Ieri come sempre l’avranno visto in tanti, “Report” su Rai Tre. Una puntata (eccola qui) dedicata quasi interamente alla situazione (e alla disfuzioni politico-amministrative) da Coronavirus. Al solito, la prima sensazione è quella di “Come è possibile? Ma davvero?” ed è fondamentale che nel 2020 la Rai faccia ancora servizio pubblico, ovvero faccia ancora giornalismo d’inchiesta scomodo. Fondamentale. Questo però non deve impedire poi di approfondire, e di ragionare con la propria testa. E su quanto detto dal programma condotto da Sigfrido Ranucci nel focus su Sardegna e discoteca, ci sarebbero un po’ di osservazioni da fare. Non serviranno a nulla; non faranno cambiare idea a quelli per cui la diffusione del CoVid è “per forza” colpa di qualcuno “sacrificabile” (runner, clubber, flaneur, fate voi… basta non toccare scuole e lavoro, sennò la vita non è degna di essere vissuta); però ecco, sarebbe un peccato non farle.
E’ stato abbastanza fastidioso ascoltare la tesi, strisciante e in certi passi addirittura esplicitata, che il ritorno del Coronavirus in Italia sia stato causato in primis dal gran via vai nelle discoteche. Lo ripeteremo sempre: evidenze precise, ad oggi, non ce ne sono. Le aspettiamo. I contagiati in Sardegna sono stati molto “mediatici” (anche se in un paese civile Briatore non dovrebbe essere considerato una fonte autorevole e un guru, ma vabbé), così come lo sono stati quelli ad Ibiza: chiaro che erano “visibili”, ma non è che uno vada in Sardegna solo per le discoteche, mica è Ibiza. A Ibiza peraltro le discoteche manco erano aperte, ma questo è un particolare che sfugge al censore delle dannate discoteche. Tanto Ibiza è appunto sempre tutta una grande discoteca anche quando è sbarrata, no?
Continua a sfuggire anche un’altra cosa, ed è incredibile accada ancora: come mai se la Sardegna è stata così colpita altre regioni in cui si è ballato anche molto di più – Emilia Romagna e Puglia in primis, con focus sulla zona salentina – non sono fra le zone messe peggio in Italia? Se la correlazione discoteca/contagio fosse così evidente e comprovata, le cose dovrebbero stare in altro modo di come stanno davvero. Sì, capiamo che delle discoteche se ne può fare senza e delle industrie meno e delle scuole ancora meno, ma ad oggi ci sono chiari numeri che indicano nella ripresa del lavoro e dell’istruzione il vero motivo della seconda ondata. Nella situazione in cui siamo più cose restano chiuse e/o ad attività ridotta meglio è (anzi, a dire il vero forse ci sarebbe proprio bisogno – se guardiamo al mero dato sanitario – di un nuovo lockdown), ma continuare la vulgata per cui sono state le discoteche – e non le piazze, non i trasporti congestionati, non i luoghi di lavoro poco protetti, non situazioni abitative “normali” – ad essere il vero moltiplicatore del virus è un modo per (continuare a) mancare l’obiettivo.
Quindi sì: già dà fastidio l’impostazione per cui la discoteca è l’Untore con la “u” maiuscola (è una impostazione come minimo “facile”), il fastidio non va via nel momento in cui inizia pure una colpevolizzazione delle istituzioni sarde per non averle fermate e per aver invece, in qualche modo, provato a tutelare e “difendere” la loro attività. L’impostazione ieri è emersa chiara, nell’inchiesta: lasciamo contagiare (e morire) la gente, la abbandoniamo nei disservizi e nelle inefficienze, quando invece quei ricconi delle discoteche – che fanno pure giochi spregevoli di scatole cinesi per evadere le tasse e magari servono pure a riciclare denaro sporco – sono tutelati in tutti i modi e hanno pure gli appoggi dalla politica, magari di una parte politica ben precisa. Qui ci sono un paio di cose da dire.
La politicizzazione dell’attività delle discoteche (e, in generale, dei pubblici esercizi) è un errore da qualsiasi parte la si guardi. Non è che se uno è di destra (o di sinistra) ha meno diritto di lavorare; e non è nemmeno che sia la destra (o la sinistra) a privilegiare per principio o per malanimo alcuni settori, visto che le già citate Puglia ed Emilia hanno un governo regionale di orientamento politico opposto rispetto alla Sardegna ma, guarda un po’, hanno però incoraggiato ed approvato i dancefloor estivi. Lavorare è un diritto bipartisan. E questo lo diciamo anche a chi, nel mondo delle discoteche, e ce ne sono, prova a politicizzare lo scontro (“Eh, con Salvini era meglio”, “La destra sì che ci lascia lavorare“). Invece di cercare delle sponde e delle colorazioni politiche per il proprio settore, bisognerebbe avere la forza e la correttezza di rispondere con la forza dei numeri.
Basterebbe aver intervistato qualcuno del settore, per avere un quadro più chiaro. Ma “Report” non l’ha fatto
Ad esempio, se Report mette in campo come “pistola fumante” dello scandalo-Sardegna la storia della data di Sven Väth già fissata (riassumendo: le date erano già contrattualizzate e i soldi non si potevano rimborsare, la regione Sardegna anche se sapeva della situazione sanitaria ha dato l’ok ad andare avanti per non far perdere troppi soldi ad imprenditori loschi, marci ed avidi), fa veramente una riduzione che gli fa poco onore e che chi magari non capisce e non conosce certe dinamiche, beh, prende pure per buone. Sven, per quanto possa essere strapagato, è solo una porzione del fatturato che può fare in serata un locale come quello che l’avrebbe ospitato. Sven (di cui gli estensori del servizio sanno evidentemente ben poco, avendolo definito “giovane dj esponente del nuovo sound berlinese”: sì, mi’ nonna…) non è poi nemmeno un irraggiungibile totem senza volto: lui e chi lo rappresenta sono facce ben note, ed è difficile pensare che anche in caso di annullamento si sarebbero comportati con un “Prendi i soldi e scappa”. Basterebbe aver intervistato qualcuno del settore, per avere un quadro più chiaro. Ma “Report” non l’ha fatto.
Ha preferito ricondurre tutto ad una trama di facile effetto-indignazione per cui in Sardegna un governo regionale corrotto nell’animo ha barattato la salute dei suoi cittadini (e degli ospiti turisti) in cambio di un aiutino al fatturato di imprenditori senza scrupoli e con molti scheletri nell’armadio, ma con molti agganci politici. Consolatorio: abbiamo il colpevole, a fare così. Abbiamo la situazione contro cui sfogarci. Abbiamo il consesso di streghe da mettere al rogo. Così è se vi pare: ma non serve a un cazzo, nel concreto. Anche perché le discoteche sono chiuse dal 16 agosto, e non è che la situazione sia migliorata granché nei tre mesi successivi, anzi (…è peggiorata quando hanno riaperto le fabbriche e gli uffici prima, gli edifici scolastici poi).
Si continua a non capire che di tutta questa situazione pandemica esige non solo un costo sanitario, ma anche un costo economico, e purtroppo le due variabili sono collegate nel modo peggiore possibile
Ma al di là di questo, nello sbeffeggiare l’esponente politico regionale e nel condannarlo in maniera implicita dal punto di vista morale quando dice “Sì, abbiamo deciso di resistere ancora qualche giorno per non far perdere gli incassi in una settimana importantissima” si fa una facilissima condanna col senno di poi. Condanna che però ha due difetti intrinseci: uno, nessuno poteva sapere in quel momento (ma nessuno proprio, eh) che a novembre avremmo sfiorato i 40.000 nuovi contagi al giorno; due, se fai saltare gli incassi di una settimana importantissima non ci va di mezzo solo quella merda del proprietario discotecaro, lui, i suoi milioni, le sue scatole cinesi anti-tasse, il suo riciclaggio, eccetera eccetera, no, il punto è che ci vanno di mezzo prima di tutto e più di tutti i poveri cristi che lavorano, gli stagionali e i dipendenti con le mansioni più umili e che si fanno un mazzo tanto – e se lo fanno magari proprio perché non hanno un paracadute, non hanno delle rendite, non hanno particolari tutele.
