E’ un po’ la notizia del giorno: Thom Yorke ha fatto uscire una cover di “Creep”, il brano-simbolo della “prima vita” dei Radiohead, quando cioè erano una band indie rock (o alternative, fate voi, visto che oggi “indie” ormai è soprattutto in Italia più che altro un termine da scaffale pop) e prima che iniziassero a trasfigurarsi in parte (“Ok Computer”) e definitivamente (“Kid A”) iscrivendosi così in maniera definitiva nella storia della musica come una delle band più grandi di tutti i tempi, e su questo davvero non ci dovrebbe essere discussione.
Ora: il fatto che Yorke si senta anni luce distante da quella prima fase della sua carriera ci sta, ovviamente (ci mancherebbe: sono fatti suoi, i pareri su se stesso); ed è comunque interessante come lui e i Radiohead abbiano sempre avuto un rapporto problematico col fatto di aver costruito un inno generazionale. Praticamente, una storia simile a quella di “Smells Like Teen Spirit” dei Nirvana: una canzone che doveva essere amara critica, invece è finita negli spot, nei jingle, nelle magliette, nella commercializzazione dei sentimenti generazionali. Che sia i Radiohead che i Nirvana non si siano mai trovati bene in quei panni lì, è segno di idee chiare ed onestà. Una onestà che purtroppo nel caso di Cobain ha avuto esiti infausti.
Il modo in cui i Radiohead hanno reagito, scoprendo l’elettronica, (ri)scoprendo la destrutturazione e la sperimentazione, inventandosi una specie di “jazz cosmico” e di songwriting lunare destrutturato, è assolutamente fantastico. Lo amiamo. Anzi, diciamo di più, azzardiamo di più: se all’inizio sono stati loro ad imparare dall’elettronica, sarebbe stato bello se l’elettronica avesse imparato più da loro dopo “Kid A”, mutuandone il coraggio, la voglia di rischiare, l’intensità del messaggio, la voglia di portare l’ascoltatore “altrove”. Non è stato fatto. Per un cazzo. Abbiamo preferito Ibiza e Berlino, e le loro repliche pre-confezionate – almeno lì dove si muovono gli interessi più grossi e le energie più potenti.
Tutto questo però non ci impedisce di dire che quello che poteva essere un momento incredibilmente interessante – riattualizzare “Creep” al 2021, anche in maniera irregolare, anche in maniera sghemba – si è tramutato in una occasione persa, e siamo diplomatici. Una cover stanca, inutile, tirata via, priva di idee, con un po’ di effettini a fare da vacuo maquillage e dei tastieroni da film di fantascienza bruttino al posto delle abrasioni noise. Una colossale occasione persa, quasi una autocaricatura. Almeno Yorke l’ha ascritta più a se stesso che al gruppo, vedasi la dicitura Thom Yorke featuring Radiohead nel video caricato su YouTube). E’ davvero tutto molto triste comunque, è davvero tutto abbastanza inutile. Che occasione persa, davvero, in un periodo dove forse come non mai la musica potrebbe salvarci e la musica – senza l’assillo del sistema industriale dei live a catena e dei tour mondiali – potrebbe indicare nuove vie, a se stessa ed agli altri. Come fece ai tempi di “Kid A”. E invece.
Peraltro, l’input per sfoderare questa versione è venuto da Jun Takahashi (stilista giapponese, sua anche l’illustrazione che vedete qui sopra). E’ stato lui ad attivare Thom, come racconta lui stesso, parlando di una sua sfilata / collezione, come ci ha suggerito l’amico e collega (e grande radioheadologo) Giovanni Linke Casalucci dopo un po’ di ricerca: “About the music for this show. The Women’s collection. RADIOHEAD’s “CREEP” perfectly encapsulated my current feelings into a song. Thom suggested that we use an acoustic version at half tempo. In the end, Thom mixed the song himself by adding synthesizer and other effects. I couldn’t stop crying when I listened to the final version of the song for the first time. It felt more emotional and mysterious than the original song, “CREEP”. Thom named the song “CREEP VERY” and I decided to use it as the title of the collection. I am deeply grateful to Thom for arranging it“. Per fortuna che Jun è “deeply grateful“. Almeno lui.