L’attualità è letteralmente sequestrata dalla cronaca e dalla contingenza: si torna finalmente a ballare? E se sì, a che condizioni? Con che percentuale di capienza, con quali limitazioni? Sembra quasi incredibile che sia esistito un tempo dove il problema era quasi che si ballasse “troppo”, e ci fossero “troppe” cose in giro. Eppure è esattamente questa la situazione che ha attraversato l’Italia in un determinato periodo storico: lo ha fatto in santuari come la Riviera, lo ha fatto sulla sponda opposta, lo ha fatto con la mondanità milanese e il tremendismo torinese, lo ha fatto la gaudente Bologna (che avrebbe potuto fare togliersi lo sfizio di essere più stilosa e più consapevole di essere una gemma) e la stilosa Firenze (che avrebbe potuto regalarsi il lusso di essere un po’ più autoironica nel suo essere guadente). Lo ha fatto il Veneto con la Triade e mille altre storie epiche (vedi alla voce Lazise…), lo ha fatto Napoli che pur nella cronica precarietà logistica ha sfornato uno dei movimenti house prima e techno poi d’eccellenza in Europa, c’è riuscito il Sud grazie ad eroici pionieri così come alcune zone apparentemente decentrate (Abruzzo, ma si potrebbero citare molte altre regioni).
Era un universo vivo, la club culture in Italia. Vivissimo. Esplosivo. Speriamo torni ad esserlo; ma di sicuro è positivo, necessario e forse in questo momento di stanca anche inevitabile che se non altro ci siano occasioni per guardarsi indietro. Lo racconta molto bene un articolo di Dj Mag Italia, che fa un po’ il punto sui vari film/documentari che sono usciti nell’ultimo anno o giù di lì. E’ improvvisamente tanta roba: anche perché mentre le cose “succedevano”, erano talmente impetuose, debordanti ed esaltanti che quasi manco ti passava per la testa che fosse il caso di documentarle (…o se per caso ti passava per la testa, prima ancora di iniziare a lavorarci sopra eri tornato in pista a ballare). Ora che anche prima della pandemia tutto si è molto rallentato e forse anche, diciamolo, stancato, se non altro abbiamo un “album fotografico di famiglia” da consultare.
Ecco: in questo “Roma Caput Mundi” di Corrado Rizza, che è una notevole implementazione visiva del libro che Corrado aveva approntato assieme al leggendario e compianto Marco Trani “I Love The Nightlife”, fa centro pieno. E non potrebbe essere altrimenti. Corrado non solo è stato al centro di mille cose, il che basterebbe, ma lo è stato anche col piglio giusto: quello generoso, sorridente, inclusivo. A Roma poi non è mai facile esserlo, Roma è la città dell’eterno disincanto e dell’eterno cinismo, ma quello che traspare da “Roma Caput Disco” è comunque una cristallina felicità per come si è sviluppata una stagione, anzi, più di una stagione, che aveva reso la Capitale un’eccellenza a livello europeo per quanto riguarda l’esperienza del ballo, strappandola via dalla “condanna” dell’essere una eterna cartolina della Dolce Vita così come l’aveva tratteggiata Fellini e l’aveva tratteggiata anche l’umanità di quegli anni.
Invece di cullarsi in eterno su quei posti, quei nomi, quelle iconografie, a Roma vari personaggi hanno ripreso la parte vitale – l’edonismo, la voglia di divertirsi – innestandola col desiderio di cambiare comunque luoghi, pratiche, abitudini. Cosa che alla lunga ha anche fatto suonare gran bene i dj: certo, un talento come Marco Trani nasce una volta ogni chissà quanti anni, ma sono tanti i personaggi che compaiono in “Roma Caput Disco” di cui si può decisamente dire che in console si sono fatti valere. Non nelle PR, non nel riempire i tavoli, non nel colonizzare i media. E’ stata la loro luce e la loro “scazzata intensità” ad attirare poi anche i vip, la “bella gente” dell’epoca, creando un cortocircuito equilibrato col mondo più pop e televisivo. Ha senso veder comparire Arbore e Jovanotti o Fiorello e Roberto D’Agostino, in questo docufilm, ha senso eccome: il filo narrativo del documentario lo fa capire in maniera molto, molto nitida. Ma al tempo stesso questo mondo pop e televisivo non ha mai fagocitato e nemmeno tentato di fagocitare il mondo del divertimento notturno: lo ha frequentato, lo ha vissuto, se ne è nutrito, ma lo ha sempre in qualche modo rispettato tantissimo – e infatti non ha mai tentato di comprarne l’anima a basso costo. La discoteca, anche quando ci capitava gente ricca&famosa, era comunque un mondo-a-parte, un qualcosa di speciale ed alternativo. Anche quando era in qualche caso pienamente commerciale: ma ecco, era un “commerciale” diverso. Aveva un alfabeto suo. Alternativo al mainstream.
“Roma Caput Disco” magari poteva essere stilisticamente più incisivo, un po’ meno scolastico in alcuni passaggi di raccordo, più movimentato nel montaggio, ma è comunque una eccezionale e ricchissima documentazione storica a cui tutti davvero dovrebbero dare almeno un’occhiata, per capire quanto certi anni, certi posti e certe persone fossero speciali. Noi vi mettiamo qua sotto il trailer, e aggiungiamo qui il link per poterlo vedere via Vimeo. Per una visione da domenica pomeriggio, che sia da madeleine proustiana per chi c’era e di aggiornamento intellettuale per chi è troppo giovane per esserci stato ma ama il clubbing, è davvero azzeccato. E poi, la comparsa in ogni fotogramma di giganti come Marco (Trani) e Claudio (Coccoluto) è un colpo al cuore…
Roma Caput Disco from Ramp Production on Vimeo.