Ieri è stata una giornata molto triste: abbiamo scoperto nell’arco di poche ore che due pionieri assoluti, Paul Johnson e K-Hand, riconducibili rispettivamente a Chicago e Detroit (quindi ai luoghi-simbolo della “nostra” cultura), ci hanno lasciati. Due figure che tra le altre cose non hanno mai sgomitato scompostamente nell’arena né sono entrate nel vortice dell’ultimo decennio e passa – vortice incubatore di fama, mondanità, commodities e guadagni; ma questo ovviamente non sminuisce assolutamente la loro grandezza assoluta e il contributo storico che hanno dato.
Fra i due Paul Johnson ha avuto più esposizione in Italia (e molti amici, facendosi davvero tanto ben volere), anche perché c’è stato un momento nel nostro paese in cui la house veramente regnava sovrana ed attirava anche gli inconsapevoli o mezzi consapevoli, di K-Hand si è parlato meno perché alla fine Detroit è sempre stato in primis uno scrigno per appassionati (o per gente affascinata dall’aura UR) e la stessa Kelli non era una adamantina accigliata purista techno ma amava combinare momenti altamente energetici con altri più morbidi, oltre a trattare con grazia ed inventiva il magma-acid.
E’ triste quando personaggi importanti – anzi, correggiamo: culturalmente importanti – se ne vanno. E’ triste anche perché spesso e volentieri in casi come questi ti ritrovi a pensare e a dire “Avrebbero meritato di più”; e se sei onesto, ti rendi conto che tu stesso avresti dovuto dare più attenzione non solo ai soliti nomi che girano sempre ma anche al grande numero di unsung heroes (o half-sung heroes…) che la musica elettronica da dancefloor ha generato. Non l’hai fatto.
Questa sensazione amara e di rammarico si può (e deve) virare in un segno di fiducia verso il futuro: nel momento riportiamo i riflettori su protagonisti dimenticati o comunque fuori dai giri “migliori” stiamo non solo ricordando loro e sottolineando i loro meriti; stiamo anche (ri)mettendo in luce la complessità e la vitalità di una scena musicale, culturale, sociale che comunque ha cambiato ascolti ed abitudini come nessun’altra cosa (ok, se la gioca con l’hip hop) negli ultimi trenta, quarant’anni.
Esattamente come il rap, anche techno e house potevano essere delle mode effimere, ed anzi certe dinamiche dell’industria dell’intrattenimento sia americana che europea avevano fatto abbastanza per andare in una direzione di questo tipo. Invece siamo ancora qui, abbiamo ancora un senso della “presenza” e della “unità storica” che fa sì che anche le scomparse di Paul Johnson e K-Hand siano citate con dolore ed emozione, e vengano condivise pure da chi aveva una conoscenza relativa della loro musica, del loro ruolo, della loro discografia.
Questo pensiamo che sia bello, che sia importante. Tiene vivo un senso di comunità.
Iniziamo ad essere una cultura che attraversa più generazioni. E’ una bella responsabilità. Può anche essere una profonda ricchezza. Non dimentichiamocelo, distratti della “soddisfazione istantanea” del qui&ora.