Un nome che nasce da una suggestione di Italo Calvino, un suono che Edo Pietrogrande – alias P41 – assieme ai sodali Ominostanco (un grande sottovalutato) e Decomposer (ora sigla appaltata al solo Agostino Maria Ticino) ha scalpito in una linea di grandissima eleganza ed ecletticità. In mezzo a tante label-stampino, che fanno – magari anche bene, eh – sempre la stessa cosa, ovvero sfornare dischi ricalcati perfettamente sul suono-del-momento, Festina Lente è una storia decisamente diversa. Attraversa con eleganza diverse direttrici della musica elettronica da dancefloor, declinandole così bene che spesso il suddetto dancefloor non è l’unica destinazione obbligata. Era da un po’ di tempo che avevamo in mente di dedicare un focus. Perché fosse il caso di farlo ve lo facciamo capire subito, embeddando prima dell’intervista a Pietrogrande “Palindrome”, la release uscita non troppo tempo fa che è un vero e proprio biglietto da visita per l’etichetta (e che biglietto da visita! …davvero, da ascoltare davvero con attenzione). A fine intervista, invece, una primizia: l’anteprima della traccia d’apertura della prossima release della label, “The Panjim Chef”, appaltata a Decomposer. Traccia davvero ipnotica ed affascinante. Ma andiamo con ordine…
Facciamo il punto: quali erano le tue aspettative prima di creare Festina Lente e quali sono quelle attuali?
Abbiamo iniziato il progetto per passione e perché ci sembrava il modo migliore per creare coesione e supportare la nostra scena. Venivo da un’esperienza molto forte nell’ambito, la mia tesi di laurea riguardava il mercato multicanale digitale e come ricerca avevo aperto una label, till2012 records, che aveva lo scopo per un triennio di verificare le teorie di Chris Anderson (quelle della “coda lunga”, per intenderci) e altri pionieri di quel periodo. Ovviamente il risultato confermava le difficoltà e le criticità di quelle teorie. Ci ho messo un pò a prendere la decisione nel 2017: ci sono voluti i compagni giusti, OminoStanco (Roberto Vallicelli) e Decomposer (Agostino Maria Ticino), e i giusti motivatori, Roland Leesker (boss della Get Physical) e Francesco Tristano. Non avevamo obiettivi precisi: tra noi scherziamo sempre che avremmo dovuto chiamarla “Poi se vede” più che Festina Lente. Avevamo però chiara la situazione in cui la nostra musica (o l’idea che abbiamo di musica) potesse essere la colonna sonora. La label ha sempre avuto uno sviluppo collettivo. Abbiamo molti amici che ci hanno supportato dall’inizio, Anywave, il team Ipologica, Odd Man out e lo studio di mastering Loud’n’Proud di Francesco Pierguidi, Seismal D e il team Ogami. Abbiamo creato un network vero, fatto di condivisione. Ora dopo tre anni e una pandemia siamo più a fuoco, il lockdown ci ha dato molto più tempo da dedicare al progetto e stiamo scoprendo meglio il mercato discografico ai tempi dello streaming. Il nostro credo e il filo conduttore delle nostre produzioni rimane identico: cinematico, evocativo, nel sottile confine in cui il corpo umano non sa se sdraiarsi per terra su un prato e chiudere gli occhi o alzarsi e iniziare a ballare.
E’ una domanda banale, ma fatta a te può avere un peso specifico un po’ più significativo e una risposta interessante: quanto è profondo il solco tra “musica da dancefloor” e “musica da ascolto”?
Credo che non esista realmente la musica d’ascolto, mentre esiste chiaramente la musica da dancefloor; lo stesso brano può fare la differenza su un dancefloor e può essere d’ascolto – ma non il contrario. A livello tecnico, una diversa stesura, l’attenzione che poniamo sul climax, su build up e drop ovviamente connotano un brano da dancefloor; la musica d’ascolto è invece un’attitudine più soggettiva. Esempio: un paio di anni fa stavo facendo sentire un brano del mio ultimo album ad un mio amico olandese dj, lui fanatico delle sonorità stile Berghain, era uno dei brani più tirati del mio album e lui mi disse “Supercool, I love it, perfect for a barbecue on Sunday”, ti immagini? Quindi credo che sia il ricettore e non la sorgente a etichettare un brano da ascolto.
Quali sono secondo te gli artisti dalla visione più interessante e fertile oggi, esclusi ovviamente tutti coloro che sono passati dalla tua label?
