose di altri” e “suono cose mie”). Piace tutto questo? Non piace? Serve? Dove ci porterà? Sono domande molto interessanti, che non “chiamano” risposte scontate. Anzi: chiedono, a tutti, uno sforzo di creatività, consapevolezza ed immaginazione. Uno sforzo per migliorare la proposta artistica e scoprire nuovi confini espressivi ma, al tempo stesso, non buttare a mare le radici di un’arte, quella del deejaying, che ha (aveva?) un DNA ben preciso ed un universo di riferimenti e valori alla base diverso rispetto a quello di chi fa musica ex novo. Pioneer Dj, coi suoi CDJ-3000, ha messo proprio in campo una bella sfida.
Il prezzo è sui 2400 euro, la disponibilità ora è ancora limitata ma, più o meno da ottobre, dovreste trovarli facilmente un po’ ovunque, con la loro voglia-esigenza di essere dei “game changer”. I tour manager, gli artisti e le agenzie stanno già iniziando ad aggiornare in maniera seriale i loro tech-rider? Lockdown presenti e futuri permettendo?
ps. Nella disputa “Meglio le chiavette o i vinili?” ci sembra ancora piuttosto centrato quanto scrivemmo tre anni fa…