Anche un sordo si accorgerebbe che le cose stanno cambiando, o che siano in realtà già cambiate. Forse era pure ora, sì perché molti di noi hanno perso la motivazione di metter piede dentro un club, nascosti dalla lapidaria “tanto già lo so che succede”. Effettivamente, specie se parliamo di performance live, sono ormai un paio d’anni che si è verificato un tanto pericoloso quanto noioso appiattimento. La cosa preoccupante, però, non è tanto questo perché si sa che nel mondo dell’intrattenimento si cavalca il cavallo fin quando questo non stramazza al suolo, fin quando non è spremuto del tutto. È preoccupante il fatto che i segnali di ripresa hanno tardato ad arrivare. Fino ad ora. I più fiscali potrebbero dirmi che i nomi che sto per farvi in realtà girano da un bel po’, che “se loro sono il futuro allora il recente passato chi è stato?”. Sì sì, tutto vero. Ma se le cose stanno davvero così di cosa stiamo parlando? Perché abbiamo commentato schifati la serie di marchette che i big del panorama hanno collezionato la notte di capodanno? Se veramente fossimo protagonisti di una scena matura e consapevole saremmo pronti (da un bel pezzo) a spargerci come una macchia d’olio e divorare quando di fresco ed elettrizzante il movimento underground ci sta regalando. Non è così, è evidente.
Zip non sarà mai Ricardo, nonostante chi vive tutte le notti la Berlino che balla la pensi esattamente al contrario. Qui viviamo il mito delle cose, il mito delle feste da imitare a tutti i costi (che poi non sono feste perché, e di questo se ne accorgerebbe anche un cieco, le fotocopie non rendono mai quanto gli originali), il mito degli artisti dei quali non conosciamo il background e la discografia. Qui ignoriamo nell’accezione più triste del termine per poi dire “ma Lee Foss lo seguo da una vita”. Peccato che di Lee Foss non hai ascoltato nulla, neanche per sbaglio clickando il link sbagliato da 0daymusic. E allora rendiamo grazia al Signore per la rivalsa del genoma disco di artisti come Lee, Jamie Jones e di tutta ciurma Visionquest. Viva Benoit & Sergio, Jozif e Nicolas Jaar, diamo il giusto lustro ai nostrani Tale Of Us, respiriamo a pieni polmoni quest’aria nuova pompata fuori da nomi vecchi, meno vecchi e freschissimi. Beata incoscienza mi verrebbe da dire, se dietro la loro musica non percepissi una maturità rara, da fare invidia.
Veniamo al punto. Ho spacchettato i file ricevuti da Culprit e Visionquest con la foga di un bambino che sta aprendo i regali del suo compleanno. Ho ascoltato di getto tutto, prima “Your Turn Girl EP” di Lee Foss e poi “Utopia” dei Footprintz e…che dire? Avete presente quando da piccoli per una vita vi rifiutate di mangiare una cosa, poi un giorno l’assaggiate e per il resto della vita non riuscite a tornare indietro? Beh è andata più o meno così anche se, ad onor del vero, è qualche mese che la mia libreria iTunes è invasa da questa nuova corrente disco house (perdonate la banale e semplicistica classificazione).
Lee Foss torna su Culprit a quattordici mesi di distanza da “The Edge” con un quattro tracce energiche, coinvolgenti e sensuali, confezionando una raccolta che non sfigura neanche di fronte all’inarrivabile “Hot Creation EP”. Chi come me, perdendo la testa per “Happened For A Reason” ha visto spalancarsi le porte del dubbio e s’è detto “ma non era l’house music il genere più sensuale?”, non potrà che accogliere a braccia aperte “Your Turn Girl EP” e sentirsi un po’ stronzo per aver tenuto troppo tempo gli occhi (e le orecchie) chiusi. Per mettersi in gioco, però, non è mai troppo tardi, come non è mai troppo tardi per dare spazio nei propri set al funk erotico di “Your Turn Girl”, alla gommosità di “Pyramid Sheme”, alle melodie paradisiache di “Cabin Party” e al groove intenso di “Warriors”, traccia che preferisco dell’intero EP.
Chi ha accolto a braccia aperte “Where The Freaks Have No Name” di Benoit & Sergio, non potrà che gioire del prossimo, interessantissimo, Visionquest firmato dai Footprintz. “Utopia” è un EP di tre tracce (due in veste originale più un remix affidato ad Ewan Pearson) che, se possibile, cerca di riscrivere e stravolgere le rigide regole dei nostri dancefloor. Tralasciando l’ “Ewan Pearson’s The Legend of Bolo Brown Re-Trip” di “Utopia”, ben fatto sì ma tutt’altro che innovativo specie se comparato ai lavori originali, concentriamoci su quanto sul sound del duo canadese. Battuta lentissima, atmosfere al limite del pop, un stile che taglia trasversalmente Hot Chip, Hercules And Love Affair e LCD Soundsystem e che a tratti ti lascia in bocca il sapore tipico dei Depeche Mode e dei Gorillaz, fa di questo EP una boccata d’aria fresca per le vostre orecchie e per il vostro dancefloor. “Utopia” e “Golden Dreams” sono delle vere e proprie perle e questo disco rappresenta un colpo ad effeto con cui quel quartetto di genietti ha deciso di spiazzarci. Seth Troxler ci chiude i suoi set… un modo sicuro per far parlare di sé!