Visto proprio il dualismo dancefloor/ascolto della nostra label indico due nomi: Burnt Friedman innanzitutto, che quest’anno ha fatto due release pazzesche a mio avviso ed è da sempre un guru per me, come linguaggio e ricerca. Ci ho lavorato dal vivo due anni fa ed è un musicista eccezionale, ricercato e profondo quasi mistico nell’approccio. &ME lo reputo un maestro assoluto del dancefloor, musica efficace spesso immancabile nella mia selezione, arriva come un disco pop e nasconde benissimo la sua complessità, polimetrie, armonie non immediate, ed è sicuramente presentissimo sulla scena. I giovani talenti che seguo sono molti ma me li tengo per me al momento, non vorrei gufarmela; cerco sempre di lavorare sul luogo, nel mio caso Roma; credo tantissimo nell’alchimia e la forza di condividere la musica a livello personale, non mi piace l’idea di demo submission senza un incontro o una conoscenza personale dell’artista.
Quando torneremo ad una attività “normale” nel mondo del clubbing, secondo te le cose saranno cambiate? Ci saranno dinamiche diverse – artistiche e di “sistema” – rispetto a quelle che regnavano negli ultimi anni pre-pandemici?
Non lo so, spero nell’estate 2022, perché temo che la prossima estate non ci sarà la stessa tolleranza dell’estate 2020, giusto o sbagliato che sia. Dopo una crisi iniziale nei primi mesi di lockdown (erano dieci anni che partivo ogni weekend per lavoro…) mi sono dedicato anima e corpo all’evoluzione dello streaming, la condivisone di contenuti, i concerti a sync da remoto su piattaforme come Vivivaldi di cui abbiamo fatto anche la prima assoluta in Europa per Maker Faire, concerto a distanza del Maestro Paolo Buonvino con Alex Braga che suonavano da casa come se fossero nella stessa stanza; ho trascurato i ragionamenti sul ritorno alla normalità cercando nel minor tempo possibile di trovare una nuova dimensione lavorativa. Penso che sarà più facile ripartire a livello locale, ed è un bene. Penso però anche che ci sia il rischio di un sacrificio della qualità pur di combinare qualcosa (vedi situazioni ibride aperitivo/ristorante/club pur di poter aprire le porte ai clienti), e temo fortemente per la scena internazionale, perché credo che sarà più complesso gestire trasferte e tour per un pò più di tempo: controlli, complicazioni per i voli, tragitti con molti scali, legislazione non omogenea… Ovviamente non parliamo della situazione economica perché quella è un disastro, sicuramente siamo sul podio dei settori più colpiti. Ma Il sistema, da queste situazioni di crisi, solitamente ne esce rafforzato (per chi ne esce). Dal punto di vista di contenuti e visione Il clubbing soffriva e spero soffrirà meno: le persone avranno più entusiasmo ma l’aridità e l’omologazione della gestione e della proposta artistica negli ultimi dieci anni è stato un male forse peggiore della pandemia. Siamo riusciti ad appiattire qualsiasi slancio, a penalizzare molti promoter giovani e ricchi di idee per tutelare invece la “classe dirigente”. Sono stati fatti tutti gli errori che rimproveriamo sempre alle alte sfere, nonostante ci piaccia utilizzare ancora il termine “underground”. Uso il plurale perché ormai sono vent’anni che lavoro nel settore, mi avvicino ai quaranta e negli ultimi tempi prepandemici sono stato un “credente non praticante” e quindi ho le mie responsabilità.
Oggi ospitiamo la preview di “Dhal”, traccia estratta del nuovo EP del collettivo Decomposer: come è nata questa release?
Decomposer nasce come collettivo composto da Agostino Maria Ticino e Carlo Marchionni ma nell’ultimo periodo il solo Agostino è Decomposer. Ago oltre ad essere socio fondatore della label, fa parte del collettivo Macchine Nostre, paladini del Museo del Synth marchigiano. Decomposer è ormai un “must have show” dei festival psytrance di mezzo mondo, sono anni che gira tra India, Goa e Europa dell’Est esibendosi dal vivo nei padiglioni chillout e ambient di mezzo mondo. Gli ultimi tre anni ha trascorso tutto l’inverno a Goa, è diventato un resident supportato dalla crew Parvati Records. E’ tornato e ha cominciato a lavorare a tutte le idee che utilizzava nei suoi live show, è stato un percorso di produzione lungo, quasi un anno, all’inizio erano molti brani, abbiamo fatto una scrematura e ho cercato di convincerlo a catturare l’essenza scegliendo le canzoni che raccontassero al meglio il suo linguaggio, senza fronzoli o interludi, sempre diretti al punto.
Domanda finale: Italo Calvino è ancora attuale oggi? O magari addirittura ancora più attuale rispetto a quando era in vita e pubblicava libri?
Le Lezioni Americane da cui ho preso l’idea del motto “Festina Lente” (avanza lentamente) sono una sorta di Bibbia per me, le rileggo di continuo, sono un vademecum imprescindibile per qualsiasi linguaggio di espressione moderna: Leggerezza-Rapidità-Esattezza-Visibilità-Molteplicità-Concretezza. Non saprei come meglio sintetizzare gli attributi necessari in fase creativa e compositiva in qualsiasi ambito che riguardi l’espressione artistica.
“Dhal”, presentata in anteprima: