“Coprifuoco alle 22 fino al 31 luglio: assurdo, folle”. Questa cosa sta rimbalzando su e giù per tutto il web, dopo che è stato promulgato un Decreto Riaperture che, formalmente e ad una lettura superficiale, pare affermare esattamente questo: fino a ad estate inoltrata insomma, perché il 31 luglio è decisamente già estate inoltrata, sempre a letto con le galline, sempre senza vita sociale serale. Ma le cose stanno veramente così? No, certo che no. In realtà l’orientamento del Governo non è quello di tenerci blindati la sera anche sotto la calura estiva, ma molto semplicemente si ragiona un po’ “alla buona”, si mettono le mani avanti “sparando alto”, diciamo così. Insomma: una cosa come “Vi mettiamo il coprifuoco alle 22 formalmente fino al 31 luglio, che è una bastonata, lo sappiamo, ma almeno così capite che la situazione è ancora seria, non è che siamo già fuori dalla pandemia”.
Si sta agendo così da tempo. Il velo è caduto diremmo ufficialmente in una intervista con la epidemiologa Lucia Bisceglia – a brevissimo presidentessa della Associazione Italiana di Epidemiologia, non una qualsiasi insomma – che a precisa domanda ha risposto “Il coprifuoco? Va tenuto. Funziona da deterrente. Introduce a livello psicologico un segnale d’allerta. Il coprifuoco ricorda i comportamenti individuali da tenere e il fatto che non siamo al liberi tutti. Se alle 22 devi essere a casa, gestisci gli spostamenti, eviti gli incontri non necessari”.
Siamo alle solite: il coprifuoco alle 22 non serve davvero, almeno dal punto di vista tecnico-scientifico. Finalmente lo si dice chiaro e tendo. E’ solo uno scappellotto, ecco, che deve servire a farti capire che ti devi comportare bene. Prolungarlo fino al 31 luglio in maniera puramente formale è un altro messaggio che, subliminalmente, deve far capire quindi che no, la pandemia non è finita o in esaurimento, che ci si contagia ancora, che si muore ancora a colpi di centinaia di morti al giorno; insomma è troppo presto per “alzare le mani dal manubrio”, tanto per mutuare il gergo ciclistico: se non si sta attenti ora, il Covid rischia di rovinarci davvero l’estate. E quel 31 luglio può diventare realistico per davvero.
La domanda da fare è: ce lo meritiamo, noi cittadini, di essere trattati così, un po’ da bambini che vanno spaventati per rimetterli in riga? Uno scelga pure la risposta da dare, da darsi. Ma la scelga onestamente però. Perché il problema è che siamo entrati tutti in un circolo vizioso per cui, ad esempio, la Zona Rossa del 2021 non è più la Zona Rossa del 2020 (anche se formalmente dovrebbe essere uguale, o quasi): non c’è più onestamente la stessa paura, non c’è più lo stesso rispetto delle regole, non c’è più la stessa attenzione, con l’aggravante che oggi il Covid si diffonde di più vista la predominante della variante inglese, parecchio più contagiosa di quella originaria. Siamo insomma in una fase di limbo in cui il pericolo c’è, lo percepiamo, ma abbiamo deciso di conviverci. E, insomma, ci fa un po’ meno impressione. Almeno finché non ci colpisce direttamente. Vero o no?
Le polemiche fra allarmisti e negazionisti sono solo schiuma, un intrattenimento tipo wrestling. Questo perché la parte più hardcore di entrambe le fazioni parte dalla convinzione di essere nel giusto, di avere la Verità in mano. Però: come si fa ad essere nel giusto ed avere la verità assoluta, se questo virus è appena comparso, visto che è da poco più di un anno in circolazione? E’ arrivato da poco, non sappiamo come si potrebbe evolvere, non sappiamo le sue conseguenze, né sappiamo le conseguenze sul lungo periodo del vaccino. Ecco, quest’ultima cosa è impugnata dai No Vax di tutto il mondo per le teorie più creative, che hanno comunque tutte come esisto finale il fatto che non ci si debba vaccinare: bene, bravi, bis, ma a quale prezzo? A quale esito? Abbiamo delle idee migliori al momento rispetto alla vaccinazione? E’ maggiore la mortalità per AstraZeneca o per Covid, ora come ora? La risposta la sapete (o dovreste saperla), perché sta nei numeri. Ma non per questo la preoccupazione sugli effetti a lungo termine di un vaccino sono per forza i deliri di un complottista rincoglionito ed idrofobo.
La domanda da fare è: ce lo meritiamo, noi cittadini, di essere trattati così, un po’ da bambini che vanno spaventati per rimetterli in riga? Uno scelga pure la risposta da dare, da darsi; ma la scelga onestamente però
Insomma, quello che non è chiaro a tutti – e purtroppo più andiamo avanti sempre meno chiaro pare apparire – è che quella che stiamo vivendo è una situazione in cui no, non si possono avere certezze, e in cui per causa di forza maggiore si va a tentoni, a tentativi, a esperimenti, a speranze, a errori, ad ipotesi. Ci fosse uno sforzo collettivo, per capirlo, diventando tutti un po’ più equilibrati, possibilisti, razionali, tolleranti, forse allora sì avremmo una consapevolezza maggiore della situazione, e avremmo un rapporto più sano coi provvedimenti presi dall’alto rispettandoli un po’ di più; e al tempo stesso, per reazione, i provvedimenti dall’alto potrebbero essere più sani, quindi non paternalistici per eccesso stile “Io ti metto il coprifuoco anche se non serve scientificamente a un cazzo, ma almeno magari così ti tengo un po’ a freno”.
Una popolazione matura dovrebbe ricevere – e pretendere – un piano in cui si mettono chiaramente dei vari step di riapertura (stile “ad X incidenza / RT, corrisponde azione precisa”): sarebbe un sogno, no? In realtà il sogno già c’è: perché è esattamente quello che succede col sistema delle Zone. Ed è al sistema delle Zone che è legato il Decreto Riapertura in cui sì, formalmente il coprifuoco è valido fino al 31 luglio, ma ci sono tutte le condizioni e le volontà politiche per mettere in discussione questo traguardo temporale, a seconda dello sviluppo della pandemia. Il problema è che avendo un Governo senza precedenti nella storia della Repubblica (cioè: tutti dentro, con l’esclusione di Fratelli d’Italia che però è un partito che non mette in discussione l’allenza con la Lega di Salvini, che è dentro), far emergere una tabella precisa che mette d’accordo tutti non è possibile, perché sono troppe le forze differenti in coalizione da mettere d’accordo – e ognuno ormai cerca di tirare acqua al proprio mulino, al proprio elettorato, ai propri interessi da difendere – e mettersi d’accordo tutti su tutto richiederebbe tempo, quando invece di tempo non ce n’è. Il virus non aspetta i tempi della politica. E’ la politica che, con equilibrismo, deve riuscire ad essere veloce (quasi) quanto il virus, senza mandare tutto a puttane.
Nella fratta (o nella paura…), non è stato fatto un reale ragionamento – o non lo è stato fatto abbastanza – su chi è stato colpito di più dallo stop pandemico. Non è stata fatta abbastanza distinzione tra chi si è impoverito non per colpe proprie, chi non ha perso nulla (anzi, ha guadagnato, avendo speso di meno), chi si è arricchito.
Tutto questo è accaduto per colpa di tutti. Se certi settori non sono stati tutelati abbastanza – e qui parliamo ad esempio di clubbing e discoteche, visto che il DNA di Soundwall va lì – è anche perché per troppo tempo, col beneplacito del settore stesso, così come delle forze di polizia, di quelle politiche e di quelle sociali, si è accettato come “normale” che i settori suddetti fossero facilmente carta franca legale: le discoteche sono diventate nell’immaginario collettivo il posto dove si “puliscono” i soldi sporchi, dove si paga in nero, dove non si rispettano leggi e regolamenti. La risposta del settore spesso è stata: “O così, o non riesco ad andare avanti”. Andava bene un po’ a tutti. Ai disonesti e criminali, perché si facevano meglio i fatti loro; agli onesti, perché almeno così avevano un po’ di respiro facendo un po’ di nero di qua e un po’ di elasticità su regole e leggi di là; ai consumatori/clienti, perché almeno trovavano dei posti dove rifugiarsi rispetto a regolamenti legislativi-amministrativi eccessivi, populisti, ottusi, moralisti.
Siamo tutti sulla stessa barca, e continuiamo davvero a non capirlo. Ci attacchiamo attorno a quanto sia assurdo il 31 luglio come termine per il coprifuoco alle 22 (lo è), ma non pretendiamo abbastanza che venga presentato un piano chiaro e verificabile giorno per giorno (anche perché poi rischieremmo di doverlo rispettare). Ci attacchiamo quanto siano pazzi i No Vax e i negazionisti (per lo più lo sono), ma nel farlo buttiamo via il bambino con l’acqua sporca, visto che non proviamo nemmeno a considerare per un attimo la parte ragionevole del corpus scetticista che dei No Vax permea le visioni e posizioni. Nel clubbing, ci incazziamo di quanto le istituzioni siano cieche alle nostre istanze e/o quanto ci usino da capro espiatorio (lo sono, lo fanno), ma non vogliamo capire che se siamo arrivati a questo è anche perché abbiamo fatto di tutto per essere un settore invisibile, e un capro espiatorio utilissimo. Facciamo sempre le cose a metà.
Siamo un po’ tutti sull’orlo (o oltre) di una crisi di nervi. E’ ragionevole, sia chiaro. C’è chi ha perso il lavoro e almeno per un po’ non lo ritroverà, con l’economia ora in stallo ed a breve pure in picchiata; c’è chi ha un’impresa e ha visto crollare il fatturato, ma non le spese fisse; c’è chi il lavoro ce l’ha, magari pure garantito, ma da oltre un anno sta vivendo una vita da recluso, in condizioni magari anche logisticamente precarie o non certo da nababbo; c’è pure chi è ricco, privilegiato e senza problemi reali, ma vive male, molto male il fatto che il suo mondo perfetto sia un po’ meno perfetto e senza limitazioni. Chi per un motivo chi per l’altro, abbiamo tutti una ragione per essere tesi, stremati, poco lucidi, pronti ad incazzarci per il minimo motivo.
La domanda da farci: è utile, serve incazzarsi rabbiosamente? La domanda da farci è: se nessuna nazione al mondo ha trovato ancora un criterio al 100% sicuro per gestire la pandemia, perché dovremmo riuscirci noi (che magari manco siamo politici e/o scienziati)? La domanda da farci è: se nessuna nazione al mondo ha ancora capito come gestire economicamente il contraccolpo dell’economia mondiale ingrippata, perché dovremmo avere la soluzione in tasca proprio noi (che siamo economisti solo dieci minuti alla settimana su Facebook nella nostra bolla)?
Ci vuole pazienza. Ci vuole calma. Ci vuole generosità. Ci vuole la consapevolezza che tutti ci stiamo perdendo, in questa fase, chi più chi meno, tutti, e altro ancora si perderà nel futuro prossimo. Ma a questa consapevolezza va unita anche la voglia di essere generosi, di non rifugiarsi negli egoismi, di far circolare messaggi che siano positivi e non distruttivi.
Ad esempio, e passiamo alla musica dal vivo, stona che nessuna delle grandi agenzie di concerti in Italia – quelle che l’anno scorso senza consultarsi con nessuno ma parlando a nome di tutti hanno detto “Fermiamo tutto“, ché tanto loro hanno le spalle larghe e se lo possono permettere – abbia dato risalto, sui propri canali ufficiali di comunicazione, del secondo Bauli In Piazza di Roma (ancora più spettacolare numericamente del primo, svoltosi a Milano). Non è che per forza in questo ci sia dietro un complotto, o una stronzaggine atavica: magari sì, magari no, magari forse, però intanto è oggettivamente una occasione persa, qualsiasi sia il motivo. La solidarietà, la presenza e la vicinanza data a titolo personale dagli artisti ma anche proprio da moltissimi lavoratori e dirigenti di queste grandi agenzie poteva essere doppiata, molto più efficacemente, usando i canali ufficiali delle agenzie suddette, invece di lasciarli lì inermi solo con la lunga serie di concerti annunciati/rinviati/rinviabili. Si poteva e si doveva fare qualcosa di più, insomma. E che dirlo non diventi però occasione ulteriore di scontro. Bauli In Piazza è una protesta intelligente, forte, spettacolare, ammirevole dal punto di vista dell’ordine pubblico e della gestione logistica dei rischi: merita insomma tutto il sostegno, e se i giornali – e lo fanno – danno più peso ad una manifestazione di 300 No Vax senza mascherina in Duomo a Milano, beh, bisognerebbe incazzarsi parecchio. Non incazzarsi tanto coi No Vax in sé, come invece si finisce col fare, ma con chi preferisce dare più tribuna a proteste così poco “sane” e rispettose snobbando invece forme più evolute del far valere le proprie ragioni e la propria presenza.
E’ stata, è e sarà difficile per tutti, la pandemia. Il coprifuoco alle 22 è una misura ingiusta, ma al tempo stesso serve a limitare i danni, e potrebbe durare anche più del 31 luglio se la situazione pandemica – magari per una nuova variante – fosse allarmante. Costringere gli operatori dei settori più a rischio a non poter programmare il proprio lavoro in anticipo è un danno feroce, visto che li costringe ad improvvisare (…ed improvvisare è un costo, economico, gestionale e sociale), ma non è detto che ci siano alternative migliori. Il Governo che abbiamo in carica probabilmente non sta facendo le scelte giuste, ma le uniche scelte giuste davvero ora come ora sono quelle col senno di poi (e pure lì: il trade off tra sopravvivenza economica e salute è crudelissimo, e talora inestricabile).
Cosa possiamo, cosa dobbiamo fare allora? Stare zitti? Aspettare buoni e tranquilli, accettando tutte le imposizioni dall’alto? No.
Dobbiamo continuare ad informarci, a leggere i giornali, a confrontarci con persone o realtà di cui ci fidiamo, a “lottare” nella nostra testa per riguadagnare prima possibile una vita normale, rivendicandola come un diritto e non come una concessione, proponendo idee, soluzioni, esperimenti. Ma nel farlo, dobbiamo essere pazienti. Dobbiamo capire che nessuno ha una soluzione immediata (epidemica od economica) in mano. Che non esiste una maniera in cui il virus può scomparire in un giorno, o diventiamo tutti più ricchi lavorando di meno (o non lavorando affatto).
Dobbiamo anche accettare che tutti si stia uscendo più poveri, da questa situazione: chi più e chi meno, chi finanziariamente e chi moralmente, chi in modo grave e chi in modo relativo. Stando sempre al settore della musica dal vivo, del clubbing, degli eventi, inizia ad essere difficile da sentire la posizione “Vengono imposti dei limiti per i quali diventa impossibile svolgere i concerti, o le serate nei club”: è impossibile forse secondo i vecchi parametri, in cui l’artista X costava tot euro e/o gira con uno staff di dieci, venti, trenta persone, ora è il momento in cui l’artista X deve capire che è obbligato a prendere meno soldi, a portarsi con sé produzioni più ridotto e con meno persone coinvolte.
Dobbiamo infatti, nel frattempo, usare questo stallo forzato globale per immaginare modelli – il più possibile condivisi, e con una ratio solidale – che siano concretamente più sani per il funzionamento della nostra personale attività, della nostra vita, del nostro ecosistema economico, imprenditoriale e relazionale.
Tutte le energie che utilizziamo per prendercela invece rabbiosamente coi “colpevoli”, con chi la pensa diversamente da noi, sono in questo momento energie utilizzate male. Il che non significa abolire il diritto di critica, attenzione; ma oggi più che mai la critica deve essere costruttiva, la critica deve essere tollerante. Non perché è “bello” sia così. Ma proprio perché è necessario. “There is no alternative”: qui sì.
Sfogarsi di meno. Tollerare di più. Immaginare meglio.
In attesa che il Coronavirus passi davvero, la soluzione non arriva (solo) dalla politica e dai suoi sbagli, (solo) dai poteri forti e dalle loro opacità, (solo) dalle soluzioni alternative che disvelano il cinismo capitalista-produttivista: la soluzione può anche iniziare ad arrivare da noi, dalla nostra quotidianità, dal mondo in cui affrontiamo le notizie giornaliere.
E se state dicendo “Belle parole, ma intanto i problemi si moltiplicano, lavoratori ed imprenditori arrancano, gli ospedali non si svuotano, i politici pensano più a se stessi e ai propri interessi di bottega che al bene comune, la tua voce si sente solo se protesti male e vince chi sgomita” sapete che c’è?, c’è che probabilmente avete ragione, ma comunque non è un motivo sufficiente per abbandonarsi al peggio, per accettare il peggio, per praticare il peggio e andare allo scontro, andare allo sfascio.
Un’ultima cosa importante, anzi, proprio un test: questo articolo è esattamente il lato B di quanto scritto sei mesi fa. Se (ri)leggendo quanto scritto allora state pensando “Eh, ma lì allora scrivevi il contrario, davi la colpa alle istituzioni che trattano i cittadini come i bambini: hai cambiato idea“, ecco, allora vuol dire che ancora non avete capito qual è davvero il punto, e quanto è grave la pandemia di pensiero che piano piano ci sta soffocando assiema alla pandemia reale.