Fisicamente e concretamente tra l’Etna e il mare, come imprescindibile cornice che racconta la Sicilia orientale, ma con una mente di gran lunga proiettata ad abbracciare identità ed espressioni da tutto il mondo: Ricci Weekender, anche in questa edizione 2021, ha unito musica e cultura contemporanea con un piglio mai scontato, fatto di quattro giorni di live, eventi e performance che baciano suono, cucina e natura.
Tra i palchi in centro città del borgo di Castiglione di Sicilia, incastonato tra la valle dell’Alcantara e il Parco dell’Etna, il giardino botanico di Radicepura a Giarre, con all’interno più di 3.000 specie di vegetali, i vigneti della Cantina Franchetti di Passopisciaro sull’Etna e l’iconico Mercati Generali, faro della cultura club a Catania–e non solo, è stato un weekend con vibrazioni e contesti sempre accesi.
La rassegna ‘itinerante’, nata nel 2018, è una fusione di culture e realtà sempre attente alla curiosità in tutte le arti, tra Mercati Generali, Worldwide FM e il Brawn di Columbia Road a Londra come menti dietro la realizzazione. Artefici sono infatti l’eclettismo giramondista di Gilles Peterson, a co-curare la selezione artistica, lo chef Ed Wilson, a prendersi cura dell’accompagnamento culinario durante gli eventi e Diego Vespa, direttore artistico e fondatore del club catanese.
Dall’apertura con la poesia funk di James Senese e Napoli Centrale, di fatto, è chiaro che radici di linguaggi storici e contaminazioni future avranno un ruolo centrale. Il live di Mercati Generali, che apre la quattro giorni, è un puzzle di emozioni a cui gran parte del respiro jazz di cui si nutrirà il pubblico durante il festival mira ad associarsi, tra grandi classici e il più recente “James is Back” a domare i fichi d’India che circondano lo stage. Un trait d’union che, poco prima, era stato anticipato dall’esibizione di Cratere Centrale, band di casa, espressione contemporanea di quella fusione comunicativa iniziata proprio a Napoli, quasi cinquant’anni fa.
Per la seconda giornata si replica a Catania, dove Ashley Henry ruba la scena per un intenso e lungo live, atto a sprigionare tutte le influenze del sud di Londra: un ricordo di come il jazz non abbia bisogno di essere luogo esclusivo, ma anzi, si nutra di andirivieni fatti da vecchie e nuove scoperte sonoro–linguistiche, lungo la strada. A chiudere la serata, l’atteso back-to-back tra Floating Points (di ritorno in Sicilia, dopo l’edizione del 2019) e Daphni (l’anima più dancereccia di Caribou): ovvero un’esperienza a tratti club–caleidoscòpica, come i due ci hanno abituato durante gli infiniti dj set in giro per il mondo (in solo e insieme), un po’ Room 2 del fabric, con gli shazammer pronti a rimanere a bocca asciutta, sotto cassa.
Per la terza giornata è Castiglione di Sicilia a prendersi un buon pezzo di palcoscenico: nel borgo alle pendici dell’Etna è un sound nu–jazz che ipnotizza, quello di Ze In The Clouds (con LNDKF e Dario Bass), ad aprire le danze. Promesse – per chi c’era al Jazz:Re:Found – anche stavolta lì, ben mantenute per il futuro. Highlight puro e decisamente atteso è stato, a seguire, quello che ha visto l’entrata di Emma-Jean Thackray, cantante e polistrumentista di Leeds, astro nascente della nuova onda jazz britannica. Oltre ad essere l’all–in conclamato di Gilles per questa edizione, il suo monito (“Move the body, move the mind, move the soul”) è la perfetta sintesi della performance offerta. Ne sentiremo parlare (anche più di adesso, si intende), e ad occhio – e orecchio – molto bene. Il twist finale, mentre una pioggia battente bagna la notte di Castiglione, non poteva che toccare a Khalab, tra infallibili lampi (non a caso) di funk elettronico, Africa tambureggiante e sentieri club dai colori altromondisti.
Domenica ospita la quarta e ultima giornata, in due tappe suddivise tra il brunch offerto dell’azienda vinicola Franchetti a Passopisciaro e il momento della cena e dei concerti, nel tropicale, immenso e un po’ magico giardino di Radicepura, a Giarre. In mattinata è la listening session curata da Possibile Musica, con Gilles Peterson come ospite, a illuminare il vigneto della tenuta etnea: un racconto che si è mosso tra tributi a Lee Scratch Parry, l’infanzia a Londra fatta di pane e britjazz, l’ascesa di un impero stilistico che ha cambiato la scena club oltremanica, con innesti che hanno mosso la Louisiana sempre più vicino a Trafalgar e Hoxton Square.
La notte che abbraccia il finale ha dei picchi di particolare fattura per il discorso sull’immersività culturale da cui siamo partiti: la performance de La Niña, parte del suo tour corde e sonagli, è la chimera di un nuovo pop Italiano che avanza oltre ogni confine, capace di rendere un momento acustico pregno di elementi che riempiono lo stage di emozioni mediterranee fortemente autentiche – con, a sorpresa, anche Marco Castello, sul palco per un duetto in coda all’esibizione. I saluti sono affidati ad una festa tutta a tinte Worldwide, con le vibrazioni esotiche di Coco María prima e con l’ormai padrone di casa Gilles Peterson, alla ricerca del beat perfetto per un’ultima volta sotto la luna, tra vini dell’Etna e palme tropicali.
Nelle intenzioni, questa terza edizione di Ricci aveva una forte ambizione di far connettere jazz, club culture ed eclettiche derivazioni da una parte all’altra delle due barricate, oggi più che mai fortemente chiacchierate. Operazione riuscita, ma che suscita nuove (e giuste) domande: allora, dove sta andando la cultura club di domani? Sicuramente verso esperienze immersive e contaminanti, senza divisioni di sorta e con uno spirito che rafferma una sottile linea di orizzonti sonori sempre più poliedrica, a dimostrazione di quanto, domani, tale coesione possa portare a rassegne, festival ed eventi dal vivo quanto mai multiformi. Di sfondo, c’era la grande volontà di abbattere apparenti confini tra modi di pensare e fare musica; in superficie, invece, una perenne riscoperta per sentieri a metà tra New Orleans, Napoli e Londra. Tutte e tre, sotto il sole della Sicilia, si sono riunite a fare un po’ di discorsi sul futuro della musica.
Del resto, la parola “jazz” e quella “club” sono presenti entrambe sette volte (otto, con questa), in questo articolo. E io vi giuro che non l’ho fatto apposta.
Foto di Letizia Cigliutti e Glauco Canalis