“Ci potevo anche arrivare prima”, mi sono detto, più volte. Massì: perché probabilmente anche prima era chiaro, lampante che Tricky e il filone attuale della trap facessero parte di uno stesso identico continuum. Solo che Tricky era, come dire?, “altro”: era la faccia oscura di Bristol (e Bristol era l’eleganza trip hop, l’intellettualità Massive Attack o Portishead), era l’artista che sbraitava contro i giornalisti e li menava pure, era quello con le voci femminili affascinanti ad accompagnarlo, era il maudit che ad un certo punto s’è messo a girare l’Europa cambiando di continuo domicilio (…e che ora è arrivato a Berlino, quando in realtà già tutti gli altri l’avevano fatto, ma se non altro andando a vivere in una delle zone più sordide e, a modo loro, ancora autentiche). Cazzo c’entra coll’urban cafone e dozzinale americano, e coi suoi epigoni provinciali locali?
Però ecco, facendo uscire questo “Fall To Pieces” il tutto è diventato improvvisamente lampante, evidente. E’ diventato ovvio. Questo per un motivo ben preciso, la spiegazione tecnica c’è: ‘sto album è Tricky al grado zero. Un grado così zero che, francamente, più che un album è un demo da consegnare in mano a un produttore, “Ecco qua le mie idee, vedi un po’ che si potrebbe fare…?”; solo che ovviamente questo passaggio è venuto a cadere perché ora Tricky fa le cose in solitaria, non ha più major alle spalle, lavora low cost, ha messo su una propria label (False Idols) e alla !K7 sono contenti di distribuirlo senza fargli troppe domande e avere troppe pretese. Insomma: “Fall To Pieces” è un Tricky nudo, senza trucco e senza trucchi. La sua essenza grezza e non lavorata.
(Più dei demo che un album, ascoltare per credere, anche se dei demo di un certo fascino; continua sotto)
Emergono così più del solito cose ben precise: un certo tipo di paranoia (e si sapeva) o una visione morfinica/codeinica della musica urban (e si sapeva), ma anche un’indulgenza notevole verso se stesso (vedi appunto il non lavorare le cose). Indulgenza verso di sé che è patrimonio innato nella trap attuale: rapper che fanno schifo a rappare ma che di questa insipienza tecnica hanno fatto un efficace marchio di fabbrica (…e non scandalizzatevi: anche il punk era musica fatta da chi faceva schifo a suonare), producer che hanno un’idea e a quella si attengono, e se non ce l’hanno prendono un po’ in prestito dei luoghi comuni già circolanti mettendo giusto un “vestito” omogeneo sopra – senza comunque quelle pugnette da intellettualino radioheadista arcadefirico, o la grandeur da U2 e Coldplay, o il militare rigore stilistico dell’hip hop dei boomer.
Davvero. Li metti accanto, Tricky e la trap d’oggi, e combaciano perfettamente su molti, molti aspetti. Attenzione: questo non significa che “Fall To Pieces” sia l’album in cui “…Tricky si dà alla trap”. In realtà lui continua ad essere se stesso, non si schioda di una virgola. La differenza è che stavolta davvero ha messo alla stampa dei provini, più che un album. Sono peraltro dei buoni provini: trattato infatti un po’ meglio e tirato su a livello di suoni da una consapevole mano esterna, “Fall To Pieces” potrebbe diventare – pardon, avrebbe potuto essere: ormai è andata – uno dei migliori dischi di Tricky. L’attinenza con la trap non è fattuale, è attitudinale. Nella trap ci sono le frequenze basse da paura, i piattini, le rime swaggose-drogose, ok; ma un certo tipo di introspezione e, appunto, di inerzia è la stessa.
Ecco. Se nella trap di oggi imparassero a mettere dentro un po’ più dell’”oscurità letteraria” di Tricky (definizione strana, ma non sapremmo quale altra usare), staccandosi dall’urgenza di staccare subito numeri da record su Spotify e quindi dell’immediatezza paracula, potremmo avere dei “Maxinquaye” 2.0. Ehi: non sarebbe male, no?
Intanto la differenza è che i vari trapperomani fanno i brani di due minuti così portano subito a caso il +1 nel counter di Spotify prima che la gente si stufi e si distragga, Tricky in questo disco lo fa per pigrizia e per voglia di finire il prima possibile i compiti a casa. E questa differenza dice (per ora) tutto.