Si continua a non capire che di tutta questa situazione pandemica esige non solo un costo sanitario, ma anche un costo economico, e purtroppo le due variabili sono collegate nel modo peggiore possibile: il modo migliore possibile per combattere il Coronavirus sarebbe infatti bloccare tutto, ma tutto!, chiudersi in casa, aspettare che passi. Forse dovremmo farlo anche adesso. Ma in assenza di un reddito universale che protegga prima di tutti i più deboli e di una moratoria integrale su tasse, stipendi, spese varie di mantenimento, non è evidentemente una via percorribile senza creare grossi danni irrecuperabili e grossi drammi. Non è un periodo facile, questo, per essere politici – e lo diciamo pur con tutta la rabbia per sprechi, privilegi ed inefficienze che non sono certo diminuiti da marzo 2020 ad oggi, in una delle classi politico-amministrative più sgangherate ed inaffidabili d’Europa. Però è un dato di fatto che da quando è arrivato il Coronavirus ogni decisione – in un senso o nell’altro – rischi di avere conseguenza drammatiche, ma veramente drammatiche, e al tempo stesso non esiste ancora una via certa su cui operare: perché nonostante lo sforzo congiunto del meglio dell’intelligenza scientifica mondiale (mondiale eh!, lo ribadiamo) non sappiamo ancora molto del quanto e come si diffonda e colpisca il Coronavirus. Ogni decisione viene fatta a spanne. Ma, come appena detto, ogni decisione ha dei costi. Altissimi. Li ha per chi sta al Governo, per chi amministra le Regioni, per chi ha responsabilità in Provincia, per chi deve presidiare i Comuni. Non è facile. Non è facile proprio per niente. Ricordiamocelo, prima di puntare troppo facilmente il dito contro “un” colpevole, e questo esercitando sempre e comunque il diritto/dovere di critica.
Tutto questo per dire che il servizio di “Report” di ieri 9 novembre è da respingere al mittente come falso, tendenzioso e provocatorio? No. No, no e poi ancora no
Tutto questo per dire che il servizio di “Report” di ieri 9 novembre è da respingere al mittente come falso, tendenzioso, calunniatorio e provocatorio nei confronti dell’imprenditoria del divertimento da ballo? No. No, no e poi ancora no. Se il mondo della notte e dell’imprenditoria delle discoteche è visto ancora come “losco” non è per un complotto marxista, ma perché effettivamente per troppo tempo – con la scusa che era un mondo “notturno” e di “divertimento libero” – si è chiuso più di un occhio da parte dei gestori verso il non rispetto delle regole, verso l’evasione fiscale (visto il grande flusso di contanti grazie a bar e biglietterie d’ingresso), verso ogni forma di responsabilità sociale ed educativa (anzi, più sei ricco e cafone più ti stendo tappeti rossi: provateci a dire che non è così, in molti casi).
Siamo realmente convinti che il mondo dell’intrattenimento notturno danceflooriano possa avere una marcia in più, come risorsa per ricostruire e riprendere quota quando le cose per ripartiranno: per definizione è quello nato cercando nuove sfide, nuovi spazi, nuove pratiche, nuove musiche, nuove economie – ed accidenti se avremo bisogno di tutto questo. Potenzialmente, chi si occupa di club e discoteche potrebbe essere davvero in prima posizione. Ma bisogna smetterla di fare i furbi, bisogna smetterla di costruire scatole cinesi come proprietà (questi giochetti lasciamoli all’alta finanza), bisogna smetterla di fare gli accordi sottobanco con la politica per ottenere le cose più facilmente, più velocemente e con meno controlli. Perché quando fai gli accordi con la peggio politica e la peggio amministrazione, prima o poi la cosa ti si ritorce contro. In questi anni, gli esempi sono stati più d’uno. Impariamo dagli errori. E nel criticare le ingiustizie e le incongruenze come quelle del servizio di “Report” capiamo però anche che c’è parecchio da lavorare, per non essere più un facile capro espiatorio da esporre al pubblico ludibrio.
Ora, per molti motivi nemmeno campati in aria, lo si è. Questo perché si sono preferite le “vacche grasse” quando tutto andava bene, pensando a macinare guadagni non a seminare cultura, competenza, innovazione, inclusione. Per molti è stato più comodo (e veloce) spremere i clienti e sottrarre per quanto possibile risorse alla comunità. Ammetterlo è un primo passo per rimettere le cose al proprio posto. Ora che si è tutti fermi, sarebbe infatti il momento giusto per (ri)pensarci.