Sì, torniamo ad occuparci di Serbia e torniamo ad occuparci di Exit Festival. Che la situazione nel paese balcanico non sia esattamente paragonabile a quella di altri stati europei lo diciamo qui e lo abbiamo scritto in passato – i motivi sono vari. Ma non possiamo non registrare quanto fatto uscire un paio di giorni fa sul sito ufficiale del festival. Il post lo trovate qui.
In sintesi (e occhio, perché il titolo del post è un po’ troppo trionfalista): è stato preso un campione di 345 persone che hanno assistito al festival – che, lo ricordiamo, si è svolto due settimane fa praticamente senza particolari restrizioni all’interno e con decine di migliaia di persone a sera – e nessuna di esse ad una settimana di distanza è risultata positiva al Covid. Un altro indicatore forse ancora più significativo è il fatto che che nella città di Novi Sad, quella che ospita il festival, non ci sono state per ora recrudescenze pandemiche (anche se questo dato potrebbe essere influenzato dalla situazione generale in Serbia, momentaneamente meno problematica che in Italia – ma sappiamo ormai per esperienza diretta che le ondate di contagio si muovono).
Ultimo dato interessante, dei 20.000 stranieri che sono complessivamente arrivati nella nazione balcanica per assistere al festival, al momento risulta che solo uno sia stato contagiato: una percentuale risibile, su un dato che dovrebbe essere attendibile in quanto per fare ritorno dalla Serbia ad un qualsiasi stato europeo è obbligatorio sottoporsi al test PCR.
“Non ce n’è Coviddi, nei festival“? No. Non stiamo dicendo questo. Però non possiamo fare a meno di far notare che l’accesso al festival è stato regolato secondo quello che dovrebbe diventare regola anche da noi, colpi di scena a parte: praticamente il Green Pass, ovvero dimostrare di essersi vaccinati a ciclo completo o aver fatto un tampone rapido. Sono stati effettuati all’ingresso oltre 16.000 controlli sui certificati vaccinali, soprattutto sulla popolazione locale (risultati corretti nel 95% dei casi, si scrive: va detto che quel 5% non è poco), e sempre chi tra la popolazione locale aveva intenzione di entrare al festival ma non aveva completato il ciclo del vaccino ha avuto la possibilità di un test gratuito all’ingresso: quasi 19.000 i test totali, solo 10 le persone risultate positive. Ad esse è stato ovviamente rifiutato l’accesso al festival.
Questi i dati salienti emersi da tutto l’imponente apparato organizzativo messo in piedi dall’Exit (che, lo ricordiamo, come evento è una priorità assoluta per tutta la nazione: per le ricadute economiche, sociali, d’immagine internazionale). Sono dati ancora parziali, in realtà il “gruppo d’indagine” come dicevamo all’inizio non è vastissimo e non è detto che fra dieci giorni i risultati possano essere diversi (…ma al tempo stesso più il tempo passa, più è possibile che il contagio sia avvenuto in contesti successivi, non al festival). Non possiamo nemmeno cantare vittoria considerando che altri esperimenti, come in Olanda, hanno invece dimostrato che negli eventi tipo festival il contagio si diffonde – e manco poco.
Tutto quello che possiamo (e dobbiamo!) fare è continuare a monitorare e fare esperimenti lì dove possibile, di concerto con le istituzioni, che non possono restare bovinamente inerti. Chiudere e basta, alla cieca, senza spiegazioni e prospettive, non aiuta granché: soprattutto se nel frattempo ci sono – all’italiana – mille escamotage per far comunque ballare la gente. Come sta succedendo ogni sera in qualsiasi parte d’Italia. E non solo ai festeggiamenti della nazionale o ai cortei del Gay Pride.
Ah ecco, permettete un’ultima nota: chi insiste su questa cosa del Gay Pride, come abbiamo visto fare a tanti, troppi operatori della notte nelle varie chat “interne” di settore, fa veramente una figura misera, e davvero ci chiediamo come sia possibile che certi personaggi legati di loro all’industria e alla cultura del ballo si mettano in bocca certe affermazioni becere: perché se te la prendi col Gay Pride, dovresti prendertela con la stessa foga con mille mila altre manifestazioni di assembramento quotidiano (le sagre, gli aperitivi, le piazze), che hanno solo la colpa – o il culo? – di non essere connotate sulla base dell’orientamento di genere dei partecipanti. Puntare il dito con una certa foga e una certa frequenza sui cortei dei Gay Pride è, lo diciamo senza mezzi termini, omofobia strisciante.
Se tu lavori col ballo (o anche solo ti piace ballare, ti piace il clubbing) e sei un portatore insano di omofobia esplicita o appunto anche solo strisciante, detto senza giri di parole, sei un ignorante. Semplice. Lo dice la storia stessa del settore in cui lavori o a cui ti appassioni (storia che, appunto, evidentemente ignori). E insomma, non c’è bisogno di ignoranti nelle situazioni difficili.