Lo Zeitgeist esiste. Nella musica elettronica odierna forse ancora di più che nelle altre musiche: sensibile com’è ad un feedback immediato – quando lo si poteva avere – molto specifico, ovvero quello dei dancefloor e della gente che esce di casa per andare a ballare, per andare nei club o nei festival. Lì non puoi fingere, infatti: devi mettere il suono “giusto” per le persone che hai davanti, stop; e il suono “giusto” significa (anche) toccare le corde del loro immaginario del momento, della loro emotività, di quello che istintivamente più vorrebbero in quel preciso frangente della propria vita (o semplice serata).
…e quindi sì, lo Zeitgeist esiste. Va considerato. Va rintracciato. Va analizzato. Perché ad esempio non si può giustificare solo con la spietata forza promozionale dell’industria musicale anglosassone il modo in cui “Isles” dei Bicep sia stato subito considerato come un disco importante, nell’ecosistema clubbing. Ne abbiamo scritto anche noi, schierandoci chiaramente. Poi: può piacere di più, può piacere di meno, può non piacere e basta, ma il dato di fatto oggettivo è che ha raccolto veramente molta attenzione. Al di là delle qualità intrinseche (che per noi ci sono, e che continuiamo a sentire intatte anche a qualche mese di distanza), questo vuol dire che in qualche maniera i due Bicep hanno fatto la “cosa giusta al momento giusto”. Hanno intercettato lo spirito del tempo. Ovvero lo Zeitgeist, come dicono i tedeschi (…termine che usavano ben prima che scoprissero che si possono fare soldi con la techno e la tecnologia, e con le due cose messe assieme).
Tutto questo discorso c’è venuto in mente ascoltando l’album di Under:Tones, ovvero il progetto congiunto di Alex Neri e Matteo Zarcone. Il primo non ha semplicemente bisogno di presentazioni, no?, e tra l’altro a trent’anni di militanza nella club culture aggiunge anche l’esperienza targata Planet Funk, molto significativa in più di un passaggio nel saper colpire l’immaginario collettivo e non solo quello dei clubber specializzati. Matteo Zarcone è suo socio di studio e collaboratore, più giovane d’età ma comunque molto maturo nel modo di porsi e meticoloso nel modo di lavorare.
Ora: non sapessimo un po’ di retroscena (leggi: non avessimo avuto in mano dei provini ancora molti ma molti mesi fa), avremmo molto facilmente pensato: “Eh, vedi un po’ quanto si sono fatti ispirare dal disco-del-momento di questi mesi, ovvero dai Bicep…”. Ma appunto: le cose non stanno così. Lo sappiamo per certo. L’idea dietro a questo album c’era già da prima: c’erano le idee ma anche, e soprattutto, il mood. Eccolo qui, il loro album:
Il disco dei Bicep potete invece andarvelo a risentire cercandolo nella vostra piattaforma streaming di riferimento, o andando a ripescare la nostra recensione già linkata e che qui rilinkiamo. Fatelo. Metteteli a confronto, gli album, come abbiamo fatto noi. Sarà sorprendente. Non perché ci sia di mezzo del plagio o dell’imitazione (come dicevamo: cronologicamente impossibile), ma perché c’è di mezzo lo stesso tipo di mood. Esattamente lo stesso mood. Un mood che va spiegato ed analizzato per bene: perché questa spiegazione + analisi potrebbe raccontarci qualcosa del periodo che stiamo vivendo nell’ambito della musica elettronica.
Allora. In entrambi i lavori, prima di tutto, c’è un approccio molto “adulto”, molto da ascolto, pur mantenendo una intelaiatura e delle reference stilistiche esplicitamente danceflooriane. Sarà la pandemia, sarà che ormai è un anno e passa che salvo eccezioni tutto quello che possiamo fare è home listening, sta di fatto che anche al momento di produrre evidentemente agli artisti più sensibili e/o più versatili della roccaforte dance non passa più tanto per la testa di fare il solito&solido tool “sicuro” da pista, ma cercano evidentemente qualcosa di più sfaccettato ed elaborato, anche se meno d’impatto “fisico” immediato.
Poi, proseguendo: in entrambi c’è molta “storia”, molti anni ’90, sì, ma in maniera molto elaborata e rifinita, non insomma col citazionismo diretto, esplicito e svergognato che è stato messo in piazza negli ultimi anni vuoi dalla Kraviz ed epigoni vuoi dalla intellighenzia “altra” (e alta) su happy hardcore, trance, epoca storica dei rave, eccetera eccetera. Come ha fatto Burial più di altri e prima di altri, c’è piuttosto una ripresa “nebbiosa” – quasi in filigrana – di queste memorie storico-soniche. Sono trasposizioni astratte e gentilmente ammorbidite, insomma: Burial lo fa magari con la cupezza dell’undeground autentico, i Bicep con l’approccio “aperto” di chi in fondo ama anche le grandi folle e sa rendere estasi ed euforia collettiva il senso di malinconia, nel caso di Under:Tones invece entra in campo una componente molto (più) mediterranea, che lavora più su armonizzazioni solari e “calde” togliendo un po’ di fascino ma portando un po’ di calore (…fra i due preferiamo sempre malinconia ed inquietudine al sole, ed infatti preferiamo “Isles” dei Bicep all’LP di Under:Tones; ma qui più che fare gare e dare i voti, vogliamo accompagnarvi ad un concetto e ad un meccanismo analitico).
Di happy hardcore, trance, epoca storica dei rave, eccetera si riprendono solo alcune schegge: levigandole, diluendole, lucidandole. Si riprendono con affetto e con amore, certo, ma non con la voglia (o la pretesa) di rituffarcisi dentro per tornare a “mangiare spigoli”, per rievocare o ricreare cioè magie maligne che forse non esistono manco più.
C’è poi oltre la “storia” la “competenza”: quella che ti fa citare in filigrana diversi generi musicali di matrice anglosassone (gli americani hanno inventato techno e house, gli inglesi le hanno contaminato con industrial, ambient, drum’n’bass, musica giamaicana…); ma anche qui è una citazione che viene fatta appunto in maniera accennata, in punta di penna. Un modo quasi per confermare che sì, si è ascoltata e digerita con attenzione la storia della musica da dancefloor degli ultimi quindici anni, solo che di nuovo invece di riproporre determinati generi e stilemi specifici si trova più opportuno disegnare&diluire le cose, stenderle a mo’ di acquarello, e non da pesante stencil da graffiti art.
Ecco: siamo pronti a scommettere allora che sarà questo il tono dominante di questa annata musicale qui nelle nostre zone, anche quando si potrà piano piano riprendere a ballare. Non si ripartirà insomma subito con la pesantezza della techno, la fattanza della tech-house, la muscolarità sensuale della house originaria, la martellanza hardcore. Con sensibilità da rabdomanti (tipica del mestiere del dj), senza parlarsi e senza conoscersi Bicep in UK e qui dalle nostre parti la coppia Neri-Zarcone hanno intercettato questa cosa qui.
Per parlare come fatto per Bicep di “grande disco” pure nel caso di Under:Tones forse ci vorrebbe un po’ di arroganza in più, di voglia di immaginarsi di fronte a persone che ti inneggiano e sono moltitudine di fronte a te, e non solo trovarsi all’interno del proprio studio (o del proprio salotto) che si ascoltano i provini sedendo composti. Magari ci vorrebbe anche del coraggio nel creare delle “rotture” musicali maggiori di tanto in tanto o dei ricatti emotivi taglienti, rispetto a quanto fatto: ovvero delle coltellate o modifiche improvvise che prendano per il bavero l’attenzione dell’ascoltatore. Tutto questo non c’è, in Under:Tones, o è appena accennato (viene bene in alcune parti di “3”, per dare un esempio, ma il resto è invece molto educato, compìto e calibrato).
E’ però di sicuro un buon disco, un disco che è bello poter dire “Ehi, questo l’abbiamo fatto noi”: e “noi” inteso proprio nel senso di persone che sono protagoniste nella nostra scena e della nostra scena, qui in Italia. Spiega anche, questa release a nome Under:Tones, che a livello di competenza tecnica quando ci si mettono i bravi a fare le cose non abbiamo più assolutamente nessun gap con l’estero, Inghilterra o Germania che sia. Poi sì: forse le piste chiuse ci stanno rendendo (troppo) “adulti” ed eleganti, può essere. Intanto vediamo quando riapriranno, le piste. E godiamoci una musica che si può anche ascoltare, non solo ballare, pur essendo nata da professionisti e mestieranti della musica elettronica da ballare. Non è una cosa da poco.