Ci eravamo esposti parecchio, poco meno di due anni fa: DayKoda è il Flying Lotus italiano. Ricordate? Ma non era solo il gusto del paradosso, o un artificio retorico grossolano per fare un discorso sottile (come nel caso leggendario di “Young Signorino, l’Aphex Twin della trap”, che ancora oggi legioni di persone prendono alla lettera pazziando, dimostrando così di fermarsi ai titoli e, eventualmente, alle figure). No: “All Of Me”, uscito due anni fa, era davvero un disco pazzesco. E lo è tutt’ora. Almeno questo a parere di chi scrive.
Gli autori di dischi pazzeschi (o anche di singoli brani pazzeschi) si dividono in due categorie: quelli che sono bravissimi e lo sono in assoluto e continuano ad esserlo, e quelli che per un perfetto allineamento di pianeti riescono in un frangente della loro vita a produrre qualcosa di epocale ma poi si perdono, o comunque non mantengono le attese. Fanno magari cose buone, dimostrano di essere comunque musicisti-con-delle-idee-e-del-gusto, ma tornano fra le fila della medietà, di – quando va bene – una gradevole medietà.
DayKoda poi non è nato a Los Angeles, non vive a Berlino, non incide per una label di quelle universalmente “giuste”, e non bastasse tutto ciò non ha fatto nemmeno in tempo a costruirsi un seguito live che, sdeng!, è piombata la pandemia a bloccare quasi tutto. Una pandemia in cui sopravvivono soprattutto i soliti noti, per ora, beati loro: quelli che vanno a svernare a Tulum o a Dubai proponendo la tech-house che piace alle modelle minori, alla gente del circo fashion, ai ricchi di famiglia ed ai ricchi di stupefacenza. Non esattamente il campo che possono percorrere musicisti legati ad altri generi un po’ meno à la page. Perché il problema non è di per sé la tech-house, e nemmeno lo sono i ricchi di famiglia, le modelle, i cocainomani eccetera: c’è spazio per tutti a questo mondo, regola aurea troppo spesso ignorata. Il problema è che i gusti sono molto, troppo omologati: tanto che la tech-house l’amano per forza d’inerzia in tantissimi senza però nemmeno conoscerla davvero e senza nemmeno provare ad ascoltare altro, seguono la massa; ma il problema è anche che chi ha gusti meno omologati, ha meno massa critica per incidere sulle scelte dell’industria del clubbing e anzi spesso nemmeno si sforza di farlo, contento del suo elitarismo.
Divagazione necessaria, per dire che nei pochi posti in cui si può fare musica e ci si può assembrare, oggi, sarebbe bello si vedessero anche altri artisti ed altri generi, non sempre e solo i soliti noti. Sarebbe un mondo migliore. Sarebbe un mondo più interessante. E magari, quando riprende a girare il mondo degli eventi al 100%, cerchiamo di metterlo nelle condizioni di esserlo, più interessante. Che ne dite?
In un mondo più interessante, DayKoda e il suo talento devono assolutamente esserci. Valeva nel 2019 ma, questo è il punto da sottolineare, vale anche oggi, nel 2021, ora che è uscito il seguito di quel “All Of Me” così sorprendente e supercalifragilistichespiralidoso. Da domani 19 marzo “Physis” lo trovate un po’ dappertutto in streaming, ma ricordatevi sempre che c’è Bandcamp (qui sotto l’embed per “provare per credere”, ma o comprate il supporto fisico – e dovreste – o da domani iniziate ad andare sulle varie piattaforme di streaming, almeno in maniera infinitesimale si monetizza un po’).
“Physis” manca forse dell’effetto-wow ed effetto-sorpresa che caratterizzava “All Of Me” ma, qui sta la buona notizia, è un album incredibilmente maturo. Non ci sono forse infatti idee esplosive&improvvise che fanno volare tutto per aria e ti lasciano a bocca aperta, ma questo nuovo lavoro racconta di un Andrea Gamba che si è preparato per bene, ha cioè “studiato” ed è migliorato in alcuni aspetti per nulla secondari: in primis, il suono, anzi, la sua organizzazione. Separare cioè bene gli elementi, farli suonare singolarmente nel modo giusto, amalgamarli alla perfezione: è davvero avvolgente, l’anima di questo disco. Lo è per la cura nei suoni in sé, lo è per come essi sono scelti, costruiti, assemblati, centellinati. A un primissimo ascolto l’impressione era stata in effetti “Caspita, bello, ma manca qualcosa”. Questo perché due anni più tardi c’è qualche acrobazia armonica in meno, qualche frase dinamicamente spettacolare mancante. C’è meno cazzimma, ecco, meno “buttarsi senza rete”.
Se però in molti casi questo è un preludio alla normalizzazione/banalizzazione/scomparsa del talento tanto evocato, riascoltato più e più volte “Physis” spiega che comunque DayKoda è un talento vero. Uno capace di venire fuori sempre meglio sulla lunga distanza. Le carte le ha tutte. La visione ce l’ha davvero, il tocco di classe ce l’ha davvero, una “visione periferica” (nell’accezione mutuata dal basket) pure, e ce l’ha più della quasi totale maggioranza dei producer lì fuori in giro.
La critica più cattiva che si potrebbe fare a “Physis” è che il brano più riuscito e più emozionante è un remix, perché il tocco dubstepposo del collettivo bristoliano Ishmael Ensemble su “My Abstract Monkey” offre davvero una “quarta dimensione” d’ascolto che eleva ulteriormente la cifra artistica ed emozionale dell’LP, rendendola più “tremendista” e d’impatto. Ma resta il fatto che già oggi, 18 marzo 2021, lanciamo la sfida del “Trovate altre dieci album migliori di questo, a fine anno”. La lanciamo, e siamo abbastanza sicuri di vincerla. “Physis” infatti è da top ten annuale abbastanza certa, se si hanno ascolti a trecentosessanta gradi, e non solo da sbocciatori tech-house (o da snob decostruzionisti).
Ah, e qualora all’epoca vi fosse sfuggito, ecco “All Of Me”: